Stangata per i lavoratori
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Liberazione, 27 maggio 2010
La manovra contro il lavoro si sconfigge nel Paese
È arrivata la stangata. Una manovra pesantissima che colpisce i giovani, i lavoratori, in particolare quelli pubblici, determina il licenziamento di decine di migliaia di precari, taglia le risorse alle regioni e quindi al welfare, toglie autonomia agli enti di ricerca che forniscono i dati sulla situazione sociale del Paese. Una manovra con effetti depressivi, che aggrava la crisi e contemporaneamente ne scarica i costi sul mondo del lavoro complessivamente inteso: giovani, disoccupati, precari, lavoratori, pensionati. Una vera manovra di classe, condita da alcune insignificanti misure propagandistiche che servono solo a gettare fumo negli occhi.
Sbaglieremmo però se ci limitassimo a denunciare il carattere antisociale della manovra. La nostra critica deve partire dalla motivazione che la ispira. Il governo infatti dice: dobbiamo fare così per non finire come la Grecia, cioè per non essere soggetti agli attacchi della speculazione. Il punto è che questa motivazione è falsa. Bloccare gli speculatori – cioè le banche e i grandi investitori, tutti commensali dei governatori europei – non sarebbe molto difficile. Basterebbe decidere a livello europeo di fermare la vendita allo scoperto dei titoli pubblici, di obbligare la Banca Centrale Europea ad acquistare automaticamente i titoli di stato europei messi sul mercato, di tassare le transazioni finanziarie speculative (denaro in cambio di denaro). Con queste misure il meccanismo speculativo sarebbe messo in discussione all’origine e non avrebbe alcuna efficacia. Il punto è che i governi europei hanno deciso di utilizzare lo spauracchio della speculazione per ottenere il vero obiettivo, che è quello di demolire il welfare e ridurre ulteriormente il costo del lavoro in Europa. I governi non sono impegnati in una titanica lotta contro la speculazione,. ma semplicemente la utilizzano per giustificare il massacro sociale. Come negli anni ’90 l’ingresso nell’Euro è stato usato per un generalizzato attacco contro i lavoratori, oggi viene usata la speculazione. Un fantomatico nemico esterno viene evocato per sconfiggere il nemico interno, i lavoratori. Il fatto che questa elementare verità non emerga è dovuto alla circostanza che tutti i governi europei, di centrodestra come di centrosinistra, l’hanno condivisa. Centrodestra e centrosinistra concordano infatti nel proposito di non uscire dalle politiche neoliberiste che sono all’origine della crisi. Il punto è che le classi dirigenti europee non sanno che fare e quindi proseguono con la scorciatoia di sempre: rendere più stretti i vincoli di Maastricht e ridurre il costo del lavoro. Proprio le ricette che hanno portato l’Europa ad essere il continente che più di tutti paga la crisi economica.
La nostra iniziativa non può quindi limitarsi a contestare la manovra nel merito. Sarebbe un’azione destinata alla sconfitta perché permetterebbe al governo di motivare il tutto in nome dell’interesse generale. La nostra campagna deve partire dalla denuncia che governi e speculatori stanno dalla stessa parte della barricata e sono uniti contro i lavoratori. Deve persuadere che questa manovra non ci fa uscire dalla crisi ma la aggrava, ponendo le condizioni per subire domani altre stangate.
Dobbiamo quindi dire con chiarezza che la difesa del welfare, dei diritti e dei salari dei lavoratori, dell’occupazione contro ogni licenziamento, costituisce l’unico modo per difendere gli interessi generali della società e l’unica via di uscita dalla crisi.
Se quanto sopra affermato è vero, è evidente che il luogo dove si può cambiare la manovra non è il parlamento, ma il Paese. In parlamento potremo avere aggiustatine, tentativi di coinvolgere l’opposizione, ma nessun cambiamento di sostanza. Il solo modo per impedire questa stangata consiste nel costruire un movimento di massa nel Paese che si opponga a queste misure.
Per questo sabato saremo nelle piazze di tutte le città a denunciare l’operazione antisociale in corso. Per questo sabato 5 saremo in piazza con il sindacalismo di base a manifestare a Roma e a Milano. Per questo proponiamo a tutte le forze dell’opposizione - parlamentare e non - di unirsi per mettere il governo in minoranza nel Paese. Denunciamo la subalternità di Cisl e Uil, complici del governo nel narcotizzare il Paese e chiediamo alla Cgil di assumere immediatamente iniziative di lotta, sciopero generale compreso. Questa manovra è contro la società. Occorre organizzare la risposta sociale per impedirla. Se è vero, come dice Gramsci, che la storia dei partiti la si deve scrivere a partire dal ruolo che i partiti hanno nella storia del Paese, oggi è il tempo di dimostrare che esiste in questo Paese la sinistra di alternativa. La capacità di costruire relazioni sociali e alleanze politiche la si deve misurare nel concreto, perché la speranza non può essere ricostruita nella delega, ma nello sviluppo consapevole della lotta.
