Cinquanta anni in rivoluzione
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Cinquanta anni in Rivoluzione
di Alessandra Riccio
Sembrava impossibile ma, contro tutto e tutti, Cuba oggi sta celebrando i cinquanta anni della sua Rivoluzione e sta facendo il bilancio di mezzo secolo di testarda costruzione di un mondo nuovo nella sua orgogliosa solitudine. Infatti, mentre la stampa occidentale, che non riesce a nascondersi lo stupore di dover ancora fare i conti con questa realtá controcorrente, ci informa delle pessime condizioni economiche in cui versa l’isola, (come se nel resto del pianeta si stessero vivendo anni di vacche grasse) a Cuba, nell’America Latina e nel secondo e terzo mondo si riflette sull’esempio di una resistenza che ha dato speranza a milioni di abitanti di questa terra consapevoli di avere diritti da rivendicare e ingiustizie da sanare.
Gli ostinati e dignitosi cubani che da cinquanta anni affrontano minacce e ricatti dal mondo esterno, che da cinquanta anni hanno accettato di correre il rischio di aprire nuovi cammini e sperimentazioni per migliorare la convivenza in una società unita e non pentita, che da cinquanta anni pagano prezzi assolutamente sproporzionati per dimostrare che un altro mondo è possibile, hanno tutto il diritto di chiedersi oggi, nel terzo millennio, se ne valeva la pena. Sono gli unici che ne hanno davvero il diritto.
Molte voci latinoamericane si sono fatte sentire, in questi giorni di celebrazioni, per ricordare l’importanza che lo spirito ribelle della rivoluzione cubana ha avuto nel dare speranza al subcontinente; molti hanno ricordato che l’attuale stagione politica latinoamericana non sarebbe stata possibile se Cuba avesse cessato di esistere e non avesse invece resistito ad ogni tipo di aggressione, destabilizzazione, isolamento. Evo Morales, Rafael Correa, Hugo Chávez –ma non solo loro- hanno fatto sapere al mondo di avere un debito di gratitudine con l’isola antillana, ben sapendo che questo riconoscimento, pubblico e reiterato, si paga a caro prezzo nei rapporti con il potente “vicino del Nord”, gli Stati Uniti d’America. Russia e Cina –e non solo per interessi strategici ed economici- hanno mostrato rispetto per quel paese, e una miriade di stati miserabili impossibilitati a provvedere con dignità alle necessità della loro popolazione, devono a Cuba –e non lo nascondono- alfabetizzazione, sanità, istruzione, aiuti nelle emergenze di calamità naturali. Tutto questo è noto ed è stato reso ufficiale, negli anni, dai documenti pubblicati dalle più diverse commissioni della Fao, dell’Unesco, della Organizzazione Mondiale della Sanità, ecc., ecc.
Ma in questo importante anniversario, il mio omaggio va al popolo cubano, a quegli 11 milioni di abitanti a cui Fidel Castro, in quel lontano primo gennaio 1959, aveva annunciato : “non ci dobbiamo illudere credendo che da ora in avanti tutto sarà facile: Forse, da ora in avanti tutto sarà difficile”. Messi sull’avviso fin da quei primissimi momenti di euforia, i cubani hanno affrontato un futuro ignoto e rischioso che, anno dopo anno, dura ancora. Proprio per questo so che la rivoluzione cubana è viva, essa infatti ha a che vedere con il futuro e sbagli chi pensa che questo anniversario emoziona per ragioni di nostalgia. Al contrario, emoziona proprio per come è rivolta al futuro e per come lotta per esso.
Se l’impegno, il sacrificio, l’ostinata resistenza delle generazioni che hanno ancora memoria dei momenti irripetibili vissuti al trionfo della rivoluzione rende a tutti molto chiaro e comprensibile l’attaccamento e la difesa , come un prezioso tesoro che va conservato a costo della vita, bisogna riconoscere che anche le generazioni più recenti, quelle a cui è toccato il periodo speciale, i cicloni, la fine delle ideologie, il crollo del campo socialista, sembrano aver capito molto bene che cosa difendono oggi, difendendo la loro rivoluzione. Lo dice con semplice esattezza Julio César Guanche, un giovane intellettuale al quale cedo la parola:
“Il trionfo rivoluzionario […] ha distribuito fra milioni di esseri il capitale della vita: pane e dignità. La Rivoluzione ha tradotto la politica alla parlata popolare: quella dei soggetti cresciuti in quantità e qualità nella vita. Ha materializzato antiche utopie: la storia come un frutto diletto della volontà, l’abolizione forzata del mercato, lo sforzo di farla finita con le gerarchie sociali, l’emergere nella sfera pubblica delle classi che prima erano imprigionate dalla dittatura dell’uomo e del denaro. In questo modo ha prodotto un altro universo: quello di una cittadinanza universale con l’aspettativa di esercitare davvero la politica come controllo sovrano del corso della propria vita. […]Cinquanta anni dopo sappiamo che una rivoluzione non è una meta in se stessa, che tutto quanto è stato conquistato deve essere riconquistato, che rinnovarsi è l’unico modo per continuare.
Contro la legge di bronzo della storia e del presente, riaffermiamo il socialismno dell’utopia, giacché nutriamo un’identica passione per il godimento della bellezza e per il godimento della giustizia proprio come quelli che hanno fatto l’utopia del 1959.”
Che Cuba sia arrivata a questo anniversario è davvero una buona notizia. Forse l’unica buona notizia in questo primo giorno del 2009.