Referendum sulla custodia cautelare
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Intervento, 4 settembre 2021 - Dietro il no al referendum sulla custodia cautelare c’è la difesa del solo modello di giustizia che la magistratura penale sembra in grado di offrire. Così il carcere preventivo, di cui il quesito referendario vorrebbe limitare l’abuso, maschera i fallimenti del processo...
Il Dubbio, 4 settembre 2021
Referendun sulla custodia cautelare
Nicola Quatrano
Stando all’intensità del grido di dolore che negli ultimi giorni si è levato da parte di magistrati, ex magistrati, giornalisti al seguito e politici di scorta, a proposito dei rischi per la pubblica incolumità che deriverebbero dall’eventuale approvazione del quesito referendario sulla custodia cautelare, parrebbe proprio che questa sia diventata l’ultima trincea nella quale i Giapponesi del “sistema Palamara” intendano difendere fino alla morte l’iniquo e inefficiente sistema giudiziario che ci è toccato
Sia subito chiaro: non è vero che l’approvazione del quesito comporterebbe rischi per l’incolumità delle persone. Il SI non abolisce le esigenze cautelari connesse al pericolo di fuga, né quelle relative al possibile inquinamento probatorio. Consente di continuare ad arrestare terroristi e mafiosi, e tutti quelli che potrebbero commettere delitti di violenza sulle persone o con uso di armi. Restano inoltre intoccate le attuali norme sull’arresto in flagranza. Dunque non dice il vero chi paventa il rischio di un’impennata dei femminicidi o di altri crimini violenti, perché l’unica ipotesi che il SI abrogherebbe è quella che riguarda il pericolo di commettere “delitti della stessa specie di quello per cui si procede”, che non siano né violenti, né mafiosi, né di terrorismo, né con uso di armi.
E’ qui che si sono registrati i più gravi abusi di custodia cautelare, documentati dai tanti indennizzi per ingiusta detenzione liquidati ogni anno. La relazione ministeriale dell’aprile 2020 segnala, nel solo 2019, il pagamento da parte dello Stato della somma complessiva di 43.486.630 euro, a fronte di 1.000 istanze accolte. Dunque, in soli 12 mesi, ben 1000 persone sono state ingiustamente private della libertà. E sono solo una parte, perché i criteri adottati dalle Corti sono molto restrittivi.
Anche il Parlamento ha più volte avvertito l’esigenza di limitare gli abusi: è sufficiente confrontare la formulazione dell’art. 274, come era nella prima redazione del codice, con quella attuale, per constatare la notevole quantità di inserimenti e di aggiunte che hanno tentato di dare maggiore determinatezza ed eliminare estensioni abusive. Ma non si è mai riusciti ad ottenere risultati apprezzabili.
Perché? Perché una Magistratura incapace di fare processi in tempi ragionevoli (quasi 4 anni la durata media di un processo in Italia, contro quella europea di 1 anno – dati del Consiglio d’Europa), ha bisogno di offrire in pasto alla pubblica opinione un surrogato di Giustizia, che è appunto quello della custodia cautelare.
Si dirà che, in questo modo, si scaricano sulla Magistratura responsabilità che non sono solo sue, ma che discendono dall’inefficienza generale del sistema. Non è così. Intanto, l’organizzazione degli Uffici e la distribuzione delle risorse è affidata per la quasi totalità ai magistrati distaccati al Ministero della Giustizia. Inoltre, la causa principale dell’ingolfamento dei Tribunali è in quella obbligatorietà dell’azione penale, difesa con le unghie e con i denti dalla corporazione dei magistrati. Infine, i tempi lunghi dipendono anche dal fatto che i Tribunali sono intasati da maxi-inchieste faraoniche (per i costi), bizantine (per l’inconcludenza delle ipotesi accusatorie) e bibliche (per i tempi necessari a tradurre le inchieste in sentenze). La più nota è quell’indagine su un’ordinaria vicenda di mazzette che ha occupato per anni le prime pagine con la pomposa etichetta di “Mafia Capitale”. Sono iniziative che impegnano mezzi colossali e producono pochi altri risultati, oltre quello di dare visibilità a chi le svolge. Pensate poi alla infinita tessitura di trame come quelle disvelate dalle chat di Palamara, tutto tempo sottratto al lavoro e ai processi.
La Magistratura si è dunque dimostrata incapace di assolvere alla sua funzione istituzionale: fare i processi in tempi ragionevoli, assolvere gli innocenti e punire i colpevoli con sentenze definitive. In cambio arresta molto, e la custodia cautelare serve ad occultare una incapacità punitiva che sarebbe insostenibile per l’ordine sociale. Quindi, da anni, il sistema sanzionatorio legale, la cui funzione è punitiva (ma finalizzata al recupero sociale), è stato sostituito da un sistema “sanzionatorio reale”, che dispensa le uniche “punizioni” che si riescono a comminare in tempi ragionevoli, ammantandole da presunte esigenze preventive.
Sanzioni non irrogate da un Giudice, nel contraddittorio delle parti, ma decise dal PM. E da un Gip che sempre di più si caratterizza come uno strumento del PM.
Che la custodia cautelare sia solo una forma di punizione mascherata è dimostrato anche dalla sua irragionevolezza ontologica. Se si tratta di punire, infatti, 6 mesi, 1 anno o anno e mezzo di carcere costituiscono un tempo ragionevole. Ma se occorre evitare che un soggetto commetta altri delitti, non ha senso una durata determinata così breve. Più propriamente, bisognerebbe ricorrere ad altre misure specifiche, quelle appunto “di prevenzione”, senza contare che altre – più efficaci della custodia cautelare – potrebbero essere previste, come il licenziamento del funzionario corrotto in modo seriale o l’interdizione da certe funzioni.
Alle prefiche che levano (interessate) grida di dolore, va detto quindi che la soluzione non può essere quella di lasciare le cose come stanno. Votare SI a tutti i referendum sulla giustizia aiuterà a rendere equo e civile il sistema penale. Un sistema che deve far seguire la punizione alla definizione di un processo. Nel quale la carcerazione non sia come le esecuzioni extragiudiziarie, decise il giovedì mattina nella Sala ovale, all’esito di alcun’altra procedura che non sia quella di premere un grilletto o azionare un drone.
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