Kiev 1942, una partita per l'onore
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Kiev 1942: Una partita per l’onore...vincere e morire
Enrico Vigna
Kiev, Ucraina, nove agosto 1942: in una città dove, all’occupazione nazista, sopravviveranno dopo 778 giorni solo 80.000 cittadini, in un caldo e afoso pomeriggio d’estate, nello stadio Zenith si svolse una partita di calcio tra lo Start FC, formato da prigionieri ucraini ex giocatori, e lo Flakelf, formato da soldati tedeschi ex giocatori, in gran parte della Luftwaffe.
In uno stadio pieno sopratutto di nazisti e collaborazionisti, con un piccolo settore di ucraini, vecchi, donne e bambini; con un caldo che ” spaccava anche i cocomeri”, come ha raccontato Valentina Gonciarenko, allora tredicenne, le squadre si presentarono in campo alle cinque.
Una, in piena forza fisica e di salute, l’altra formata da uomini stremati, indeboliti dalla fame e dagli stenti.
Alla presentazione, di fronte ai comandanti tedeschi in tribuna, i giocatori ucraini invece di fare il saluto nazista come gli era stato ordinato, salutarono con un saluto russo che è un’espressione di cameratismo fisico: alzarono le braccia al cielo, poi le portarono sul petto e all’unisono gridarono a squarciagola un motto sovietico: ” Fitzcult Hura! ” (viva la cultura fisica). Tra l’altro, HURA era anche il grido di combattimento dei soldati dell’Armata Rossa quando andavano all’assalto, e molti soldati tedeschi presenti lo avevano già sentito bene in battaglia.
Questo provocò espressioni rabbiose e furiose da parte tedesca e scene di entusiasmo gioioso nel ristretto settore degli ucraini.
L’arbitro, un ufficiale delle SS, diede il fischio di inizio e, dopo pochi minuti, Trusevich, portiere dello Start, venne colpito alla testa nel corso di una mischia sottoporta, restando qualche minuto a terra stordito; il Flakelf doveva vendicare il 5 a 1 subito il 6 agosto, nella prima finale; un vero e proprio affronto alla superiorita’ ariana, che doveva essere cancellato in questa rivincita a tutti i costi.
I tedeschi partirono all’attacco con decisione, contando anche sulle condizioni debilitate degli avversari; dopo un quarto d’ora furono in vantaggio, nel tripudio dello stadio che pregustava una goleada. Per la squadra ucraina fu come una frustata e, poco dopo, con una magistrale punizione di Kuzmenko, riuscì a pareggiare. Al trentesimo minuto Goncharenko, il giocatore piu’ talentuoso dello Start FC, raccolse la palla a centrocampo e realizzò uno slalom di dribbling e finte, saltando l’intera difesa tedesca e depositando la palla in rete. Prima della fine del tempo, ancora lui segnò con un magnifico tiro al volo il 3 a 1.
Nell’intervallo scese negli spogliatoi G. Shvestov, un imprenditore locale collaborazionista e presidente della lega calcio dell’Ucraina occupata, consigliando i giocatori ucraini di lasciar vincere i tedeschi nell’interesse di tutti; subito dopo anche un alto ufficiale delle SS entrò nello stanzone dello Start e, in un russo perfetto, con calma e freddezza, pur sottolineando la loro bravura calcistica, comunicò loro che dovevano capire che quella partita non la potevano e dovevano vincere, minacciandoli di morte perché in gioco non c’era solo una partita di calcio, in quanto il Flakelf rappresentava in quel momento l’immagine del Terzo Reich e quindi non poteva perdere quella partita, perché con essa avrebbe perso la faccia e l’onore l’intero Reich.
I giocatori ucraini rientrarono in campo e, ignorando i ”consigli” ricevuti, continuarono a dominare la partita, portandosi sul 5 a 3; addirittura Klimenko, sul finire della partita, dopo aver saltato anche il portiere tedesco, invece di segnare un altrol goal, si girò con la palla e la scagliò verso la propria porta. Un atto di affronto per i nazisti, l’arbitro decretò immediatamente la fine della partita senza farla terminare regolarmente.
Le tribune si svuotarono rapidamente, i pochi spettatori ucraini festeggiavano ebbri di gioia e di orgoglio. Anche se solo per pochi minuti, si erano sentiti nuovamente liberi e fieri, grazie a quegli undici ragazzi sudati, sfiniti, con il volto scavato, il fisico indebolito, ma simboli dell’onore e della dignita’ della loro terra d’Ucraina, alti come una stella che indica il cammino... quello che si compirà in seguito con la liberazione.
