Analisi, agosto 2010 - L’ideologia corrente che immagina un capitalismo gestito dal “mercato”, addirittura senza Stato (ridotto alle sue funzioni minimali di guardiano dell’ordine), non si fonda né su una seria lettura della storia del capitalismo reale, né sua una teoria asseritamente “scientifica”





Afrique Asie – luglio 2010

Crisi. Creando la moneta comune prima di aver realizzato l’Europa politica, economica e sociale, l’Unione Europea ha messo il carro davanti ai buoi

L’impossibile gestione dell’euro
di Samir Amin

Non c’è moneta senza Stato. Insieme, Stato e moneta, costituiscono nel capitalismo lo strumento per la gestione degli interessi generali del capitale, che trascendono quelli particolari dei segmenti di capitale in concorrenza.  L’ideologia corrente che immagina un capitalismo gestito dal “mercato”, addirittura senza Stato (ridotto alle sue funzioni minimali di guardiano dell’ordine), non si fonda né su una seria lettura della storia del capitalismo reale, né sua una teoria asseritamente “scientifica” capace di dimostrare che la gestione del “mercato” possa produrre – sia pure tendenzialmente – un qualsiasi equilibrio (a fortiori ottimale).

Una regione profondamente ineguale
L’euro è stato creato senza uno Stato europeo che si sostituisse agli Stati nazionali, le cui funzioni essenziali di gestione degli interessi generali del capitale erano esse stesse in via di abolizione. Il dogma di una moneta “indipendente” dallo Stato esprime questa assurdità.
L’Europa politica non esiste. A onta dell’idea ingenua di superamento del principio di sovranità, gli Stati nazionali restano gli unici a godere di legittimità. Non c’è una maturità politica capace di far accettare, da parte di un qualsiasi popolo di una qualunque delle nazioni storiche che formano l’Europa, i risultati di un “voto europeo”. Lo si può auspicare; ma occorre attendere ancora parecchio perché emerga una legittimità europea.
L’Europa economica e sociale nemmeno esiste. Un’Europa di venticinque o trenta Stati resta una regione profondamente ineguale nel suo sviluppo capitalista. I gruppi oligopolistici che controllano ormai tutta l’economia (e al di là della politica corrente e la cultura politica) della regione sono gruppi che hanno una “nazionalità”, che discende da quella dei loro più importanti dirigenti. Si tratta di gruppi soprattutto inglesi, tedeschi, francesi, qualche volta olandesi, svedesi, spagnoli, italiani. L’Europa dell’est, e in parte quella del sud, si trovano in un rapporto con l’Europa del nord-est e del centro analogo a quello che c’è nelle Americhe tra l’America latina e gli Stati uniti. L’Europa è in queste condizioni solo un mercato comune, addirittura unico, che fa esso stesso parte del mercato globale del capitalismo tardivo degli oligopoli generalizzati, mondializzati e finanziarizzati. Da questo punto di vista, l’Europa è – come ho già scritto – “la regione più mondializzata” del sistema globale.. Da questa realtà, rafforzata dal dato dell’impossibilità di un’Europa politica, discende una diversità del livello dei salari reali, dei sistemi di sicurezza sociale e di fiscalità, che non possono essere modificati e omogeneizzati dalle istituzioni europee.
L’istituzione dell’euro ha messo dunque il carro davanti ai buoi. I suoi promotori politici l’hanno d’altronde anche confessato qualche volta, sostenendo che l’operazione avrebbe costretto “l’Europa” a costruire il suo Stato transnazionale, risistemando così il carro dietro ai buoi. Questo miracolo non è avvenuto e tutto lascia prevedere che non avverrà. Io ho avuto l’occasione, alla fine degli anni 1990, di esprimere i miei dubbi su questa manovra. L’espressione (“mettere i carri davanti ai buoi”), che avevo usato , è stata ripresa recentemente da un alto responsabile della creazione dell’euro che, in una certa occasione, mi aveva detto che il mio giudizio era pessimista senza ragione. Un sistema assurdo di questo tipo non poteva dare l’impressione di funzionare se non in una congiuntura facile e favorevole, ho scritto. Bisognava dunque attendersi quello che è successo: dal momento che è scoppiata una “crisi” (sembrò in un primo tempo di tipo “finanziario”), la gestione dell’euro doveva rivelarsi impossibile, incapace di permettere risposte coerenti e efficaci.

