Il Diritto alla città, alcuni appunti
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Il Diritto alla città, alcuni appunti
Presentiamo un resumè dell’articolo di David Harvey apparso su New Left Review 53 (Settembre-Ottobre 2008)
David Harvey ha compiuto uno studio sull’urbanizzazione relazionata al processo di accumulazione e ne ha analizzato gli sviluppi sotto il capitalismo. La prima domanda che si pone è: “ha l’urbanizzazione contribuito al benessere umano?”. Risponde a questa domanda con le parole del sociologo Robert Park, il quale considera la città il più grande successo dell’uomo nel modellare il mondo in cui vive. Ma al contempo la città è a anche il luogo in cui l’uomo è costretto a vivere, per cui ne è modellato. Ne deriva che “la città che vogliamo” non puo' prescindere dalla questione dei legami sociali (relazione che riguarda la natura, lo stile di vita, la tecnologia, i valori estetici). Il “diritto alla città è più di una libertà individuale ad accedere alle risorse offerte dall’urbe: è il diritto di cambiare noi stessi attraverso il cambiamento della città”. E' un diritto comune ancor più che individuale perché il “rimodellamento” è compiuto da un potere collettivo. Quindi la libertà di fare e rifare le nostre città, cioè “noi stessi”, è uno dei più preziosi e al contempo trascurati dei diritti umani.
Fin dal loro inizio le città si sono sviluppate sotto l’impulso della concentrazione geografica e sociale e dal surplus di capitale. Quindi l’urbanizzazione è sempre stato un fenomeno di classe, dato che il surplus è estratto da qualcuno a vantaggio di qualcun altro.
Se il lavoro è scarso e i salari elevati, o si induce la disoccupazione tramite innovazioni tecnologiche e attaccando le organizzazioni dei lavoratori, oppure nuove forze fresche vengono cercate nell’immigrazione, nell’esportazione di capitali e nella proletarizzazione di elementi fino ad allora indipendenti. Inoltre i capitalisti devono trovare nuovi mezzi d produzione e nuove risorse, il che genera una pressione crescente sull’ambiente. La ricerca di nuove materie prime è motivo di politiche neo-coloniali.
Se non c’è domanda nel mercato, allora nuovi mercati devono essere trovati attraverso l’espansione del commercio estero, promuovendo nuovi prodotti e stili di vita diversi, creando nuovi strumenti di credito per aumentare il consumo di stati e cittadini privati.
Alla fine se proprio nessuna barriera riesce ad essere superata, i capitalisti sono incapaci di reinvestire i loro profitti e l’accumulazione è bloccata, cio’ li lascia di fronte ad una crisi. In questo quadro secondo il parere di Harvey la città ha svolto un ruolo attivo nel permettere l’uscita dalla crisi tanto quanto lo è stato la spesa militare nell’assorbire il surplus di capitale.
Consideriamo innanzitutto il caso della Parigi del Secondo Impero. Il 1848 fu il primo chiaro esempio di crisi su vasta scala prodotta da eccesso di capitale “non reinvestito” e di eccesso di lavoro disponibile. Questa crisi condusse i lavoratori disoccupati e la borghesia utopica ad una sollevazione che si concluse con una decisa repressione da parte della borghesia repubblicana. Il risultato fu l’ascesa di Napoleone III che nel 1851 si proclamo’ imperatore. Questi si impegno’ in un vasto programma economico sia interno che esterno alla Francia (ferrovie, il canale di Suez, porti, acquedotti), ma soprattutto pianifico’ la riconfigurazione dell’infrastruttura urbana di Parigi, affidata a Georges-Eugene Haussmann nel 1853.
Quando Haussmann accetto’ l’incarico era cosciente del fatto che aveva un compito più vasto del semplice “ammodernamento” della città, doveva risolvere la crisi di accumulazione. Per dare un’idea dell’entità del fenomeno citiamo il caso dei progetti per i nuovi “boulevard”, proposti dall’architetto Hittroff, che furono respinti da Haussmann in quanto non abbastanza larghi. Per un’opera di tale grandezza era necessario un credito altrettanto vasto. E' innegabile che con queste opere proto-keynesiane egli sia riuscito a risolvere l’impasse. Tale sistema funziono’ per 15 anni, e produsse nuovi stili di vita. Parigi divenne “la città della luce”, il grande centro di consumo, di turismo e di piacere. Ma nel 1868 il sistema finanziario e creditizio crollo’ nuovamente. Haussmann fu dimesso e Napoleone II si impegno’ in una guerra con Bismark che, come si sa, perse.
