Il “home run” (fuoricampo) della diplomazia cubana
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Le Grand Soir, 19 dicembre 2014 (trad. ossin)
Il “home run” (fuoricampo) della diplomazia cubana
Viktor Dedaj
Il “home run” (fuoricampo) è, nel baseball, la stessa cosa che, nel calcio, rappresenta il gol segnato con un bel tiro al volo su un cross completo. Il gesto impeccabile, realizzato nel pieno dell’azione e che tutti i tifosi aspettano e sperano. E che non si realizza per caso, ma è il risultato di un lungo allenamento e di uno spirito di squadra. Ed è tanto più meritorio, se si affronta a piedi nudi un avversario in sovrannumero, noto per i suoi imbrogli e il suo gioco violento. Senza parlare degli arbitri coi paraocchi. Quando si hanno di fronte dei bruti vocianti e gesticolanti, occorre ampio respiro, acutezza e una visione del gioco precisa. Aggiungete una certa eleganza e il quadro sarà quasi completo.
(“Sarà una lotta di mesi, forse di anni, ma alla fine torneranno” – Fidel Castro, luglio 2001)
Mi ricordo della prima discussione avuta diversi anni fa con un amico cubano, a proposito della sorte dei Cinque. Io sostenevo che gli Stati Uniti non li avrebbero mai rilasciati. “Torneranno”, mi rispose appoggiando delicatamente la caffettiera sulla sua vecchia cucina e avviando la delicata manovra necessaria per accenderla senza fare esplodere tutto il quartiere. Pensai che non avesse ascoltato la mia lunga esposizione sulla vera natura del potere politico negli Stati Uniti e ripetetti tutta la storia mentre lui riusciva alla fine ad accendere il gas che prese vita con un “pouf!” caratteristico. Poi si girò verso di me e ribadì con voce calma: “Torneranno”, quindi, dopo una pausa, “vuoi zucchero?”
Ecco un rompicapo per i media: come presentare questo togliersi le mutande in aperta campagna da parte degli Stati Uniti come fosse un “gesto simbolico e forte” del suo presidente coccolone? Facile: decontestualizzate i fatti, dimenticate la Storia, operate qualche “rottura narrativa”, fate finta di informare oggi su quello che avete accuratamente occultato ieri, ed ecco il risultato: il grottesco “premio Nobel per la Pace” dai mille omicidi coi droni ha appena camminato sulla luna. Addirittura in occasione del prossimo Halloween, non mancherà di graziare un tacchino. E sì, è fatto in questo modo il presidente superfigo degli Stati Uniti d’America. Ed è questo che serve per lasciare un’impronta nella Storia, che non sia quella di uno stivale militare.
In verità, la prima cosa che salta agli occhi è questa: Cuba non ha ceduto in nulla ed ha realizzato la sua prima e principale necessità, preliminare a qualsiasi “discussione”: la liberazione dei 3 Cubani ancora prigionieri. Barack Obama lascia intendere – soltanto – che niente più sarà come prima (senza dimenticare di benedire l’America – intendendo gli Stati Uniti, en passant).
Concretamente, ecco una sintesi dell’accordo Cuba/Stati Uniti:
Da parte degli Stati Uniti :
• Apertura diplomatica
Gli Stati Uniti assumeranno le iniziative necessarie per ristabilire le relazioni diplomatiche con Cuba, rotte nel 1961. Il divieto di viaggio (imposto agli statunitensi dagli USA) rimane, come anche l’embargo, ma gli effetti dell’embargo saranno attenuati (di quanto?) e alcune forme di viaggio saranno facilitate (indubbiamente gli “scambi culturali”)
• Un’ambasciata a La Havana (sembra non l’inverso? Da confermare)
Questo resta un obiettivo e non è stato affermato con chiarezza.
• Liberazione delle “spie” cubane
(le virgolette sono mie)
• Ammorbidimento delle restrizioni per i viaggi
Sarà più facile per uno Statunitense andare a Cuba o ottenere un permesso per farvi degli affari. Secondo la CNN, le nuove misure non autorizzano ancora il turismo, ma faciliteranno il viaggio per altre ragioni.
• Ammorbidimento dei divieti per le banche
Gli Statunitensi potranno usare le loro carte di credito a Cuba.
• Elevamento del plafond per il trasferimento di denaro
Gli Statunitensi potranno oramai inviare fino a 2000 dollari all’anno ai loro familiari a Cuba.
• Importazione di sigari e alcool
I (dunque rari) viaggiatori statunitensi potranno portare con sé negli USA beni per un valore complessivo di 400 dollari, 100 dei quali in alcool e tabacco (le spese autorizzate per uno Statunitense sull’isola erano limitate a 100 dollari).
