Una politica senza prospettive
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Intervento, novembre 2017 - A Napoli assistiamo anche al tentativo di costruzione nuovi soggetti politici da parte di gruppi e gruppetti che, approfittando del desolante vuoto politico, cercano di occupare un proprio spazio con azioni di contestazione radicale (nella foto, manifestazione contro il comizio di Luciano Lama all'Università di Roma, nel 1977)
Corriere del Mezzogiorno (editoriale), 15 novembre 2017
Una politica senza prospettive
Nicola Quatrano
Le denunce incrociate che hanno segnato l’organizzazione del congresso del Pd, le urne non aperte, le voci di annullamento, le votazioni “a rate” e le (prevedibili) code di carta bollata e ricorsi in Tribunale, hanno finito col demolire la residua credibilità del Pd napoletano. I dirigenti di quel partito si sono assunti una bella responsabilità. Almeno quanto Matteo Renzi, per le mine che dicono stia collocando sulla strada di una eventuale nomina di Mario Draghi a premier in caso di elezioni senza maggioranze, col rischio (a tutti evidente) di far saltare tutto l’edificio.
Ma sembra oramai che la mancanza di prospettiva, l’indifferenza per tutto quello che è oltre l’immediato, costituiscano i caratteri intrinseci della politica di questi tempi. I politici si mostrano incapaci di distinguere tra tattica e strategia, interessati solo al presente, come se tutto si esaurisse nella posta del momento, senza curarsi degli effetti a medio e lungo termine. È per questo che il massimo di fibrillazione coincide con le fasi di formazione degli organigrammi e delle liste elettorali, l’eterno “presente” della politica.
Lo si vede anche «a sinistra del Pd». Anche qui, gran parte delle divergenze (l’idea di presentarsi insieme oppure in formazioni distinte) sembra vertere su questioni senza vero spessore politico, sulle rivalità tra vedette piuttosto che sui programmi e sul da farsi per il paese. E magari, per qualcuno, tutti i discorsi di alleanze e di identità sono solo manovre di posizionamento, in attesa di capire se ha più probabilità di essere eletto con la formazione di un’unica, o di diverse liste.
A Napoli assistiamo anche al tentativo di costruzione nuovi soggetti politici da parte di gruppi e gruppetti che, approfittando del desolante vuoto politico, cercano di occupare un proprio spazio con azioni di contestazione radicale e la pretesa (un po’ autoreferenziale) di rappresentare il popolo degli esclusi e dei precari. Anch’essi, però, con l’occhio fisso al presente, con iniziative eclatanti più mirate a ritagliarsi una presenza nei media, che a costruire prospettive credibili. Intendiamoci, la politica degli ultimi quarant’anni, quella che ha davvero “massacrato” intere generazioni di giovani consegnandoli a un futuro di disoccupazione e precarietà, può legittimamente paragonarsi a un crimine contro l’umanità per il quale sarebbe giusto che qualcuno fosse processato e condannato. Difficile pensare, però, che la strada giusta sia quella di impedire a Camusso e D’Alema di parlare e, prima di loro, a Renzi, Salvini o a De Luca.
Sono azioni, queste, che ricordano (sia pure in dimensioni molto, ma molto, ridotte) la “cacciata” dall’Università di Roma dell’allora segretario generale della Cgil, Luciano Lama, il 17 febbraio 1977 da parte degli “indiani metropolitani” (e chi è più emarginato degli indiani d’America!). E infatti il riferimento storico più diretto di questi nuovi antagonisti è proprio quel “movimento del ‘77” che intendeva rappresentare la rabbia demolitrice della parte esclusa delle “due società”, all’epoca teorizzate da Alberto Asor Rosa. Uguale la narrazione cui si ispirano, quella di un ribellismo prepolitico che, proprio per questo, è censito essere più autentico e spontaneo della “politica”. Non identico, per fortuna, il destino che li aspetta.
L’assenza di respiro strategico segnò infatti la sorte di quel movimento e dei suoi protagonisti, alcuni dei quali trasmigrarono felicemente nel campo dei “garantiti”, anzi nei senati accademici e nei consigli di amministrazione, altri invece (per lo più tra quelli di famiglie più povere) si persero nella lotta armata o nella droga. Gli emuli di oggi non corrono simili rischi: quello del ’77 era un movimento di massa e davvero antagonista, questi sono gruppi sparuti e forse meno idealisti, i cui sedicenti leader non disdegnano di partecipare anch’essi ai giochi per la formazione delle liste.
Non tutto è fosco, però. Giovedì scorso la Corte d’Appello di Nouadhibou ha finalmente scarcerato Mohamed M’kheitir, il mauritano condannato a morte nel 2015 per apostasia, a causa di un articolo giudicato irriverente nei confronti del profeta Maometto. Derubricato il reato in “miscredenza”, ritenutone sincero il pentimento, la Corte ha comminato al giovane una pena di due anni di reclusione, scarcerandolo perché stava in carcere già quasi da quattro. La cosa ci riguarda perché Mohamed è cittadino onorario di Napoli, una lodevole iniziativa di solidarietà del sindaco Luigi de Magistris, e molti altri napoletani – compreso il sottoscritto, e questo giornale — si sono impegnati nella campagna per la sua liberazione. Al momento, Nouadhibou è presidiata dall’esercito per impedire le manifestazioni violente degli islamisti che reclamano l’esecuzione capitale dell’apostata.
E questo ci porta alla seconda buona notizia. A Napoli i contestatori si accontentano di cacciare le persone non gradite, non ne pretendono la decapitazione.