Nel 1940 la vasta mobilitazione bellica americana risolse temporaneamente il problema di accumulazione che, ancora nel 1930, sembrava irrisolvibile. Ma dopo la guerra cosa sarebbe successo? La situazione, dal punto di vista delle classi dominanti, era critica, infatti il governo federale gestiva un apparato economico largamente nazionalizzato, in più gli USA erano alleati dell’Unione Sovietica e nuovi movimenti popolari stavano emergendo. Serviva una repressione politica per ristabilire le redini del comando nelle mani delle classi dominanti. La storia del maccartismo e della storia successiva sono un evidente segno di cio’. Ma la questione rimaneva: come riassorbire il surplus?
Nel 1942 uno studio della politica urbana di Haussmann apparve su Architectural Forum che documentava nel dettaglio in cosa consisteva la sua opera. L’autore dell’articolo era Robert Moses, che dopo la Seconda Guerra Mondiale fece di New York cio’ che Haussmann aveva fatto di Parigi. Attraverso un sistema di superstrade e trasformazioni infrastrutturali, non solo della città ma dell’intera area metropolitana, riusci’ a riassorbire il capitale “non investito”. In questo modo, risveglio’ le nuove istituzioni finanziarie che liberarono il credito per l’espansione delle altre città.
Il processo di “periferizzazione” non ebbe solo aspetti infrastrutturali, essa, cosi’ come nel Secondo Impero, contribui’ ad una trasformazione degli stili di vita (strade a doppia corsia, crescita del consumo di petrolio). Cambio’ il paesaggio e favori’ l’acquisto di case da parte delle classi medie, reindirizzando i valori umani verso la proprietà privata, portando quindi acqua al mulino dei repubblicani. Si disse che dei proprietari indebitati difficilmente fanno scioperi. Cosi’ si assorbi’ il surplus e si genero’ “pace sociale”.
Ma negli anni ’60 una serie di crisi cominciarono ad emergere; Moses, cosi’ come Haussmann sotto Napoleone III, cadde in disgrazia. I tradizionalisti, riuniti intorno a Jane Jacobb, si opposero all’estetica “modernista” espressa da Moses. Le conseguenze sociali della nuova conformazione urbana condussero le femministe a proclamare i sobborghi il principale motivo dei loro mali. La “haussmannizzazione” ebbe parte nelle dinamiche della Comune di Parigi, ma anche i nuovi sobborghi giocarono il proprio ruolo nei drammatici episodi del 1968 americano.
Le stesse istituzioni finanziarie che nel 1968 avevano favorito il processo di “proprietizzazione” dell’immobiliare conobbero una crisi creditizia. Nel 1973 si produsse una crisi a causa dello scoppio della bolla speculativa, seguita poi dalla bancarotta della città di New York nel 1975.
Henri Lefebve scrisse “The Urban Revolution” in cui sostenne che non solo l’urbanizzazione è fondamentale per la sopravvivenza del capitalismo e per la lotta di classe, ma che annullava anche la discontinuità tra città e campagna attraverso la costruzione di spazi integrati e transnazionali.
Per ricollegarci alla nostra recente congiuntura, diciamo che l’immobiliare è stato la panacea che ha risolto la crisi della bolla speculativa High Tech dell’ultimo periodo degli anni ’90. E’ probabile che l’espansione urbana americana sia stato il principale fattore di stabilità dell’economia mondiale, cosi’ come l’enorme debito contratto dagli Stati Uniti con il resto del mondo. Lo stesso si puo’ dire per le altre economie in espansione (Inghilterra, Spagna) che hanno puntato sulle infrastrutture. Il fenomeno cinese è ancora più imponente, più di un centinaio di città sono passate da un milione a circa 10 milioni di abitanti. Le conseguenze per l’economia mondiale e per l’assorbimento del surplus sono state notevoli. Il boom del Cile è dovuto all’alto prezzo del rame, ma anche l’Australia, il Brasile e l’Argentina si sono ripresi grazie alla forza della domanda cinese di materie prime.