“Serpente monetario europeo”
La crisi in corso è destinata a durare, addirittura ad approfondirsi. I suoi effetti sono diversi, e spesso diseguali, in ciascun paese europeo . Le risposte sociali e politiche alle sfide che la crisi pone alle classi popolari, alle classi medie, ai sistemi di potere politico, sono e saranno diversi da un paese all’altro. La gestione di questi conflitti destinati a crescere è impossibile in assenza di uno Stato europeo reale e legittimo; e lo strumento monetario di questa gestione non esiste.
Le risposte date dalle istituzioni europee (Banca centrale europea inclusa) alla “crisi” (greca e non solo) sono dunque assurde e destinate al fallimento. Queste risposte possono riassumersi in una sola parola: austerità dappertutto, per tutti, e sono analoghe alle risposte date dai governi nel 1929-1930. E, così come quelle ebbero come risultato di aggravare la crisi reale, queste elaborate oggi a Bruxelles produrranno lo stesso effetto.
Ciò che sarebbe stato possibile nel corso degli anni 1990 avrebbe dovuto essere realizzato nell’ambito di un “serpente monetario europeo”. Ogni nazione europea, mantenendo intera la sua sovranità, avrebbe dunque gestito la sua economia e la propria moneta secondo le proprie possibilità e bisogni, anche se limitati dai vincoli comunitari del mercato comune. L’interdipendenza sarebbe stata istituzionalizzata dal serpente monetario: le monete nazionali sarebbero state scambiate a un tasso fisso (relativamente fisso), revisionato quando necessario con aggiustamenti negoziati (svalutazione e rivalutazione).
Si sarebbe allora aperta una prospettiva  - lunga – di un irrigidimento del serpente (in preparazione magari dell’adozione di una moneta comune). I progressi in questa direzione sarebbero stato misurati dalla convergenza – lenta, progressiva -  nell’efficacia dei sistemi di produzione, dei salari reali e della previdenza sociale.  In altri termini, il serpente avrebbe facilitato – e non reso più difficoltosa – una omogeneizzazione possibile sempre più ampia. Essa avrebbe avuto bisogno di politiche nazionali aventi obiettivi – e gli strumenti politici adeguati – quali il controllo dei flussi finanziari, che esige il ripudio dell’assurda integrazione finanziaria deregolata e senza frontiere.

Sistema assurdo
La crisi dell’euro potrebbe fornire l’occasione di abbandonare il sistema assurdo della gestione di questa moneta illusoria e l’attuazione di un serpente monetario europeo rispettoso delle reali possibilità dei paesi coinvolti.
La Grecia e la Spagna potrebbero innescare il movimento, decidendo, da un lato, di uscire (“provvisoriamente”) dall’euro, dall’altro, di svalutare; infine di instaurare il controllo dei cambi, almeno per quello che riguarda i flussi finanziari. Questi paesi si troverebbero allora in una posizione di forza per negoziare davvero il riscadenziamnto dei loro debiti, dopo audit e mancato riconoscimento di debiti legati ad operazioni di corruzione o di speculazione (ai quali gli oligopoli stranieri hanno partecipato e dai quali hanno tratto grandi benefici). L’esempio, ne sono persuaso, farebbe scuola.
Sfortunatamente la probabilità di un’uscita dalla crisi in questo modo è probabilmente pari a zero. Perché la scelta della gestione dell’euro “indipendente dagli Stati” ed il rispetto sacro della “legge dei mercati finanziari” non sono il risultato di un pensiero teorico assurdo. Essi convengono perfettamente alla difesa del predominio degli oligopoli. Essi costituiscono dei pezzi della costruzione europea, concepita esclusivamente e integralmente per impedire la messa in discussione del potere economico e politico esercitato da questi oligopoli a loro esclusivo beneficio.

Verso un’Europa di sinistra?
In un articolo pubblicato su numerosi siti web, intitolato “Open letter by G. Papandreou to A. Merkel”, gli autori greci di questa lettera immaginaria paragonano l’arroganza della Germania di ieri e di oggi. Per due volte nel XXI secolo le classi dirigenti di questo paese hanno perseguito il progetto chimerico di plasmare l’Europa con mezzi militari ogni volta sovrastimati. Il loro obiettivo di leadership di una Europa concepita come “zona marco” non è anch’essa fondata sulla sovrastima della superiorità dell’economia tedesca, di fatto relativa e fragile?
Un’uscita dalla crisi non sarà possibile se non nella misura in cui una sinistra radicale osi assumere l’iniziativa politica della costituzione di blocchi storici alternativi anti-oligarchici. L’Europa sarà di sinistra o non sarà, ho scritto. L’allineamento delle sinistre elettorali europee all’idea che “l’Europa, così come è, è meglio della non Europa” non consente di uscire dall’impasse, che esige la rinegoziazione delle istituzioni e dei trattati europei. In mancanza, dunque, il sistema dell’euro, e dietro di esso quello dell’Europa come è, si impantanerà in un caos la cui uscita è imprevedibile. Tutti gli scenari possono allora essere immaginati, ivi compreso quello che si pretende di voler evitare, della rinascita di progetti di ultra destra. In queste condizioni, per gli Stati Uniti, la sopravvivenza di una Unione Europea assolutamente impotente o la sua deflagrazione non fa grande differenza. L’idea di una Europa unita e potente che sia capace di costringere Washington a tener contro dei suoi punti di vista e dei suoi interessi si rivela un’illusione.




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