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Dja et Lobo
Silenzio, la gendarmeria massacra i diritti dell’uomo!
Militari della brigata di Gendarmeria di Avebe-Esse nel Dipartimento di Dja et Lobo hanno circondato e invaso nottetempo il domicilio del capo-villaggio per somministrare manu militari una memorabile scarica di bastonate alla famiglia, prima di procedere ad arresti irregolari
Jean Marc Soboth, a Avebe-Esse
Sabato, 10 maggio 2008, Avebe-Esse. Il villaggio del Dipartimento di Dja et Lobo, situato ad una trentina di chilometri di pista dalla città di Sangmélima, è pronta ad addormentarsi alle otto della sera. Ma questa notte sarà particolare per la famiglia del capo di diritto consuetudinario, il patriarca bulu Joseph Emmanuel Obah. Una parte della sua famiglia, da Yaoundé, Sangmélima etc, è giunta al villaggio per la festa del suo novantesimo compleanno, prevista per il 17 del mese. E al crepuscolo il clan si prepara a cenare quando, improvvisamente, sbuca dall’ombra un gendarme. Questo, armato, grida solo: “Dove sta?”, poi si precipita nella stanza di soggiorno e poi, subitaneamente, nel posto dove gli sembra si trovi l’uomo che cercava, un giovane sui quaranta anni, chiamato Dieudonné Guy Ebale Obah, figlio del capostipite.
Il gendarme è raggiunto illico presto dal comandante della brigata di gendarmeria, l’aggiunto Nyam à Irep in persona. I due uomini, armati ma privi di ogni mandato, rompono la porta chiusa della camera e propinano all’uomo una selvaggia scarica di bastonate, con violenti colpi di stivale, di pugni e di cinturoni… saccheggiano inoltre la camera del giovane, restato completamente nudo, perché non gli hanno dato il tempo nemmeno di vestirsi.
Escono trasportando la vittima ancora nuda e svenuta. Insieme ad altri membri della famiglia, la madre dell’uomo, una settuagenaria che si chiama Marie-Thérèse Obah nata Mnanga – da poco responsabile della sezione femminile del partito di maggioranza, il Rdpc -, tenta di interporsi. Cade tramortita a terra per due colpi violenti e si sveglierà solo dopo il ricovero nell’ospedale di Sagmélima, situata a due ore di strada poco carrozzabile.
Ferocia. Viene interrogato il giovane fratello della vittima, Alexis Ntouaba. Sarà pestato con identica ferocia. Lo trascinano per terra fino alla macchina dei gendarmi, poi continuano a riempirlo di botte su tutto il corpo e sui genitali. Qualcuno degli spettatori, membro della famiglia, vorrebbe reagire, ma viene rapidamente e violentemente domato e messo in condizione di non nuocere. I quattro gendarmi (il comandante Nyam à Irep, un certo Mba, un certo Afana ed un ultimo, conosciuto col nome di Alfred) che hanno invaso in questo modo la concessione – di quella stessa persona che aveva offerto gratis alla gendarmeria i locali qualche anno fa – hanno previsto tutto. Alcuni agenti forestali, anche loro armati, con l’appoggio di due poliziotti anti-gang, sorvegliano l’esterno, impedendo ogni accesso al luogo delle “operazioni”.
E non è finita. Il giovane trascinato per terra, in stato di incoscienza, viene sottoposto al fermo di polizia. Saranno tutti successivamente deferiti alla Procura di Sangmélima. E sarà solo per ordine del Procuratore della Repubblica che essi potranno essere ricoverati all’ospedale del distretto, dove saranno sottoposto a costosi trattamenti medico-chirurgici.
Ecco già i bilanci. Il certificato rilasciato dal dottor Etongou Ateba il 12 maggio rileva, per ciò che riguarda Dieudonné Guy Ebale, un “grave trauma cranico con ematomi alle palpebre ed emorragia sotto congiuntivite occhio sinistro”. Registra inoltre un’altra escoriazione e numerose contusioni muscolari. Ciò nonostante è stato tradotto in prigione. Sua madre si trova in “uno stato generale alterato con ematomi al cuoio capelluto e lombaggini” guaribile in non meno di 25 giorni, “salvo complicazioni”. Il caso del più giovane, Alexis Ntuaba, il cui addome nel frattempo è più che raddoppiato, addirittura triplicato di volume, è il più preoccupante. L’esame obiettivo permette di constatare “Un addome acuto con peritonite per rottura della milza ed ematoma intestinale”. Il conseguente trattamento medico-chirurgico richiede prima di tutto che siano lasciate colare le urine attraverso una sonda e poi la pura e semplice ablazione della milza… Vale a dire diverse ore di blocco operatorio per… sopprimere definitivamente il pancreas.
