Sputniknews, 1° dicembre 2015 (trad. ossin)
 
 
I Rockefeller di Raqqa: il business del petrolio di Daesh messo a nudo
Il figlio di Erdogan commercia il petrolio di Daesh?
 
 

Mentre tanto si discute ancora sulle fonti di finanziamento di Daesh, opportuno è interrogarsi con franchezza su chi siano coloro che si occupano della distribuzione del petrolio brut rubato. E su dove, alla fine de conti, il brut vada a finire
 
 
All’inizio del mese di novembre, il leader russo Vladimir Putin ha fatto il punto sulle operazioni anti-jihadiste:
 
“Vi ho mostrato delle foto prese dallo spazio, da un satellite spaziale, che danno una chiara idea della dimensione del traffico illecito di petrolio e di prodotti petroliferi”, ha dichiarato ai giornalisti a margine del summit del G20 di Antalya.
 
Lo stesso giorno, gli Stati Uniti hanno distrutto quasi un centinaio di camion cisterna di Daesh che trasportavano oro nero. In seguito, nelle due settimane successive, Mosca e Washington ne hanno distrutti circa 1300.
 
 
La rotta del petrolio di Daesh
 
Dove va il petrolio di Daesh?
Occorre qui fornire qualche chiarimento su questa “rotta del petrolio” di Daesh. Ceyhan, città portuale sita nella provincia di Adana, in Turchia, è evidentemente il cuore delle attività di contrabbando, ospitando i terminal dai quali il petrolio curdo, giuridicamente illegale, prosegue il suo percorso verso altri paesi. Il petrolio viene trasportato in quantità che superano il milione di barili al giorno e, dato che Daesh non è mai stato in grado di vendere più di 45.000 barili al giorno, risulta evidente che l’individuazione di una simile quantità di brut non possa essere effettuata con metodi di rilevazione degli stock. In altri termini, se il petrolio di Daesh viene trasportato attraverso il porto di Ceyhan, esso è come invisibile (confuso come è con quello curdo). 
 
Ecco dunque dove la cosa comincia a farsi interessante. Il portale Al-Araby al-Jadeed, con sede a Londra, è riuscito a ricostruire il percorso del brut di Daesh, sulla base di quanto appreso da un rappresentante dei servizi di informazione iracheni.
 
“Dopo che il petrolio è stato estratto, i veicoli sui quali viene caricato partono dalla provincia di Ninive in direzione Zakho (una città del Kurdistan iracheno prossima alla frontiera turca, ndr), a 88 chilometri da Mossul. A Zakho, i 70/100 veicoli sono attesi da elementi della mafia specializzata nel contrabbando di petrolio, di cui fanno parte dei Siriani, dei Curdi iracheni, oltre a dei Turchi ed a qualche Iraniano”, spiega.
 
In seguito, il responsabile delle operazioni vende il petrolio al cliente che ha fatto l’offerta maggiore. In questa attività, la competizione tra i vari gruppi è elevatissima, e sono assai frequenti sanguinari regolamenti di conti.
 
Il cliente paga immediatamente dal 10 al 25% del valore del brut, di solito il resto viene pagato dopo. I conduttori cedono i veicoli ad altri autisti, forniti di tutti i documenti necessari per attraversare la frontiera con la Turchia, mentre i conduttori “iniziali” tornano, a bordo di veicoli vuoti, nei territori controllati da Daesh.
 
 
 
 
Una volta entrati in Turchia, i veicoli che trasportano questo tesoro petrolifero proseguono il cammino verso la città di Silopi, dove una persona conosciuta col nome di dottor Farid, Hajji Farid o anche zio Farid, mette finalmente le mani su questo oro nero. E, all’interno del paese, il petrolio di Daesh si confonde con quello venduto dal governo regionale del Kurdistan, giacché entrambi sono considerati “illegali”, “provenienti da fonte sconosciuta” e “non autorizzati”.
 
In seguito, i gruppi petrolieri trasportano il brut, attraverso dei porti turchi, fino in Israele, il principale cliente di Daesh in materia di petrolio. Qui, i gruppi che acquistano il brut dal governo regionale del Kurdistan, acquistano inevitabilmente anche quello di Daesh, sottolinea Al-Araby al-Jadeed.
 
 
Chi sono i mediatori di Daesh?
 
Come si può vedere nella mappa in alto, il petrolio arriva direttamente da Ceyhan al porto israeliano di Ashdod, ma un’altra questione si pone, se anche Malta sia coinvolta in questo traffico illecito, dal momento che la società di trasporto marittimo appartenente al figlio del presidente turco Bilal Erdogan, ha la sua sede proprio in quest’isola del Mediterraneo.
 
Negli ultimi mesi, la società BMZ Group ha comprato due navi dall’impresa Palmali Denizcilik, per un totale di 34 milioni di dollari. Coincidenza? Forse. Ma sembra molto probabile che la famiglia Erdogan partecipi deliberatamente al traffico del brut di Daesh, anche in considerazione di tutti i trucchi messi in campo da Ankara per trafficare in petrolio curdo illegale. Vale a dire, se Ankara si ingegna a trasportare il brut curdo, perché non trasportare, attraverso i medesimi canali, anche quello di Daesh?
 

“Tutto questo brut è stato consegnato alla società che appartiene al figlio di Recep Tayyip Erdogan” (nella foto a sinistra, con la moglie), sostiene il ministro siriano dell’informazione, citato da Zero Hedge. “Ecco per quale motivo la Turchia si è improvvisamente preoccupata, quando la Russia ha cominciato gli attacchi aerei contro le infrastrutture di Daesh e ha distrutto più di 500 camion-cisterna che trasportano il petrolio”, prosegue.
 
Alla fine dei conti, non conosceremo probabilmente mai la storia completa, ma i fatti certi ci inducono a supporre, almeno, che non solo Ankara procura agli jihadisti munizioni e finanziamenti, ma svolge anche il ruolo di facilitatore nel traffico illecito di brut, con le società come quella di Bilal Erdogan e le altre che comprano petrolio curdo, che fungono da mediatrici.
 
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