A un certo punto restarono sul campo solo loro e, come testimoniato proprio da Goncharenko, uno dei tre unici sopravissuti di quella partita, cominciarono a convincersi che la loro esistenza non valeva piu’ nulla e che, con quel fischio finale, probabilmente si era decretata anche la fine delle loro vite.
Racconta nelle sue memorie lo stesso Goncharenko:
„...ci trovammo in un silenzio cupo, tetro dello stadio vuoto, soli in mezzo al campo, capimmo di aver firmato con i nostri goals anche la nostra condanna a morte...Ci attardavamo sul campo, come se stando li’ fossimo al sicuro, salvi. La paura comincio’ a impadronirsi di noi, avevamo fatto semplicemente quello che ritenevamo giusto, non per essere eroi, ma solo come ucraini che avevano una dignità e un onore di uomini e di calciatori... Adesso eravamo spaventati per quello che ci aspettava... Avevamo di nuovo la stessa paura dell’inizio partita, che avevamo scacciato con quell’urlo di Hura, talmente tanta paura da avere persino paura di mostrarla...”.
Una squadra di sub umani (cosi’ venivano definiti gli slavi nella fraseologia nazista), aveva umiliato davanti alla popolazione di Kiev i rappresentanti della razza eletta ariana; tantopiù che essi avevano anche pubblicamente gioito e mostrato odio contro gli occupanti.
La vendetta sarebbe stata inesorabile-
„...Non avevamo armi, ma avevamo la possibilita’ di lottare e vincere almeno sul campo; per la nostra bandiera, per la nostra Patria, per il popolo ucraino e i nazisti avrebbero potuto constatare che non sarebbe stato facile sottometterci e calpestare la nostra dignita’...”, ha raccontato Goncharenko.
Ci sono molte versioni di come siano morti i giocatori ucraini; i documenti storici accertati ci dicono che, il 16 agosto, il primo fu Mykola Korotikh, che morì torturato della Gestapo, accusato di spionaggio e di essere membro del Partito Comunista, morì senza rivelare nulla ai suoi torturatori.
Il 18 agosto altri sette furono mandati al famigerato campo di lavori forzati di Syrets; tre di loro, Ivan Kuzmenko, Oleksey Klimenko e Mykola Trusevich, il leggendario portiere della Dinamo Kiev e capitano dello Start FC, furono uccisi nel febbraio del ‚43; testimoni sopravissuti descrissero cosi’ la loro fine: "Kuzmenko fu bastonato e poi giustiziato a terra; anche Klimenko fu bastonato e mentre era a terra fu freddato con un colpo di pistola dietro l’orecchio. Trusevich il gigante portiere e capitano, fu picchiato ferocemente, si rialzò da terra sanguinante e urlò in faccia ai suoi aguzzini:...il nostro Rosso Sport non morirà mai; una guardia lo uccise con una raffica di mitra...mori’ con la sua maglia da portiere dello Start addosso...”. I loro corpi furono poi gettati a Babi Yar, che era un dirupo di Kiev, tragicamente noto perché durante l’occupazione nazista vi furono uccise e gettate piu’ di 100.000 persone.
Unici superstiti della squadra furono Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare dal campo e si unirono poi all’Armata Rossa nella liberazione di Kiev.
Dei restanti giocatori si persero le tracce nei campi di concentramento, dove perirono senza mai più tornare.
Questo provocò espressioni rabbiose e furiose da parte tedesca e scene di entusiasmo gioioso nel ristretto settore degli ucraini.
L’arbitro, un ufficiale delle SS, diede il fischio di inizio e, dopo pochi minuti, Trusevich, portiere dello Start, venne colpito alla testa nel corso di una mischia sottoporta, restando qualche minuto a terra stordito; il Flakelf doveva vendicare il 5 a 1 subito il 6 agosto, nella prima finale; un vero e proprio affronto alla superiorita’ ariana, che doveva essere cancellato in questa rivincita a tutti i costi.
