“Non si possono considerare terroristi solo quelli che uccidono gli Statunitensi”
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Le Courrier de Russie, 6 ottobre 2014 (trad. ossin)
“Non si possono considerare terroristi solo quelli che uccidono gli Statunitensi”
Serguei Lavrov
Il Ministro russo degli Affari Esteri ha accordato un’intervista al canale televisivo Piatii Kanal, nel quale parla delle profonde ragioni dell’attuale contrapposizione tra Russia e mondo occidentale
Piatii Kanal: Al Forum Seliger-2014, lei ha dichiarato che l’attacco dell’Occidente alla Russia è cominciato ben prima che scoppiasse la “questione ucraina”….
S.V.Lavrov: E’ vero. Abbiamo avuto dei periodi di discussione molto vivaci, durante i quali i nostri partner occidentali hanno tentato di concludere degli accordi, non su una base di uguaglianza e di mutui interessi, ma a loro esclusivo vantaggio. E vi sono stati anche degli attacchi concreti: penso alla vicenda Magnitski, quando siamo stati accusati di tutti i possibili “peccati mortali” e sono state varate delle sanzioni con la più grande arroganza contro una serie di alti funzionari russi.
In seguito, a proposito della crisi siriana, la Russia è stata accusata di essere l’unica e intera responsabile di ogni problema, per essersi rifiutata di accordare la propria “benedizione” al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per rovesciare il governo legittimo. Poi, senza preavviso, è stata la volta di Edward Snowden di ritrovarsi in Russia come una “patata bollente” e noi non sapevamo cosa fare di quest’uomo cui gli Statunitensi avevano ritirato il passaporto. Non potevamo nemmeno lasciarlo uscire dal paese legalmente.
Infine, i giochi olimpici di Sotchi, che i nostri partner hanno tentato in tutti i modi possibili e immaginabili di presentare come l’apoteosi di un certo “regime dittatoriale autoritario” che voleva rafforzare le sue posizioni. Siamo stati accusati di inaudite corruzioni e di avere dilapidato tutte le nostre risorse in questa impresa, a detrimento del normale sviluppo economico e delle spese sociali. Io sono assolutamente convinto che, se non vi fosse stata l’Ucraina, qualche altra cosa sarebbe stata inventata.
Purtroppo, la verità è che i nostri partner occidentali non sono ancora riusciti a liberarsi di una certa mentalità da “guerra fredda”. Noi facciamo ogni sforzo da anni - e continueremo a farlo – per tentare di convincere l’Occidente della assoluta necessità di rispettare gli accordi stipulati agli inizi degli anni 1990 e poi nel 2000: quando in sede OCSE e di Consiglio Russia-NATO, è stato proclamato il principio del carattere indivisibile della sicurezza. All’epoca si dichiarò ai più alti livelli che la sicurezza deve essere uguale e indivisibile, e che nessuno Stato deve rafforzare la propria sicurezza a scapito di quella di altri.
Però questo principio non ha trovato applicazione pratica: la NATO ha cominciato ad allargarsi a onta delle promesse fatte, abbiamo assistito al varo del sistema di “scudo antimissile”, e l’infrastruttura militare dell’Alleanza si è progressivamente avvicinata alle nostre frontiere. Noi abbiamo allora proposto di tradurre queste dichiarazioni politiche nel linguaggio giuridico di un accordo. Ma ci è stato rifiutato. Ci hanno spiegato che delle garanzie di sicurezza comportanti obblighi giuridici potevano essere fornite solo ai paesi membri della NATO. E questo è tutto – vale a dire che i nostri partner occidentali non hanno mai voluto affrontare seriamente il tema di un minimo di “sicurezza uguale e indivisibile”. Essi volevano soltanto mantenere le linee di separazione e avvicinarle sempre di più alle nostre frontiere, adescando i paesi dello spazio post-sovietico (come avevano adescato a suo tempo i paesi dell’Europa orientale) con la promessa di una possibile adesione alla NATO.