• Revisione di talune sanzioni (non si parla di revoca)
Il Segretario di Stato John Kerry ha avuto l’incarico di riesaminare lo statuto di Cuba (per gli USA) quale Stato “terrorista” (che ironia!). Dopo tale esame, deciderà se Cuba “meriti” di figurare ancora sulla lista USA degli Stati “terroristi”.
Da parte cubana:
• Liberazione di Alan Gross (arrestato mentre era in servizio alle dipendenze dell’agenzia di sovversione USAID)
• Liberazione di prigionieri politici
Cuba ha liberato una lista di 53 “prigionieri politici” (le virgolette sono mie), fornita dagli Stati Uniti. CNN segnala peraltro che un uomo detenuto da 20 anni per spionaggio è stato liberato, ma non si sa se faccia parte dei 53.
• Migliore accesso a internet
Cuba autorizzerà l’accesso a internet… (suppongo che saranno costruiti accuratamente cavi e reti che servano l’isola) – Per memoria: fino a nuovo ordine, l’isola di Cuba dispone di una larghezza di banda inferiore a quella di una sola università francese, la connessione attuale si effettua solo via satellite e a costi proibitivi. Il cavo sottomarino tra Cuba e Venezuela sembra essere operativo dalla metà del 2013, ma non è sufficiente a compensare la mancanza di infrastrutture sull’isola.
• Cuba autorizzerà il ritorno degli ufficiali dell’ONU e della Croce Rossa
Questi ultimi due punti, in questi termini annunciati dai media, meritano le abituali precisazioni e contestualizzazioni. Si tratta probabilmente di decisioni prese nel passato dalle autorità cubane come reazione a tentativi di ingerenza diretta o della politica dei due pesi e delle due misure che gli Stati Uniti pretendevano di imporre a Cuba.
Insomma, Cuba ha ottenuto quanto chiedeva da 15 anni, il presidente degli Stati uniti ha concesso svogliatamente quello che il suo paese rifiutava da 50 anni, ammettendo che si tratta di una riconoscimento di fallimento (non di un cambio di passo). Nella sua allocuzione (pubblicata integralmente dalla stampa cubana), ecco una frase chiave: “Intendiamo porre termine ad un approccio che da decenni non è stato capace di rispondere ai nostri interessi, e intendiamo cominciare a normalizzare le nostre relazioni (con Cuba)”. Traduzione: i nostri “interessi” non sono cambiati. La nostra strategia è fallita. Cambieremo strategia. Per servire gli stessi interessi.
I Cubani non sono scemi e un cambio di strategia (secondo quanto ho appreso in recenti chiacchierate) comporta sic et simpliciter un aggiustamento della contro strategia di resistenza.
Sarebbe ingiusto dimenticare, en passant, i paesi dell’America Latina che hanno fatto fronte (quasi unanimemente e a prescindere dagli orientamenti politici) attorno e dietro Cuba. Grazie a loro.
Un po’ di meta-analisi
Bisogna anche attendersi dei tentativi spettacolari da parte degli estremisti di Miami di sabotare ciò che essi considerano come “concessioni alla dittatura castrista”. Perché, al di là della loro retorica assolutamente prevedibile (dunque poco interessante), la loro vera preoccupazione è senza dubbio di perdere la presa che hanno sempre avuto sulla politica degli Stati Uniti nei confronti di Cuba. Dunque la loro stessa “utilità”, dunque il loro potere. Ed è qui che le cose diventano interessanti.
Ricordiamo che la legge Helms-Burton del 1996 impone al presidente degli Stati Uniti di “rovesciare il regime cubano” e di presentare ogni sei mesi al Congresso una relazione sullo stato del “progetto”.
Ora, per la prima volta dopo 50 anni, delle misure – che non sono “spettacolari” se non nel contesto della estrema animosità che gli Stati Uniti hanno dimostrato fino ad oggi – sembrano essere state decise senza l’assenso e perfino cogliendo di sorpresa una lobbie che aveva fino ad oggi controllato la politica estera degli Stati Uniti in questo settore. Altri centri di potere hanno dunque deciso di prendere la cosa in mano, a detrimento di una lobbie spesso definita la seconda più potente degli Stati Uniti.
Su un certo tema della politica internazionale, l’autoproclamato gendarme del mondo prende un sacco di botte da anni contro una squadra nettamente inferiore sul piano numerico, ma che dimostra di possedere una tecnica temibile. Non c’è nulla da meravigliarsi dunque che vi sia stato un cambio di giocatori… Ma non dimentichiamo che, fino a prova contraria, il gioco resta sempre lo stesso e continua ad essere pericoloso.
Cosa che non ci impedirà di soffiare nelle nostre trombette gridando: “Forza Cuba”
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