La domanda che ne viene è ovvia: la crescita cinese è attualmente il principale fattore di stabilizzazione del capitalismo mondiale? La risposta non puo’ che essere “si”. La banca centrale cinese si impegno’ nel mercato dei mutui americani nel periodo in cui Goldman Sachs era pesantemente impegnata nell’emergente mercato immobiliare di Mumbai. Capitali di Hong Kong furono investiti a Baltimora. A questo punto ci dobbiamo chiedere se la Cina riuscirà a compensare la crisi innestata dagli Stati Uniti, visto che anche li’ il processo di urbanizzazione sta rallentando.
L’imponente fase di urbanizzazione e di “proprietizzazione” ha comportato un radicale cambiamento nello stile di vita. Le Gallerie commerciali, i multiplexer, i box stores, i fast food sono proliferati. E’ in questa nuova etica individualista e nel suo corrispettivo neoliberale di ritiro dalla vita pubblica che si delinea il nuovo scenario della società umana. La difesa dei valori della proprietà fa diventare le associazioni dei piccoli proprietari di case dei bastioni della reazione. Nelle città (soprattutto del Sud del mondo) si costituiscono dei veri e propri “microstati” nelle città: polizia privata, scuole esclusive, corsi di golf, club di tennis. In questo contesto i valori di cittadinanza, già profondamente minati dal neoliberalismo, diventano ancora più difficili da sostenere. All’organizzazione dei ricchi si contrappone l’organizzazione dei poveri tramite la criminalità che compie saccheggi nelle città.
L’assorbimento del surplus tramite la trasformazione urbana ha anche una faccia malvagia, che ovviamente è quella rivolta ai poveri. Per trasformare la città bisogna distruggere quella precedente e l’unico mezzo per farlo è l’esproprio e la violenza contro i ceti disagiati. Non è un caso che il miglior metodo è proprio quello che prende il nome dal noto ingegnere francese, “metodo Haussmann”: non importa la ragione, l’importante è il risultato.
Il processo sarebbe il seguente: Parigi ci mise un centinaio di anni a vedere l’imborghesimento del proprio centro cittadino, una volta compiuto, il terreno raggiunse un valore incomprensibilmente elevato, dopodiché avvenne la rimodellazione urbana tramite la costruzione di nuovi edifici più adeguati alla nuova situazione. Sta accadendo lo stesso in Asia?
Nel 1990 le colline di Seoul furono invase da squadracce pagate dalle compagnie di costruzione che cacciarono gli abitanti del luogo; adesso sorgono immensi grattacieli.
Daharvi, un quartiere popolare di Mumbai sarà la prossima vittima, è stato stimato che abbia un valore potenziale di 2 miliardi di dollari, deve essere solo svuotato, distrutto e poi ricostruito per la borghesia arricchitasi nel boom.
I poveri riceveranno un compenso? I più fortunati riceveranno una miseria, per la maggioranza invece c’è una sentenza della Corte costituzionale indiana che ricorre addirittura alla Costituzione, nella quale c’è scritto che il governo indiano è obbligato a proteggere le vite ed il benessere della popolazione. Ebbene grazie a questa norma se gli abitanti sono illegali (la maggioranza non puo’ provare la lunga residenza) allora non hanno diritti a compensi di nessun genere.
Anche nel paese del “Liberalismo”, gli USA, la corte costituzionale ha permesso agli stati di espropriare i box auto e le case di poco valore; secondo la corte costituzionale alfine di incrementare la base di riscossione fiscale è lecito espropriare i privati cittadini.
Gli esempi di apparenti contraddizioni non mancano. La Cina grazie all’assenza di un diritto privato puo’ espropriare i propri poveri senza alcun risarcimento ricorrendo spesso alla violenza brutale. Come dice Lefebvre, i più colpiti sono coloro che vivono nelle zone rurali, proprio in virtù dell’annullamento delle differenze città-campagna. Il capitalismo, tramite l’espansione della città, non ha rimorsi, lo hanno imparato bene gli agricoltori del Nandigram (West Bengala) nel 2007, vittime di un vero massacro stile XXI secolo. Lo stesso processo sta avvenendo per le favelas di Rio.
Ogni volta che termina un periodo di assorbimento di capitale sia per le violenze che ha generato, sia per le trasformazioni sociali che ha portato si apre una fase rivoluzionaria e di crisi: la Comune di Parigi nel 1871 e il 1968 negli USA dopo l’assassinio di Martin Luther King. A questo punto, si chiede l’autore: dov’è la nostra Comune? Dopo la crisi finanziaria segni di ribellioni sono ovunque: America Latina, India, Cina. Queste rivolte sono contagiose.