Le “teste calde” di alcuni paesi hanno preso questo come un segnale che tutto era oramai permesso. Così, durante il summit della NATO del 2008 a Bucarest, è stato annunciato che l’Ucraina e la Georgia stavano per aderire all’Alleanza – e, dopo pochi mesi, il signor Saakashvili decideva di conquistare con la forza l’Ossezia del Sud, che è una regione georgiana in stato di conflitto. Sul posto erano schierate le forze di interposizione russe, georgiane e dell’Ossezia del Sud, oltre ad osservatori OSCE. Saakashvili ha fatto questo perché la NATO aveva promesso di accogliere la Georgia tra i suoi membri.
Poi la nostra partner Unione Europea ha tentato di ottenere unilateralmente dei vantaggi economici grazie alla conclusione con l’Ucraina dell’accordo di associazione e di libero scambio, che violava in modo significativo gli obblighi assunti da quest’ultimo paese nell’ambito dell’accordo sulla zona di libero scambio della CEI. Questa zona di libero scambio era operativa e continua ad esserlo – e accordarsi con la UE su un regime di commercio che contraddice gli impegni assunti dall’Ucraina nei confronti di tutti noi era, probabilmente, una decisione scorretta. Il presidente russo V.V. Putin lo ha più volte evidenziato. E quando l’ex presidente ucraino V.F. Ianukovich ha dichiarato di volerci ancora pensare prima di firmare questo accordo, è stata organizzata Maidan, e il seguito è noto.
Se ritorno su questo, è per dire che le difficoltà sono cominciate da molto tempo; e l’Ucraina è probabilmente solo la manifestazione più eclatante – e più tragica – dei problemi che si sono creati in modo sistematico lungo molti anni.
Piatii Kanal: Non si può evitare di porre la domanda, ingenua ma sincera: ma che cosa vogliono da noi?
S.V. Lavrov: E’ una buona domanda. Io penso che i comportamenti dell’Occidente siano animati da molta nostalgia del periodo immediatamente successivo al crollo dell’URSS, quel momento in cui si sprecavano gli slogan di amicizia eterna perché la Russia era oramai entrata nel novero degli Stati civili…
Piatii Kanal: Vale a dire che avevano bisogno della Russia nel sistema degli Stati civili?
S.V. Lavrov: Evidentemente – sapete bene quante ricchezze naturali noi abbiamo, quanti spiriti brillanti, gente che crea prodotti, fa scoperte interessanti… Purtroppo molti di loro attualmente lavorano in Occidente, contribuiscono ai successi tecnologici sia degli USA che di molti paesi occidentali. Ma io sono certo che, mano a mano che noi recupereremo le nostre posizioni sull’arena mondiale, mano a mano che la nostra economia si svilupperà, questa gente ritornerà – già ne abbiamo degli esempi.
Per tornare alla sua domanda, dicevo che all’epoca noi eravamo già considerati come parte dell’Occidente, come una cosa che va da sé. Poi la Russia ha cominciato a tirarsi fuori dalla pesante crisi finanziaria, a riprendere forza sul piano economico, a risolvere i suoi problemi sociali e, sulla scena mondiale, a parlare con voce indipendente e non solo a seguire le ricette dettate dalle capitali occidentali, in primo luogo da Washington. E verosimilmente ciò è dispiaciuto a qualcuno. Ma se è stata effettivamente la percezione di una Russia nuova, sicura di sé, a scatenare le attuali reazioni, ciò vuol dire che evidentemente l’Occidente non può più contare su specialisti del nostro paese degni di questo nome.
E’ certamente una conseguenza dell’impoverimento culturale seguito al crollo dell’URSS, quando si è detto che era suonata la “fine della Storia”, che la Storia non avrebbe preso strade diverse e che il mondo intero avrebbe vissuto secondo i “canoni” occidentali. Quando queste previsioni si sono rivelate false, la cosa è dispiaciuta a molti e allora hanno cominciato a riversare su di noi il loro malumore e le loro negligenze.
Piatii Kanal: Perché, secondo lei, ci parlano oggi con un tono tanto sprezzante?
S.V. Lavrov: Si vede qui trasparire, con sempre maggiore evidenza e forza, una cosa del tutto inammissibile per dei politici degni di questo nome: l’irritazione personale. La personalizzazione delle dichiarazioni nei confronti della Russia e dei suoi dirigenti non fa onore a chi le pronuncia.
