Riconciliazione da cimitero
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La Liberté (22 agosto 2008)
Riconciliazione da cimitero
di Mustapha Hammouche
L’Algeria ha subito ieri il più micidiale degli attentati esplosivi che abbia mai conosciuto in quindici anni di terrorismo, con l’eccezione dell’attentato del Boulevard Amirouche ad Algeri del gennaio 1993. In altri termini, se si escludono i massacri collettivi del GIA - Takfir, l’attentato di Issers è stato il più micidiale da più di 30 anni.
Naturalmente il governo non vedrà alcun legame tra il rilancio dell’azione terrorista e la politica che ha permesso al terrorismo di recuperare i suoi mezzi tecnici e finanziari, di rinforzare i suoi effettivi e che ha permesso ai suoi padrini islamisti di rifarsi una verginità politica. Eppure la relazione di causa ed effetto è di evidenza eclatante: privilegiando la pratica dell’accordo a quella dell’autodifesa, lo Stato ha sostituito un’atmosfera di permissività allo slancio di resistenza. Il terrorismo islamista, come si vede, non si è fatto pregare per sfruttare l’evoluzione politica e psicologica in suo favore.
Nella società, beneficia dell’arretramento dello Stato che ha lasciato che la vigilanza integrista violenta si sostituisse alle campagne di ordine pubblico.
Alla vigilia del massacro di Issers, mentre si succedevano al ritmo serrato di una campagna di guerra gli attacchi contro i soldati dell’ANP (Esercito nazionale popolare), gli agenti della Sureté nationale e della Gendarmerie nazionale, abbiamo avuto l’occasione di apprezzare un dibattito “civile” tra l’ex capo del GIA e l’ex ministro della Difesa (secondo l’ordine degli interventi).
All’origine della polemica una scena surrealista svoltasi appena qualche mese fa su di uno sfondo inconsueto, il palco ufficiale del più grande cimitero del paese: un capo terrorista definitivamente assolto da tutti i suoi crimini con legge referendaria ed un generale che faceva parte dello Stato si sono parlati sulla tomba fresca di un generale che in vita era stato responsabile del controspionaggio.
Il terrorista immunizzato e ricompensato, di un analfabetismo notorio almeno quanto il suo talento criminale, trova da qualche giorno spazio nella stampa per diffondere le sue “rivelazioni” e le sue “riflessioni”. Il generale Nezzar risponde, a sua volta, facendo delle precisazioni aneddotiche la cui futilità è pari solo alla gravità del fatto che sia possibile un tale tète-à-tète.
La discussione su chi, se l’emiro o il generale, debba perdonare, costituisce l’espressione di una rinuncia disfattista della Repubblica davanti all’aggressione arrogante dell’iniziativa terrorista.
Il Presidente della Repubblica ha recentemente ammesso il fallimento della sua politica economica sulla semplice constatazione che ha permesso l’evasione legale di qualche miliardo di troppo. La perdita, oramai quotidiana, di decine di uomini, donne e bambini, non merita che ci si fermi un attimo con una pratica politico-securitaria che, col pretesto di calmare gli animi terroristi, non fa che insanguinare sempre il paese?
Dopo il picco della metà degli anni 1990, l’attività terrorista non è mai stata così intraprendente come in questi due ultimi anni, come in una specie di un ritorno ciclico. Rifiutandosi di combattere una guerra fino alla sua conclusione, l’Algeria si è probabilmente condannata a doverla rifare. O a perderla.