ProfileIntervento, novembre 2017 - La bandiera catalana, esposta a un balcone (un po’ laterale) di Palazzo San Giacomo, anche se prontamente ritirata, ha imposto i (sempre meno) tragici avvenimenti in corso in Spagna all’attenzione dei napoletani (nella foto, la bandiera catalana a Palazzo San Giacomo)

 

 
Il popolo secondo De Magistris
di Nicola Quatrano
 
La bandiera catalana, esposta a un balcone (un po’ laterale) di Palazzo San Giacomo, anche se prontamente ritirata, ha imposto i (sempre meno) tragici avvenimenti in corso in Spagna all’attenzione dei napoletani. In sintonia con la speciale “vicinanza” a Barcellona, già affermata da Luigi de Magistris quando Ada Colau fu eletta sindaco
 
La bandiera catalana esposta a una finestra di Palazzo San Giacomo
In cosa consista questa “vicinanza”, a parte la medesima identità mediterranea, è questione non chiarita. In realtà le due città hanno una storia piuttosto diversa, e Barcellona pagherebbe chissà che per averne una come la nostra. Tra il ‘600 e il ‘700, per dire, Barcellona era un agiato centro mercantile, Napoli una delle più brillanti capitali d’Europa, fecondata dal genio di Giambattista Vico e ricchissima di fermenti illuministici. Protagonisti della storia barcellonese erano invece (senza offesa!) i “mietitori”, e la loro rivolta che ha ispirato l’inno catalano.
 
Poi, è vero, le cose sono cambiate, e non bene per Napoli. Oggi Barcellona è ricca, moderna e bene organizzata, ha una solida struttura industriale, vanta un tasso di crescita invidiabile e livelli di disoccupazione accettabili, inoltre ha un efficiente servizio di metropolitana (anche senza stazioni dell’arte), una viabilità eccellente e strade pulite. Dunque, ancora una volta, molto diversa da Napoli.
 
Ma forse ciò che rende, agli occhi del sindaco, così “vicine” le due realtà è l’ammuina di questi giorni. La confusione di una vicenda tanto simile – per immaturità politica – alle rivoluzioni “colorate” cui dice di ispirarsi, quelle rivolte di piccola borghesia che hanno segnato gli ultimi decenni, sempre in bilico tra tragedia e farsa («non si udirono fucilate, il gas esilarante presidiava le strade» cantava in un brano ispirato Fabrizio de André).
 
Quindi non ha esitato a proclamare che «la storia la fanno i Popoli, non i Governi», che «Napoli è con il popolo catalano», omettendo di precisare con quale parte del suddetto popolo, quella che scende in piazza per l’indipendenza o quella che pure scende in piazza, ma contro. Eh sì, perché non tutte le «volontà popolari» hanno lo stesso valore per de Magistris. Indifferente alle contraddizioni, mentre esalta il popolo catalano, liquida le percentuali massicce con cui i Veneti hanno approvato il loro referendum (e anche quelle altrettanto dignitose della Lombardia) come una mera «operazione elettorale», aggiungendo considerazioni che parrebbero ritagliate su quanto accade a Barcellona: «Una scelta che non unisce il paese e che non rende il popolo davvero sovrano».
 
A chi non riuscisse a raccapezzarcisi, dico che sarebbe forse inutile tentare di cercare un’intima coerenza. Magari ha ragione Antonio Polito quando scriveva su queste colonne che la narrazione di de Magistris ha bisogno di «simboli», e la bandiera catalana «ha il vantaggio di essere abbastanza lontana da non risultare immediatamente comprensibile, e così non richiede troppe spiegazioni, che altrimenti metterebbero a nudo qualche corto circuito logico».
 
Oppure chissà, forse davvero Barcellona comincia ad assomigliare a Napoli. I risultati referendari, in certe località, hanno registrato un numero di «sì» superiore a quello degli elettori. Vero che l’intervento della Guardia Civil aveva un po’ complicato le cose, ma ricorda comunque certe «primarie» napoletane. C’è poi la truffa, anche questa molto vicina allo spirito «napoletano», delle foto fasulle inserite nei social dagli indipendentisti. Quella del ragazzino insanguinato che era stata scattata in un’altra occasione (che nulla aveva a che fare con le vicende odierne), o quella della bandiera catalana photoshoppata sull’immagine di altri e diversi interventi muscolari della Guardia Civil. E l’atteggiamento del presidente catalano, Carles Puigdemont, quel proclamare e non proclamare l’indipendenza, accusare Rajoy di misfatti e intanto temporeggiare, sperando che proprio Rajoy riuscisse in qualche modo a risolvere una situazione senza uscita. Non vi ricorda il balletto di dichiarazioni antigovernative e richieste di aiuti governativi, cui il nostro sindaco ci sta abituando? Fino alla fuga in auto coi ministri in Belgio, lasciando il popolo nei pasticci e senza guida, proprio come il «reuccio» che scappava a Brindisi.
 
Ancora adesso, che la vicenda pencola decisamente verso la farsa, l’ultima carta rimasta all’avventuriero catalano è quella dell’opinione pubblica, e lui se la gioca puntando (napoletanamente) sul ruolo di vittima, oltre – s’intende – su quella di paladino della «volontà popolare». Perché è la "volontà popolare" che conta, è ovvio!
 
A proposito, l’unico a non essere stato consultato è proprio il popolo napoletano, che si trova «al fianco» di quello catalano senza aver mai detto la sua. In compenso si sono pronunciati Yaris Varoufakis, e il più recente amico di quest’ultimo, quel George Soros che nella storia dell’indipendenza catalana ha anche investito qualche soldino (pochi, non tanti come in altre «rivoluzioni»).
 
 
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