Raid statunitensi in Libia
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Cf2R (centre Français de Recherche sur le Renseignement), 24 frebbraio 2016 (trad. ossin)
Raid statunitensi in Libia
Alain Rodier
Venerdì 19 febbraio, alle 3,30 del mattino, diversi caccia-bombardieri statunitensi F-15E hanno colpito l’edificio principale di una fattoria in località Qasr Al-Allagh, a sette chilometri dalla città di Sabratha, a sua volta situata a 70 chilometri a ovest di Tripoli. Secondo il sindaco della città, 41 persone sono rimaste uccise, altre sei sono rimaste ferite e ricoverate in ospedale
Gli apparecchi della US Air Force erano decollati dalla base britannica di Lakenheath. La stessa dalla quale erano partiti, il 15 aprile 1986, gli F-111 dell’operazione El Dorado Canyon, che avrebbe dovuto eliminare il presidente Gheddafi. All’epoca i velivoli USA non avevano ottenuto l’autorizzazione a sorvolare i territori francese, italiano e spagnolo.
Non è la prima volta che degli F-15E intervengono in Libia, in quanto il 13 novembre 2015 l’iracheno Wissam Najm Abd Zayd Al-Zoubaydi – alias Abou Nabil – l’emiro di Daesh per la Libia e ex dirigente di Al Qaeda in Iraq – è rimasto ucciso durante un raid aereo statunitense nella regione di Derna, a nord-est del paese.
Sembra che droni delle forze speciali USA sorveglino la zona da settimane, giacché essa è ben conosciuta come rifugio dei salafiti-jihadisti di Daesh, ma anche di Ansar Al-Charia Tunisia. Il capo di quest’ultimo movimento è Seifallah Ben Hassine – alias Abou Iyadh – un ex luogotenente di Osama Bin Laden liberato dalle prigioni tunisine nel 2011, ed emigrato in Libia nel 2013. E’ stata annunciata la sua morte durante un bombardamento statunitense del giugno 2015, informazione poi smentita (1). Fin dall’inizio è sempre restato fedele a Al Qaeda “canale storico” ma non ha mai mostrato particolare animosità nei confronti di Daesh, Ha svolto anche funzioni di intermediario tra le due organizzazioni per appianare un certo numero di questioni che avrebbero potuto sorgere tra le due entità nel Maghreb. Questo spiegherebbe la presenza nello stesso luogo di elementi appartenenti alle due organizzazioni “rivali”.
Erano stati rilevati dei movimenti sospetti, individui che raggiungevano a piccoli gruppi questa fattoria, pomposamente battezzata “campo di addestramento”. Sembra si trattasse piuttosto di una stazione di transito per i numerosi volontari jihadisti provenienti dalla Tunisia. Nessun tiro a segno, percorso a ostacoli o antenne di trasmissioni erano visibili dal cielo. Noureddine Chouchane (nella foto a destra), un tunisino ricercato per la partecipazione agli attentati al Museo del Bardo, a Tunisi il 18 marzo 2015 (23 uccisi), e sulla spiaggia dell’hotel Riu Marhaba di Sousse (39 uccisi), il 26 giugno dello stesso anno (2), si sospetta si trovasse anch’egli sul posto. Secondo Washington, Noureddine Chouchane – la cui morte non è stata ancora confermata – stava preparando altri attentati contro interessi occidentali.
Questa operazione ha tuttavia provocato un dramma. In alcun modo i servizi di informazione USA e britannici, pur attivissimi nella regione, avevano rilevato in quella fattoria la presenza di due diplomatici serbi tenuti in ostaggio dall’8 novembre 2015. E tuttavia, tra le macerie, sono stati ritrovati anche i cadaveri della responsabile delle informazioni della rappresentanza diplomatica serba, Sladjana Stankovic, e del suo autista Jovica Stepic. Ciò dimostrerebbe ancora una volta che siano stati privilegiati i metodi di raccolta tecnica delle informazioni, rispetto a quelli di provenienza umana. Non era stato così quando si localizzò Osama bin Laden ad Abbottabad (Pakistan), un medico pachistano collaboratore della CIA, attualmente in prigione nel suo paese, si mangia ancora le mani per questo.
Nessun metodo è più efficace degli altri; in realtà sono tutti complementari, informazioni raccolte attraverso apparati tecnici, quelle di provenienza umana e quelle frutto di collaborazione (gli scambi coi servizi stranieri). Tutto si riduce poi ad una questione di controlli incrociati. Nell’operazione del 19 febbraio, se le informazioni di provenienza tecnica hanno ben consentito di localizzare la casa dove andava a dormire un certo numero di jihadisti, non hanno permesso di individuare chi effettivamente si trovasse in loco e, soprattutto, di rilevare la presenza dei due ostaggi serbi. Solo informazioni di origine umana lo avrebbero consentito. E ciò avrebbe mutato qualcosa? Verosimilmente sì, in quanto avrebbe potuto essere ipotizzata - sebbene estremamente difficile e rischiosa – un’operazione tipo commando imperniata sul duplice obiettivo neutralizzazione/liberazione degli ostaggi.
Sul piano politico, il governo ad interim, che si è appena formato grazie a tutti gli intrighi supervisionati dalle Nazioni Unite, ha condannato fermamente questo intervento, considerato come una “evidente e flagrante violazione della sovranità dello Stato libico e delle regole internazionali (…) ogni intervento politico o militare negli affari interni libici deve rispettare la legalità ed ottenere l’accordo del Parlamento e del nuovo Governo”. Aggiungendo che esso attribuisce l’aggravamento della situazione economica, sociale e securitaria, che ha permesso lo stabilirsi di queste organizzazioni (Daesh) in Libia, alla comunità internazionale”. Ciò è una promessa per il futuro.
Note:
[1] E’ possibile per altro che figuri tra le vittime del raid del 19 febbraio
[2] Entrambe le operazioni sarebbero state rivendicate da Daesh