De Magistris e la sua rivoluzione colorata
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Intervento, luglio 2017 - E' davvero "di sinistra" il movimento di Luigi De Magistris? E quali prospettive ha di crescita nazionale? (nella foto, la bandana arancione di De Magistris)
Corriere del Mezzogiorno (editoriale), 29 giugno 2017
De Magistris e la sua rivoluzione colorata
Nicola Quatrano
I risultati delle amministrative non sembrano avere portato grandi novità. Più che altro hanno confermato le tendenze che già gli osservatori più attenti avevano colto: il rafforzamento della destra, minato però da problemi di leadership, la crisi dei 5 stelle (trainata dalla delusione di chi aveva sperato in Tsipras o Trump), il fallimento della vocazione maggioritaria del PD, l’apertura di uno spazio a sinistra (in parallelo con le inattese performance di Melenchon e Corbyn). Proiettati sulle prossime (non più imminenti) elezioni nazionali, questi risultati confermano la prospettiva della ingovernabilità e di larghe intese pastrocchiate, che risulteranno più o meno inevitabili. A meno che il centro-destra non riesca a designare un candidato unitario, e/o il centro sinistra non ritrovi un progetto comune.
Sul piano locale, la principale curiosità riguardava i risultati di demA. Non ha “scassato”: le sue percentuali vanno dal 2,79 di Torre Annunziata al 6,83 di Bacoli, con l’unica eccezione di Arzano dove ha totalizzato il 14,57 e ha sostenuto il sindaco vincitore del ballottaggio. Ma non per questo ri-battezzeremo demArzano la creatura politica di De Magistris, che comunque riesce a marcare una presenza provinciale. E’ chiaro però che non dispone di una forza elettorale autosufficiente, e che anche per lei si pone il problema delle alleanze, e di entrare in una coalizione.
Ma quale? Qualche giorno fa Gennaro Ascione si chiedeva, con perfida lucidità, se l’esperienza di De Magistris possa davvero definirsi “di sinistra”. Il quesito ha un senso, non fosse altro per la bandana arancione (e non rossa) con cui il neo eletto sindaco diede un colore alla sua prima vittoria del 2011. Non so quanto consapevolmente, ma egli volle richiamarsi alle cosiddette rivoluzioni “colorate” (rosa, arancione, tulipano), che avevano sovvertito certi paesi dell’est, come la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004) e il Kirghizistan (2005) e che hanno poi anche ispirato le “primavere arabe”. Tutte vicende che sarebbe quanto mai azzardato definire “di sinistra” (con buona pace dei problemi attuali di coalizione).
Otpor (Resistenza), il movimento che provocò la caduta del governo serbo di Slobodan Milosevic, non ha niente a che vedere, non dico con Karl Marx, ma nemmeno con Willy Brandt, rifacendosi piuttosto alla pratica della resistenza individuale non violenta, teorizzata dal filosofo statunitense Gene Sharp, e alla sua opera “From Dictatorship to Democracy” (Dalla Dittatura alla Democrazia). Dopo il primo successo, Srda Popovic, uno dei suoi fondatori, ha creato CANVAS, un centro che ha consigliato e formato tutti gli altri movimenti successivi, con il sostegno economico di numerose organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia, come l’USAID, la NED, l’IRI, il NDI, Freedom House e l’OSI, strutture a loro volta finanziate dal bilancio USA o da capitali privati statunitensi. Soprattutto da George Soros, il noto miliardario di origini ungheresi, fondatore delle Open Society Foundations, la cui ideologia (solo in parte riconducibile all’opera di Karl Popper) è un miscuglio di mondialismo elitario e di neoliberismo, forti legami con gli ambienti sionisti ed una radicale ostilità verso la Russia. Sarebbe dunque utile che, nella prospettiva di una coalizione di sinistra, demA chiarisca i propri riferimenti ideali.
Tanto più che il personaggio Soros, con un patrimonio attuale stimato in 26 miliardi di dollari, ha le carte in regola per impersonare la parte del “cattivo” agli occhi della gente di sinistra. La sua storia è già leggenda: vero o falso che sia, lo si dà per collaboratore dei nazisti, pur essendo ebreo, a Budapest nel 1944-45, mentre è storicamente indiscutibile la sua speculazione contro la Banca di Inghilterra durante il Black Wednesday del 1992, che gli fece guadagnare un miliardo di sterline (con danni enormi per la povera gente). Insomma un personaggio che difficilmente può essere apprezzato da una sinistra che non ha mai abbandonato (almeno a parole) i propri riferimenti di classe. E col quale (a differenza di Yaris Yanoufakis) non credo che Che Guevara avrebbe accettato di avere una qualche relazione.