Paolo Ferrero
Liberazione, 28 maggio 2010
Chi e come sta saccheggiando il Paese
Alla fine, un accorato Berlusconi, abbandonate le vesti del prestigiatore, del re Mida capace di trasformare (a parole) il bronzo in oro, ha spiegato l’ineluttabilità della manovra del governo e dei tagli che vi sono contenuti raccontando una stolida favoletta, il cui senso è tutto nella stupefacente espressione: «abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità», per cui «ora servono i sacrifici». Memorabile! Una parte del Paese ha in effetti vissuto ben al di sopra delle risorse disponibili, drenandole appunto dal lavoro, saccheggiando lo stato sociale, buggerando il fisco e sequestrando vitali sostanze pubbliche, per poi presentare il conto, salatissimo, all’altra faccia del Paese, quella già derubata di lavoro, di reddito, di diritti e di futuro.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per documentare queste affermazioni.
Il governo sta per fare cassa mettendo un cappio al collo dei lavoratori pubblici i quali - in ragione del blocco contrattuale - lasceranno nelle mani del governo, mediamente, 1600 euro cadauno in tre anni. Contribuiranno alla salvezza nazionale anche i pensionati che andranno a riposo sei mesi più tardi, nonché tutti coloro i quali, una volta maturatone il diritto, percepiranno più tardi e a rate l’indennità di fine rapporto. Il resto del lavoro sporco viene poi subappaltato, per interposta istituzione, agli enti locali, che compenseranno con un taglio secco dei servizi e delle prestazioni sociali il mancato trasferimento di sei miliardi da parte dello Stato. Ebbene, queste misure vengono spacciate, urbi et orbi come necessità oggettive, soluzioni senza alternative per salvare la barca che fa acqua. Anche qui, la menzogna è marchiana. Nei provvedimenti non c’è neppure l’ombra di un prelievo sui grandi patrimoni, mentre l’annunciata lotta all’evasione fiscale si presenta come la “bufala” del secolo. Le migliaia di (potenziali?) evasori che figurano nella lista Falciani (in gran parte imprenditori, signora Marcegaglia, e in gran parte lombardi, ministro Bossi), titolari di conti per 7 miliardi di dollari, custoditi nei forzieri svizzeri, potranno dormire tranquilli se avranno a suo tempo utilizzato lo scudo fiscale ideato dal ministro Tremonti. E che dire dei Grand Commis di Stato, cui non viene chiesto di rinunciare ad un soldo (ne parliamo a pagina 4) delle laute, opache prebende che remunerano le loro molteplici “attività”?
In questi giorni, alcune inchieste del giornalismo televisivo hanno rivelato che le “autoblu” in dotazione alla politica superano abbondantemente le seicentomila, quasi dieci volte quante ve ne sono negli Stati Uniti, per una spesa complessiva di circa 20 miliardi, un importo quasi equivalente a quello dell’intera manovra correttiva. Non se n’era accorto il sedicente moralizzatore della vita pubblica, quel ministro Brunetta che va millantando inesistenti crediti nella efficientizzazione dell’amministrazione dello Stato e che soltanto oggi ha annunciato un censimento per accertare lo stato delle cose?
Ieri si è svolta anche l’assemblea annuale di Confindustria, quella del centenario, occasione di una esibizione muscolare della presidentessa della maggiore organizzazione imprenditoriale del Paese. Emma Marcegaglia e i suoi hanno incassato volentieri un pacchetto di provvedimenti che ai padroni non chiede assolutamente nulla, tanto meno sul fronte della difesa dell’occupazione. L’idea di un blocco salariale e di una ennesima sforbiciata sul welfare è, da sempre, musica per le orecchie di lorsignori. E se di qualcosa costoro si lamentano è che quelle misure siano prevalentemente transitorie, piuttosto che strutturali. Essi vorrebbero che la competitività delle imprese si alimentasse essenzialmente di un regime di ancor più bassi salari, trascurando persino il fatto che, così facendo, la domanda, non più trainata dal mercato interno, è condannata a ristagnare, deprimendo la produzione stessa e affossando qualsiasi prospettiva di ripresa. Su tutto prevale, nel padronato nostrano, l’istinto corporativo, anzi: bottegaio. Altro che classe dirigente nazionale.
Di fronte a questa spettacolare esibizione di ingiustizia, protervia, inettitudine, spreco è condizione irrinunciabile dispiegare la più estesa, durevole mobilitazione sociale. Che per riscuotere il necessario consenso deve poggiare su una credibile piattaforma alternativa, non su qualche estemporaneo palliativo. Ci sono tutte le condizioni per costruire questa proposta, che emerge quasi da sé dal bilancio dello Stato, dai rapporti dell’Istat sulla distribuzione della ricchezza, o dai dati che la Corte dei Conti e l’Agenzia delle Entrate mettono periodicamente a nostra disposizione. Ecco un cimento nel quale la Federazione della Sinistra può trovare contributi importanti, stringere legami di solidarietà, tessere alleanze che prefigurano un campo di forze impegnate a praticare nella crisi il cambiamento, anziché soltanto auspicarlo.
Dino Greco