I tedeschi partirono all’attacco con decisione, contando anche sulle condizioni debilitate degli avversari; dopo un quarto d’ora furono in vantaggio, nel tripudio dello stadio che pregustava una goleada. Per la squadra ucraina fu come una frustata e, poco dopo, con una magistrale punizione di Kuzmenko, riuscì a pareggiare. Al trentesimo minuto Goncharenko, il giocatore piu’ talentuoso dello Start FC, raccolse la palla a centrocampo e realizzò uno slalom di dribbling e finte, saltando l’intera difesa tedesca e depositando la palla in rete. Prima della fine del tempo, ancora lui segnò con un magnifico tiro al volo il 3 a 1.
Nell’intervallo scese negli spogliatoi G. Shvestov, un imprenditore locale collaborazionista e presidente della lega calcio dell’Ucraina occupata, consigliando i giocatori ucraini di lasciar vincere i tedeschi nell’interesse di tutti; subito dopo anche un alto ufficiale delle SS entrò nello stanzone dello Start e, in un russo perfetto, con calma e freddezza, pur sottolineando la loro bravura calcistica, comunicò loro che dovevano capire che quella partita non la potevano e dovevano vincere, minacciandoli di morte perché in gioco non c’era solo una partita di calcio, in quanto il Flakelf rappresentava in quel momento l’immagine del Terzo Reich e quindi non poteva perdere quella partita, perché con essa avrebbe perso la faccia e l’onore l’intero Reich.
I giocatori ucraini rientrarono in campo e, ignorando i ”consigli” ricevuti, continuarono a dominare la partita, portandosi sul 5 a 3; addirittura Klimenko, sul finire della partita, dopo aver saltato anche il portiere tedesco, invece di segnare un altrol goal, si girò con la palla e la scagliò verso la propria porta. Un atto di affronto per i nazisti, l’arbitro decretò immediatamente la fine della partita senza farla terminare regolarmente.
Le tribune si svuotarono rapidamente, i pochi spettatori ucraini festeggiavano ebbri di gioia e di orgoglio. Anche se solo per pochi minuti, si erano sentiti nuovamente liberi e fieri, grazie a quegli undici ragazzi sudati, sfiniti, con il volto scavato, il fisico indebolito, ma simboli dell’onore e della dignita’ della loro terra d’Ucraina, alti come una stella che indica il cammino... quello che si compirà in seguito con la liberazione.
A un certo punto restarono sul campo solo loro e, come testimoniato proprio da Goncharenko, uno dei tre unici sopravissuti di quella partita, cominciarono a convincersi che la loro esistenza non valeva piu’ nulla e che, con quel fischio finale, probabilmente si era decretata anche la fine delle loro vite.
Racconta nelle sue memorie lo stesso Goncharenko:
„...ci trovammo in un silenzio cupo, tetro dello stadio vuoto, soli in mezzo al campo, capimmo di aver firmato con i nostri goals anche la nostra condanna a morte...Ci attardavamo sul campo, come se stando li’ fossimo al sicuro, salvi. La paura comincio’ a impadronirsi di noi, avevamo fatto semplicemente quello che ritenevamo giusto, non per essere eroi, ma solo come ucraini che avevano una dignità e un onore di uomini e di calciatori... Adesso eravamo spaventati per quello che ci aspettava... Avevamo di nuovo la stessa paura dell’inizio partita, che avevamo scacciato con quell’urlo di Hura, talmente tanta paura da avere persino paura di mostrarla...”.
Una squadra di sub umani (cosi’ venivano definiti gli slavi nella fraseologia nazista), aveva umiliato davanti alla popolazione di Kiev i rappresentanti della razza eletta ariana; tantopiù che essi avevano anche pubblicamente gioito e mostrato odio contro gli occupanti.
La vendetta sarebbe stata inesorabile-
„...Non avevamo armi, ma avevamo la possibilita’ di lottare e vincere almeno sul campo; per la nostra bandiera, per la nostra Patria, per il popolo ucraino e i nazisti avrebbero potuto constatare che non sarebbe stato facile sottometterci e calpestare la nostra dignita’...”, ha raccontato Goncharenko.
Ci sono molte versioni di come siano morti i giocatori ucraini; i documenti storici accertati ci dicono che, il 16 agosto, il primo fu Mykola Korotikh, che morì torturato della Gestapo, accusato di spionaggio e di essere membro del Partito Comunista, morì senza rivelare nulla ai suoi torturatori.
