Tempi morti nella campagna mediatica Marafa. Etoudi trattiene il fiato…
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Etoudigate, Tchiromagate…
Tempi morti nella campagna mediatica Marafa. Etoudi trattiene il fiato…
Jean-Marc Soboth
Mentre il Presidente Paul Biya e il suo brain-trust sono riusciti, a medio termine, nella loro operazione di neutralizzazione della campagna mediatica Marafa, attendiamo di vedere come il principe peul, tenuto prigioniero nei locali del Segretariato di Stato alla Difesa in Yaoundé, rilancerà la sua offensiva
L’entourage del Presidente Paul Biya è soddisfatto per essere riuscito a neutralizzare, in parte, la campagna mediatica scatenata dall’ex segretario generale della Presidenza camerunense, Marafa Hamidou Yaya.
Del consiglio di crisi anti-Marafa, che si dice si riunisca quotidianamente a Palazzo, farebbero parte tra gli altri: Martin Belinga Eboutou, direttore di gabinetto, negoziatore in capo e oramai chiave di volta della strategia di Paul Biya; Luc Sindjoun, il negro trasformato in felino di crisi; Laurent Esso, “l’esecutore” che istruisce a richiesta della Cancelleria l’iniziativa pubblica dopo essersi fatto trasmettere i dossier presi di mira dall’organismo di Controllo Superiore dello Stato; e infine il capo, Paul Biya, l’uomo “che non commenta i commenti”, come hanno detto diversi osservatori nelle ultime settimane…
Il comitato ristretto ha avuto il compito di attivare tutto l’apparato statale per smantellare e infiltrarsi rapidamente nel sistema Marafa, sia nelle strutture di base del partito che nell’amministrazione, nella difesa e nei media. Un lavoro portato a termine con una certa maestria.
Secondo le informazioni di cui disponiamo, questa controffensiva aveva principalmente di mira il corpo diplomatico accreditato che, in termini generali, ha sempre nutrito dei dubbi sulla credibilità dell’Operazione “Mani Pulite” avviata dal Presidente Paul Biya. Ciò a causa degli arresti ad personam, e anche il coinvolgimento di qualcuna delle ultime ruote del carro, non previste nel casting iniziale, non è ancora riuscito a convincere i diplomatici.
Di fatto, è stata rafforzata la sorveglianza intorno a Marafa per impedirgli di trasmettere ordini alle sue truppe. Il suo ex segretario particolare, il commissario Amadou Bello, che era sospettato di lavorare per lui, è stato urgentemente spedito a completamento di organico, in un commissariato di Buea, capoluogo della provincia di Sud-Ovest.
Così facendo, la moglie del principe peul (etnia africana, ndt), Jeannette Njanga, una Sawa intrepida che si è battuta con le unghie e con i denti per ottenere la scarcerazione del marito quando fu coinvolto nell’ondata di arresti nei confronti di cittadini del Settentrione, dopo il fallito putsch del 6 aprile 1984, è nuovamente adesso sotto alta sorveglianza discreta.
Nella stampa tutto sembra essere tornato sotto controllo. L’ultima lettera di Marafa che rendeva pubblici dei documenti importantissimi sul disastro del dicembre 1985 è stata fatta passare sotto silenzio dai media, tanto che i predetti documenti sono quasi introvabili.
Diversione pianificata
Una serie di attività mediatiche pianificate, tra cui la posa della prima pietra per la costruzione della diga di Me’mvele nel Sud, il 15 maggio 2012, hanno permesso di realizzare la strategia di diversione nella quale Paul Biya è un esperto – il rilancio dell’Operazione Sparviero con l’arresto di Marafa è, all’inizio, è stata una diversione non riuscita per spostare l’attenzione dalla contestazione alla brillante riforma della legge elettorale che ci riporta al vecchio sistema di elezione presidenziale a turno unico.
Ma il futuro non sarà così semplice se Marafa resta attivo.
Se il Palazzo ha applicato finora con qualche successo la strategia di Niccolò Machiavelli che consiste nell’offrire al popolo la testa di qualcuno precedentemente utilizzato per spogliarlo, se si sono avute le rassicurazioni di Lamidat de Garoua sull’effetto “posticcio” del malcontento in seno all’élite parlamentare peul, si è tuttavia convinti che non tutto è risolto. E con ragione.
Marafa non è un fesso
Si sa, Marafa, brillante laureato all’Università del Kansas negli USA, che è stato al servizio della mafia di Elf e della Società Nazionale di Idrocarburi (SNH) è una “bomba vivente per il capo di Stato, il signor Paul Biya. Non è un fesso e loro lo sanno”, lancia un conoscitore del sistema.
“Egli è stato utilizzato sia per le basse necessità elettoralistiche di Paul Biya, che per moltissime operazioni segrete. Egli dunque passerà alla tappa seguente: agisce tendo conto dell’avvenire”.
E’ vero che, anche nell’entourage più stretto del capo, molti non si immaginano un futuro col presidente Paul Biya, troppo logorato dal potere, e che è un uomo del passato. E del passivo.