Morte del capo dei Talebani afghani
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Cf2R (Centre Français de Recherche sur le Renseignement), 22 maggio 2016 (trad. ossin)
Morte del capo dei Talebani afghani
Alain Rodier
Gli Statunitensi hanno annunciato, il 21 maggio, di avere colpito, il giorno prima, il mullah Akhtar Mohammad Mansour, capo dei Talebani afghani. Dei droni avrebbero sparato sulla sua auto, mentre circolava nei pressi della città di Ahmad Wal, nella provincia del Belucistan, nel Pakistan del sud-ovest. E’ la prima volta che Washington esegue un raid in questa provincia, i suoi attacchi essendo limitati finora alle zone tribali pakistane del nord e sud del Waziristan. Se la morte del mullah Mansour sarà confermata, ciò provocherà una lotta di successione interna in seno ai Talebani afghani.
Teoricamente, tutti i membri della shura – il consiglio che guida il movimento – sono eleggibili. Tra essi vi è qualcuno che sembra avere più chance di altri. Prima di tutto ci sono il figlio maggiore e il fratello del defunto mullah Omar: Mohammad Yakoub e Abdul Manan Akhund. Entrambi si erano fatti pregare per accettare la designazione del mullah Mansour nell’agosto 2015 e, solo in settembre, gli hanno finalmente giurato fedeltà. C’è anche Sirajuddin Haqqani, capo militare del talebani afghani e dirigente della potente fazione armata islamista radicale che porta il suo nome e che venne creata da suo padre Jalaluddin Haqqani.
Gli avversari dei Talebani afghani
Come ogni anno, i Talebani afghani, in alleanza con la Rete Haqqani, gli Hezb-i-Islami di Gulbuddin Hekmatyar e con Al Qaeda “canale storico”, hanno lanciato l’offensiva di primavera, battezzandola “mullah Omar”, in omaggio a questa personalità mitica. Gli obiettivi della campagna sono chiaramente designati: le province di Helmand, di Kandahar, di Nangahar, di Logar, di Wardak, di Kapisa, di Parwan, di Gazni, di Zabul e di Kunduz. Le operazioni rischiano di patire per la morte del mullah Mansour, ma dovranno egualmente procedere, giacché il comando sul campo è assai decentralizzato. E’ anche verosimile che si registreranno molti attentati suicidi per vendicare la morte del mullah Mansour. Però, a differenza di Daesh, i Talebani (come Al Qaeda “canale storico”) hanno soprattutto di mira le rappresentanze ufficiali dei loro nemici (militari, poliziotti, funzionari, consiglieri stranieri, ecc) e tentano di evitare al massimo le perdite collaterali.
I Talebani si trovano oggi di fronte due avversari che devono combattere contemporaneamente: le forze di sicurezza governative e lo Stato Islamico (Daesh).
Una circostanza si presenta quest’anno assai favorevole per i Talebani: le forze USA non partecipano orami più direttamente ai combattimenti e, in particolare, la loro presenza aerea si è significativamente ridotta. In compenso l’aviazione afghana non è per niente in grado di raccogliere il testimone, trovandosi in uno stato ancora peggiore di quando se ne andarono i Sovietici nel 1989. Ciò dovrebbe consentire ai Talebani di raggrupparsi più frequentemente per lanciare operazioni di ampia portata, cosa che era assai difficile e rischiosa nel passato.
E’ possibile che arrivino a conquistare importanti località, anche solo per un breve periodo, in quanto le forze lealiste potrebbero poi “mettercela tutta” per liberarle, come è accaduto nel settembre 2014 a Kunduz. Ma il morale delle truppe afghane delle zone operative è basso, esse si sentono abbandonate dallo stato maggiore, i cui ufficiali sono confortevolmente alloggiati a Kabul, anche se la capitale è oggetto di molti attentati.
Se l’aviazione afghana è deficitaria, la logistica che deve provvedere al rifornimento delle truppe terresti lo è ancora di più. Inoltre vi è corruzione a tutti i livelli. Di conseguenza si moltiplicano le diserzioni e la valentia combattiva delle forze regolari ne è compromessa, tanto più che tra loro si infiltrano attivisti che aprono il fuoco contro i loro stessi “colleghi”.
Da parte sua, Daesh, che tenta di rafforzare la sua wilaya Khorasan fondata nel gennaio 2015, recluta ribelli che provengono dalle fila talebane, soprattutto a est, nella provincia di Nangarhar. Inoltre il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (MIO), molto presente in Afghanistan, ha giurato fedeltà ad Abou Bakr Al-Baghdadi nell’agosto 2015 e si rivoltato contro i suoi ex alleati. Corre voce che qualche decina di attivisti di Daesh sarebbero stati mandati in zona per rafforzare il nocciolo duro della wilaya Khorasan.
