Hiroshima, perché?
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Los Angeles Times, 26 maggio 2016 (trad. ossin)
Hiroshima, perché?
Oliver Stone e Peter Kuznick
Hiroshima ha cambiato il mondo, ma non riuscì a porre termine alla Seconda Guerra Mondiale; fu l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica a farlo
La visita di venerdì scorso del presidente Obama a Hiroshima ha riavviato il dibattito pubblico sui bombardamenti atomici statunitensi sul Giappone – dibattito in larga misura occultato da quando lo Smithsonian Institute rinunciò all’esposizione dell’Enola Gay nel 1995. Obama, consapevole di poter suscitare molte critiche se avesse posto minimamente in discussione la giustezza della decisione del presidente Harry S. Truman di usare bombe atomiche, ha scelto di serbare il silenzio sulla questione. Non è stato un bene. E’ assolutamente necessario che la nazione faccia i conti con questa storia.
Alla maggior parte degli Statunitensi è stato detto che l’uso di bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945 fu una necessità, perché questi bombardamenti hanno prodotto la fine della guerra nel Pacifico, evitando in questo modo una costosa invasione USA del Giappone. Tale erronea affermazione è presente ancora oggi nei manuali di storia della secondaria. Ancor più pericolosamente, essa plasma di sé il pensiero dei responsabili governativi e degli strateghi militari che lavorano in un mondo che possiede ancora più di 15.000 armi nucleari.
Truman esultò per la distruzione di d’Hiroshima, definendola la «più grande cosa nella storia». I capi militari statunitensi non condividevano la sua esultanza. Sette degli otto generali a cinque stelle degli Stati Uniti del 1945 – i generali Dwight Eisenhower, Douglas MacArthur e Henry Arnold, oltre agli ammiragli William Leahy, Chester Nimitz, Ernest King e William Halsey – criticarono in seguito i bombardamenti atomici, affermando che essi erano, o militarmente inutili o moralmente reprensibili, o entrambe le cose. Le bombe non hanno nemmeno raggiunto il loro obiettivo accessorio: intimidire i Sovietici.
Leahy, che era il capo di stato maggiore di Truman, ha scritto nelle sue memorie che i «Giapponesi erano già sconfitti e pronti alla resa […] L’uso di questa arma barbara a Hiroshima e a Nagasaki non era di alcun aiuto materiale nella nostra guerra contro il Giappone». MacArthur si è spinto anche più in là. Confidò all’ex presidente Hoover che, se gli Stati Uniti avessero fornito assicurazioni ai Giapponesi che l’imperatore non sarebbe stato deposto, questi avrebbero volentieri ceduto già a fine maggio.
Non fu l’annientamento atomico di Hiroshima e di Nagasaki a porre termine alla guerra del Pacifico. Fu piuttosto l’invasione sovietica della Manciuria e di altre colonie giapponesi, iniziata a mezzanotte dell’8 agosto 1945 – tra i due bombardamenti atomici.
Per mesi, i servizi di informazione alleati avevano rapportato che l’invasione sovietica avrebbe sconfitto il Giappone. L’11 aprile, per esempio, lo stato maggiore inter-arma riunito aveva pronosticato: «Se a un certo punto l’URSS entrasse in guerra, tutti i Giapponesi si renderebbero conto che la disfatta assoluta è inevitabile.»
Gli Statunitensi, avendo decifrato i codici segreti giapponesi, erano al corrente della febbrile disperazione con cui il Giappone sperava di negoziare la pace con gli Stati Uniti, prima che i Sovietici li invadessero. Lo stesso Truman interpretò un cablo giapponese intercettato come il «telegramma dell’imperatore giapponese che chiede la pace». Di fatto Truman si recò al summit di metà luglio a Potsdam, per assicurarsi che i Sovietici avrebbero mantenuto la promessa, fatta durante la conferenza di Yalta, di entrare nella guerra del Pacifico. Quando Stalin gliene diede conferma, il 17 luglio, Truman scrisse sul suo diario: «Entrerà in guerra col Giappone il 15 agosto, i Giapponesi saranno fottuti quando questo accadrà.» Truman ripeté la stessa cosa in una lettera alla moglie il giorno dopo: «Ora riusciremo a finire la guerra un anno prima, pensa a tutti i ragazzi (statunitensi) che non saranno uccisi.»
Sconfiggendo rapidamente il corpo d’armata giapponese Guandong, in Manciuria, i Sovietici hanno rovinato diplomaticamente e militarmente la fine di partita prevista dai Giapponesi: continuare ad infliggere perdite militari agli Stati Uniti e ottenere l’aiuto di Stalin per negoziare con gli USA migliori condizioni ci resa.
I bombardamenti atomici, per quanto terribili e inumani, non hanno contato granché nella decisione della leadership giapponese di arrendersi subito. Innanzitutto, gli Stati Uniti avevano già incendiato più di cento città giapponesi. Hiroshima e Nagasaki erano solo due città distrutte di più; che il risultato si consegua con una sola bomba o con migliaia, non ha particolare importanza. Come ha detto in seguito il generale Torashirō Kawabe, capo di stato maggiore aggiunto, agli interroganti statunitensi, l’immensità della devastazione che si era provocata a Hiroshima e Nagasaki venne conosciuta solo «in modo progressivo». Ma, ha aggiunto, «a confronto, l’entrata sovietica in guerra è stato un grande shock».
Quando venne chiesto, il 10 agosto, al Primo Ministro Kantaro Suzuki perché il Giappone doveva arrendersi così rapidamente, egli spiegò: «L’Unione Sovietica conquisterà non solo la Manciuria, la Corea e Karafuto, ma anche Hokkaïdo (la più settentrionale delle quattro principali isole dell’arcipelago giapponese, ndt). Questo distruggerebbe le fondamenta stesse del Giappone. Noi dobbiamo terminare la guerra, se possiamo accordarci con gli Stati Uniti.» I dirigenti giapponesi temevano anche possibili sollevazioni comuniste, di ispirazione sovietica, e sapevano che queste non avrebbero condiviso la loro principale preoccupazione – la protezione dello stesso imperatore e del sistema imperiale
Truman comprendeva quale era la posta in gioco. Sapeva che l’invasione sovietica avrebbe posto termine alla guerra. Sapeva anche che rassicurare il Giappone a proposito dell’imperatore avrebbe favorito la resa. Ma ha deciso comunque di usare le bombe atomiche.
Durante il suo soggiorno a Potsdam, Truman ricevette un rapporto dettagliato sulla potenza della bomba testata il 16 luglio a Alamogordo, nel Nuovo Messico. Dopo, «era un altro uomo», secondo Winston Churchill. Cominciò a fare il boss con Stalin. E autorizzò l’uso della bomba contro il Giappone. Se la nuova sicurezza esibita a Potsdam non aveva ancora chiarito con Stalin chi fosse il padrone, Truman suppose che ci sarebbe riuscita certamente Hiroshima.
Stalin ricevette il messaggio. Le bombe atomiche erano oramai un elemento fondamentale dell’arsenale statunitense, non solo un’ultima ratio. Ordinò quindi agli scienziati sovietici di impegnarsi completamente nello sviluppo di una bomba sovietica. La corsa era avviata. Alla fine le due parti riuscirono ad accumulare l’equivalente di un milione e mezzo di bombe di Hiroshima. E come ha osservato argutamente il fisico del Manhattan Project, Isidor Isaac Rabi, «improvvisamente il giorno del giudizio fu l’indomani, e poi tutti i giorni così.»