Compleanno del capo-villaggio. In ogni caso la festa per il compleanno del capo-villaggio Obah non si farà più, essendo stato il danaro stanziato per essa interamente devoluto in spese mediche. “Senza quei soldi, li avremmo perduti tutti”, afferma Dorothée, una della famiglia.
Circa le cause del raid notturno, niente di importante. La gendarmeria parla di una denuncia presentata da un cugino infermiere contro Ebale, un’azione domestica senza grande importanza. La verità però sembra essere tutt’altra. Secondo alcune testimonianze, dei gendarmi hanno, in omaggio ad un’abitudine, picchiato nella mattinata del 10 maggio un cugino “recalcitrante” della famiglia, tale Michel Angounou. Poi hanno mangiato della cacciagione che la figlia di questi vendeva, con l’intento di non pagare. Le cose sono degenerate, è intervenuto Dieudonné Guy Ebale. Un “sacrilegio” che è costato alla famiglia del capo la spedizione punitiva della sera…
“Questo tipo di estorsioni sono assai frequenti nelle zone rurali del Camerun. I paesani sono convinti che tutti i gradi di giurisdizione nell’entroterra siano nelle mani della gendarmeria locale”, afferma un avvocato di Yaoundé. “L’azione della gendarmeria locale non viene affatto considerata nella sua reale consistenza che è solo quella della inchiesta preliminare”: Solo, nel caso di Avebe-Esse, i gendarmi sono stati senza dubbio sfortunati. Non perché questa regione sia la circoscrizione natale del capo dello Stato, Paul Biya, che se ne frega forse. Ma perché sono state investite dei fatti diverse autorità, seppure la maggior parte di esse si sia accontentata di esprimere solo una indignazione rituale. Una notifica di ufficiale giudiziario stabilisce la verità dei fatti. La gerarchia della Difesa a Yaoundé non ne era stata informata. Un genero della famiglia ha investito della questione il segretario di Stato alla Difesa, Jean Baptiste Bokam, in ragione della sua parentela con lui.
Il comandante di brigata Nyam à Irep è stato sollevato dalle sue funzioni. “Un finale senza precedenti”. Nel corso della cerimonia di insediamento del suo successore, il 7 luglio 2008 ad Avebe-Esse, il comandante di compagnia, un certo Michée Nyam, è stato prodigo di elogi per l’aggiunto delinquente che, nell’occasione, era tutto sorrisi. Un segno eclatante del fatto che queste estorsioni nel corpo della gendarmeria sono considerate come un incidente senza importanza. Il problema resta dunque tutto intero.
Risarcire le vittime. “Chi deve pagare le spese e indennizzare le vittime? Come si può porre fine nelle zone rurali a questo tipo di estorsioni barbare che rivelano una cultura professionale degli appartenenti alle forze dell’ordine tipica di un paese nel quale l’habeas corpus è stato inserito nella legge solo da due anni, con la promulgazione del nuovo codice di procedura penale?”. Così si interroga uno vicino alla famiglia.
Queste domande, che ci ricordano del resto che alcune vittime ferite devono nonostante tutto tornare in prigione, richiedono delle risposte. Il Segretario di Stato alla Difesa ha lanciato un vibrante richiamo al rispetto dei diritti dell’uomo nella fase delle indagini preliminari. E’ stata aperta una procedura amministrativa interna, lontano dagli sguardi dei media e delle burocrazie teatrali delle organizzazioni locali per la difesa dei diritti umani. Ma questa procedura amministrativa è troppo affidata alla sola velleità personale di Bokam di tagliare corto con un sistema che risulta tuttavia solidamente radicato nelle abitudini. E che esigerebbe una vera rivoluzioni delle mentalità.
“Avebe-Esse è infatti il Far-West”. I gendarmi vi avevano installato un vero regime di terrore e di estorsioni, che consisteva nel taglieggiare le donne e gli uomini che circolavano nel villaggio. In particolare quelle che andavano a prendere l’acqua dal prete del posto. Esse non portavano con sé la carte d’identità e i gendarmi le facevano sedere al suolo ed esse erano costrette a pagare per la loro liberazione… 1000 franchi CFA. Molti bambini del villaggio sono oggi dei pregiudicati per queste stesse ragioni.
Un sistema che ha indotto Marie-Florence, una delle figlie del capo, a lanciare questo vibrante grido di disperazione: “Dov’è la giustizia? Dove il rispetto dei semplici cittadini? Noi speriamo che i nostri parenti potranno ancora godersi la pensione e la libertà nel loro villaggio. Speriamo in un cambiamento radicale che richiederà che un gendarme possa entrare (impunemente) nella casa di un altro cittadino solo sulla base dell’ordine di un superiore. Noi vogliamo la giustizia, il rispetto. Siamo tutti cittadini camerunesi”.