Ai comandanti militari talebani sono state date delle consegne rigorose: consolidare le loro postazioni reprimendo eventuali defezioni in favore di Daesh. Alla bisogna, potranno chiedere il rinforzo di battaglioni di reazione rapida. Solo dopo aver messo in sicurezza il loro territorio, potranno pensare di estenderlo, approfittando della debolezza delle forze governative. Questa politica ha funzionato bene prima dell’inverno, giacché numerose bande del MIO sono state sconfitte dai Talebani e sembra cominciato il rientro delle “pecorelle smarrite” che si erano unite all’organizzazione Stato Islamico. Bisogna anche dire che, come sempre, Daesh si è inimicata tutti. Quindi le forze USA concentrano oramai la maggior parte degli attacchi aerei sulla wilaya Khorasan. Infatti non ci tengono a frapporre difficoltà all’apertura di negoziati tra Kabul e i Talebani. La morte del mullah Mansour ha eliminato la persona che più ostinatamente si opponeva ai negoziati. Ma non è affatto certo che il suo successore adotterà una politica diversa nei confronti di Kabul.
Al Qaeda più potente del previsto
Per realizzare i loro obiettivi, i Talebani possono contare sull’aiuto di Al Qaeda “canale storico”, che è impegnata in combattimenti senza esclusione di colpi contro Daesh, ovunque i due movimenti salafiti-jihadisti si trovano ad essere concorrenti.
Washington ha riconosciuto, nella primavera del 2016, che Al Qaeda in Afghanistan era più potente di quanto ritenuto in precedenza. Il generale Charles Cleveland (foto a destra), portavoce operativo della NATO in Afghanistan (Resolute Support) ha quindi dichiarato che Al Qaeda aveva stabilito stretti legami coi Talebani (1) e si era rigenerata. Ha riconosciuto che i rapporti di intelligence del 2015 parlavano di soli 50/100 attivisti di Al Qaeda presenti in Afghanistan. Ora, un’operazione si rastrellamento dell’ottobre 2015 nel distretto di Shobarak, nella regione di Kandahar, ha permesso di scoprire un campo di addestramento ampio circa 40 chilometri quadrati. Il campo era gestito da Al Qaeda nel sub-continente indiano, un nuovo comando apparso nel settembre 2014. Questa scoperta – la prima di tale importanza in 14 anni di guerra – ha destato la sorpresa del generale John Campbell che ha diretto l’operazione Resolute Support.
Adesso Washington stima che gli effettivi della nebulosa presenti in Afghanistan potrebbero raggiungere le 300 unità, e il calcolo sembra ancora una volta riduttivo, Infatti attivisti di Al Qaeda sono presenti in 25 delle 35 province afghane ed è difficile immaginare che ciò sia possibile con soli 300 attivisti! Inoltre documenti sequestrati ad Abbottabad parlano dell’ordine impartito da Bin Laden di spostare militanti residenti in Waziristan verso le province del Nuristan, del Kunar, di Gazni e di Zaboul per evitare gli attacchi dei droni USA. Questi rinforzi provenienti dal Pakistan sarebbero dovuti essere giunti già all’inizio del 2011.
Se il mullah Omar manteneva una certa distanza da Al Qaeda, la sua morte sopraggiunta in gennaio – o aprile – 2013 ha costretto la nuova dirigenza talebana ad avvicinarsi un po’ di più alla nebulosa jihadista, allo scopo di mantenere la coesione delle sue truppe. Il fenomeno è stato osservato soprattutto quando la notizia della morte del mullah Omar è stata resa pubblica e il mullah Mansour ha ufficialmente preso le redini del movimento. Nell’occasione, egli si è servito della potenza di Al Qaeda per mettere a tacere ogni critica.
Nel 2017, la presenza statunitense dovrebbe ridursi a non più di 5.500 unità in Afghanistan, e a 1 000 nel 2018, acquartierati nella capitale. La questione che allora si porrà non sarà se i Talebani riusciranno a impadronirsi di Kabul, ma quando.
Note:
[1] I capi di Al Qaeda, Osama Bin Laden e poi Ayman al-Zawahiri, hanno sempre riconosciuto il leader dei Talebani afghani come il « comandante dei credenti » e gli hanno giurato fedeltà. Gli riconoscevano dunque la supremazia religiosa, qualità che non accordano a Abou Bakr al-Baghdadi, il leader di Daesh, che si è autoproclamato capo religioso, politico e militare di tutto il mondo mussulmano.