Il 18 agosto altri sette furono mandati al famigerato campo di lavori forzati di Syrets; tre di loro, Ivan Kuzmenko, Oleksey Klimenko e Mykola Trusevich, il leggendario portiere della Dinamo Kiev e capitano dello Start FC, furono uccisi nel febbraio del ‚43; testimoni sopravissuti descrissero cosi’ la loro fine: "Kuzmenko fu bastonato e poi giustiziato a terra; anche Klimenko fu bastonato e mentre era a terra fu freddato con un colpo di pistola dietro l’orecchio. Trusevich il gigante portiere e capitano, fu picchiato ferocemente, si rialzò da terra sanguinante e urlò in faccia ai suoi aguzzini:...il nostro Rosso Sport non morirà mai; una guardia lo uccise con una raffica di mitra...mori’ con la sua maglia da portiere dello Start addosso...”. I loro corpi furono poi gettati a Babi Yar, che era un dirupo di Kiev, tragicamente noto perché durante l’occupazione nazista vi furono uccise e gettate piu’ di 100.000 persone.
Unici superstiti della squadra furono Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare dal campo e si unirono poi all’Armata Rossa nella liberazione di Kiev.
Dei restanti giocatori si persero le tracce nei campi di concentramento, dove perirono senza mai più tornare.
Nel 1971 un monumento scultoreo dedicato ai calciatori caduti è stato collocato allo stadio Zenit di Kiev dallo scultore Ivan Horovyi.
Sul monumento ci sono le parole di Stepan Oliynyk:
" Per la nostra bella esistenza
Caddero in una lotta ...
Per secoli la vostra gloria non svanirà...
Impavidi eroi-atleti "
Sempre sulla destra dell'ingresso principale dello Stadio Zenit, che dal 1981 è stato ribattezzato Start Stadium, c'è anche una targa con su scritto: ''A uno che se lo merita''. E' dedicata a Makar Goncharenko, che nella ”partita della morte” segnò una doppietta.
Su questa leggendaria pagina di storia sono stati girati tre film e scritti alcuni libri, tra i quali le memorie di M. Goncharenko.
Nel 1962 sono usciti Il terzo tempo, del sovietico Evgenij Karelov e Due tempi all’inferno, dell’ungherese Zoltan Fabri. Dall’unione di questi due film nel 1981 ne è nato un terzo, Fuga per la vittoria, di John Huston che, sebbene vorrebbe rifarsi agli eventi storici, in pratica è molto romanzato e non fedele agli avvenimenti reali.
Su questa leggendaria pagina di storia sono stati girati tre film e scritti alcuni libri, tra i quali le memorie di M. Goncharenko.
Nel 1962 sono usciti Il terzo tempo, del sovietico Evgenij Karelov e Due tempi all’inferno, dell’ungherese Zoltan Fabri. Dall’unione di questi due film nel 1981 ne è nato un terzo, Fuga per la vittoria, di John Huston che, sebbene vorrebbe rifarsi agli eventi storici, in pratica è molto romanzato e non fedele agli avvenimenti reali.
Quanto servirebbero ancora oggi uomini così, in questo tempo di personaggi dalla coscienza flebile, e adattabile alle circostanze più opportune...per sè stessi. Veri e propri trasformisti etici e politici, in cerca di profitti e interessi prima di tutto personali, che spesso coprono, con un verbalismo anche radicale, solo miserie soggettive.
E allora ricordiamoli, scandiamo in un sussurro i loro nomi, anche se per noi sono anonimi, ma essi sono storia, storia grandiosa di semplici uomini, di bravi atleti, di semplici/ grandiose coscienze e immensi valori umani e morali. Uomini che cercavano solamente una vita semplice, laboriosa, in pace...ma fondata sulla dignità. Semplici uomini che non volevano morire ma vivere, e solo con uomini così si può costruire un mondo più giusto e migliore per tutti:
...Mykola Trusevich...Olexei Klimenko...Mikhail Sviridovskij...Mykola Korotich...Fedor Tyutchev...Mykhail Putistin...Ivan Kuzmenko...Nikolai Makhinya...Pavel Komarov...Makar Goncharenko...Vladimir Balakin...Vasil Sukharev...Mikhail Melnyk.....HURA!!!
Come diceva J. London: " Di tutto questo resta di ciascuno, aver fatto passare la vita
o l’aver vissuto e aver lottato in essa e per essa.
Questo sarà l’unico vero guadagno di essa,
anche se si sarà perso l’oro della posta...
E non è poco signori. E’ molto....Per chi è libero dentro..