Piatii Kanal: Il quotidiano The Times ha pubblicato recentemente un articolo che elenca i “nemici dell’Occidente”: lo “Stato Islamico” e, dopo una virgola, la Russia. Come dobbiamo reagire?
S.V. Lavrov: A me sembra che noi siamo collocati addirittura al primo posto. Questo è qualcosa di non classificabile, è semplicemente “al di là del bene e del male”. Nello stesso preciso momento in cui questo articolo, firmato da B. Obama e D. Cameron, veniva scritto e pubblicato, gli Stati Uniti si sono rivolti a noi proponendo una riflessione sul modo migliore di collaborare nella lotta contro il terrorismo, soprattutto contro questo famigerato “Stato islamico”.
Piatii Kanal: Attualmente sono operativi dei programmi russo-statunitensi di lotta contro il terrorismo, il traffico di stupefacenti, la pirateria…?
S.V. Lavrov: Tutti questi programmi sono stati congelati per iniziativa degli USA. Ma quando oggi lo “Stato Islamico” viene dichiarato “nemico n.1” degli Stati Uniti, viene la tentazione di ricordare che esso è formato proprio da quella gente che ha ricevuto forti finanziamenti dall’estero quando è stato rovesciato il governo in Libia e si è tentato di fare lo stesso in Siria. All’epoca, sia gli Statunitensi che gli Europei annunciarono di sostenere la lotta contro quelli che chiamavano regimi “antipopolari” della Libia e della Siria. E quando noi abbiamo richiamato la loro attenzione sul fatto che tra gli avversari di quei regimi vi erano grandi quantità di combattenti estremisti e terroristi, ci hanno risposto: “Si risolverà. Cominciamo a rovesciare i regimi e poi ci occuperemo dei terroristi”.
Ma tutto è andato in modo diverso. I terroristi hanno rovesciato Gheddafi in Libia, poi sono passati al Mali, dove sono stati i Francesi – che li avevano essi stessi armati – che hanno dovuto combatterli. I Francesi non si sono nascosti, ne hanno parlato pubblicamente.
Ma se si combatte il terrorismo, occorre farlo sempre e ovunque. Non si possono considerare alcuni terroristi come “buoni” semplicemente perché contribuiscono al rovesciamento di un leader che non ci piace, benché sia stato eletto, che sia legittimo e governi uno Stato membro dell’ONU. E non si possono considerare come “cattivi” solo quelli che assassinano degli Statunitensi.
Voglio ricordare che gli USA si sono sentiti in dovere di intervenire solo dopo che la televisione ha mostrato le immagini abominevoli della esecuzione di giornalisti statunitensi. E’ una cosa inammissibile e inumana. Questo tipo di individui va combattuto con tutte le forze. Ma perché gli Stati Uniti non si sono accorti prima di questa minaccia? E’ perché hanno praticato, nella lotta al terrorismo, un approccio di due pesi e due misure. E non ci hanno ascoltato quando li abbiamo invitati a unire i nostri sforzi per aiutare lo stesso governo siriano a cerare, in collaborazione con l’opposizione patriottica moderata, un fronte comune contro i terroristi che hanno, nel senso letterale del termine, sommerso la Repubblica araba siriana.
Non ci hanno ascoltato. Assistiamo oggi alla creazione di una coalizione di lotta contro il terrorismo. Ma io tengo a dire: noi non abbiamo nulla da rimproverarci. Da molto tempo e senza alcuna coalizione, noi aiutiamo l’Iraq, la Siria e altri paesi della regione a rafforzare il loro potenziale nella lotta contro questo male. Noi forniamo un armamento moderno ed efficace all’Iraq, alla Siria, all’Egitto e allo Yemen, un armamento che è in grado di rafforzare la loro capacità di resistere al terrore.
Meglio tardi che mai. Se gli altri paesi occidentali sono oggi pronti ad aiutare il governo legale iracheno, non possiamo che esserne soddisfatti. E se vogliono lottare contro il terrorismo sul territorio di altri Stati, in primo luogo la Siria, dovranno evidentemente prima ottenere l’accordo dei relativi governi. Per parlare della Siria, i dirigenti di questo paese hanno più volte dichiarato di essere pronti a collaborare coi partner stranieri con l’obiettivo di sradicare il terrorismo dalla loro terra.