64 anni di Nakba
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Info-Palestine.net, 18 maggio 2012 (trad.ossin)
La Nakba palestinese: la risolutezza della memoria
Ramzy Baroud
Le vecchie generazioni trasmettono il ricordo implacabile e opprimente della loro esperienza collettiva ai giovani Palestinesi, molti dei quali vivono la loro personale Nakba oggi.
Per “coprire” la Nakba, i media arabi ed altri simpatizzanti hanno usato toni tristi e pubblicato foto in bianco e nero di rifugiati spaventati durante l’esodo. Sottolineano a giusto titolo il concetto di sumud, la lealtà indefettibile, quando mostrano dei Palestinesi di ogni età attaccati alle chiavi arrugginite delle loro case e che insistono sul loro diritto al ritorno. Altri media meno empatici commentano la Nakba come una fastidiosa nota falsa nell’epopea della nascita ipoteticamente miracolosa di una nazione che progredisce verso un’oasi idilliaca di democrazia. Ciò che queste rappresentazioni minimizzanti non riescono a mostrare è che la Nakba, della quale evocano l’inizio, non è mai realmente terminata.
Quelli che hanno subito la sofferenza, i danni e la perdita nei quali consiste la Nakba, devono ancora ottenere la giustizia che fu loro promessa dalla comunità internazionale. Secondo quanto stabilito nella Risoluzione 194 dell’ONU “… è necessario permettere ai rifugiati che lo desiderino di tornare alle loro case il più presto possibile…” (articolo 11). Gli autori di questa ingiustizia vogliono anche realizzare i loro ultimi obiettivi in Palestina. Dopo tutto non è per caso che Israele ha delineato delle frontiere.
David Ben Gurion, il primo a diventare Primo Ministro di Israele, ha un giorno profetizzato che “i vecchi rifugiati moriranno e i giovani dimenticheranno”. Parlava con tutta la durezza del conquistatore. Ben Gurion ha messo in esecuzione i suoi piani di guerra fino all’estremo limite. Ogni regione di Palestina destinata ad essere presa è stata conquistata, i suoi abitanti espulsi o massacrati nelle loro case e nei loro villaggi. Ben Gurion ha “ripulito” il paese, ma non è riuscito a “ripulire” il passato di Israele. La memoria continua.
Ben Gurion ha alluso al villaggio della mia famiglia – Beit Daras – in cui vi sono state tre battaglie e un massacro. In un editoriale del suo giornale, il 12 maggio 1948, ha scritto : “Beit Daras è stata bombardata a tappeto col mortaio. Cinquanta arabi (uccisi). I (villaggi di) Bashit e Sawafi sono stati occupati. C’è un esodo di massa dalle zone vicine (vicine a Majdal). Noi abbiamo avuto 5 morti e 15 feriti” (Giornale di guerra, 1947-1949).
Più di cinquanta persone sono state uccise a Beit Daras quel giorno. Una vecchia di Gaza, Oum Mohammed, di cui parlo nel mio ultimo libro “Mio padre fu un combattente per la libertà”, fa allusione ad un avvenimento che sembra essere lo stesso.
“La città era bombardata e circondata da ogni lato. Non c’era nessuna via di uscita. Gli uomini armati (i combattenti di Beit Daras) hanno detto che andavano a controllare la strada verso Isdoud (Ashdod) per vedere se era libera. Si sono spinti in avanti ed hanno sparato qualche colpo per vedere se qualcuno rispondeva. Nessuno ha risposto al fuoco. Ma loro (le forze sioniste) erano nascosti ed avevano preparato un’imboscata. Gli uomini armati sono ritornati ed hanno detto alla gente di evacuare donne e bambini. La gente è uscita (ivi compreso) quelli che si trovavano nella mia grande casa, la casa di famiglia. In questa casa c’erano soprattutto donne e bambini. I (soldati) ebrei hanno lasciato uscire la gente, poi l’hanno falciata con bombe e mitragliatrici. Sono caduti soprattutto quelli che non erano in grado di correre. Mia sorella ed io… siamo corse attraverso i campi, siamo cadute e ci siamo rialzate. Io e mia sorella siamo scappate insieme tenendoci per mano. Le persone che hanno imboccato la strada sono state uccise o ferite. Il fuoco cadeva sulle persone come sabbia. Le bombe da un lato e le mitragliatrici dall’altra.
Ben Gurion non metterebbe necessariamente in dubbio la testimonianza di Oum. Egli ha candidamente dichiarato: “Non ignoriamo la verità su noi stessi… politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono… Il paese è loro, perché vi abitano mentre noi vogliamo venire qui e istallarci, e dal loro punto di vista noi ci vogliamo impadronire del loro paese (citato da Chomsky nel “triangolo fatidico”).
E’ precisamente per questa ragione che né i vecchi né i giovani hanno dimenticato. Ogni giorno è un’altra manifestazione di questa stessa Nakba prolungata che dura oramai da 64 anni. Le galere dei giovani di oggi sono inestricabilmente legate allo sradicamento orribile e violento realizzatosi da decenni.
La Nakba è così restato un progetto che prosegue con il mutare delle generazioni dei sionisti israeliani. Alla morte di Ben Gurion nel 1973, l’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahou aveva 24 anni. Faceva allora il suo ultimo anno di servizio militare e oggi governa Israele con una colazione che comprende quasi ¾ del parlamento israeliano. Come la maggior parte dei leader israeliani, continua a contribuire a tutte le chiacchiere che hanno consentito la conquista della Palestina. Parla di pace, mentre i suoi soldati e i suoi coloni in armi si impadroniscono di case e fattorie palestinesi. Fa ai Palestinesi delle offerte reiterate di pourparler “senza condizioni”, ripetendo però il suo rifiuto violento verso ogni aspirazione palestinese. La sua lobby a Washington è più forte che mai. Regna in modo assoluto, continuando a realizzare la “visione” dei primi sionisti.
Vecchie chiavi e vecchi documenti di proprietà delle terre rubate testimoniano dell’esperienza inter-generazionale che è la Nakba. Oggi i Palestinesi continuano ad affollarsi dietro i posti di controllo militari. Si nega loro il diritto a cure mediche adeguate, i loro antichi olivi sono implacabilmente sradicati dai bulldozer. Tuttavia ciò che Israele non è stata capace di controllare è la determinazione dei Palestinesi. La prigione, il posto di controllo e il fucile restano nella nostra memoria collettiva in un modo che non può essere catturato, controllato o abbattuto.
Infatti la Nakba non è una data specifica o un arco temporale, ma la totalità di questi 64 anni che è durata. L’avvenimento non deve essere relegato negli archivi della storia, non fosse altro perché i rifugiati sono ancora rifugiati e i coloni continuano a rubare la terra palestinese. Così tanto tempo che Netanyahou parla il linguaggio di Ben Gurion, che altri episodi “catastrofici” verranno. Ed è così tanto tempo che i Palestinesi conservano le loro chiavi e i loro atti di proprietà, che i vecchi possono morire ma i giovani non dimenticheranno mai.
Ramzy Baroud (http://www.ramzybaroud.net) è un giornalista internazionale e il direttore del sito PalestineChronicle.com. Il suo ultimo libro, Mio padre era un combattente per la libertà : la storia vera di Gaza (Pluto Press, London), può essere acquistato su Amazon.com.