Vendetta di Lenín Moreno per lo scandalo “Ina Papers”
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Voltairenet, 19 aprile 2019
Vendetta di Lenín Moreno per lo scandalo “Ina Papers”
Alfredo Jalife-Rahme
Le gravi accuse dell’Ecuador a Julian Assange sono inverificabili. Le rivelazioni di Julian Assange sulla corruzione del presidente ecuadoriano Lenín Moreno sono invece verificate. Alfredo Jalife-Rhame ritorna sul sistema di arricchimento personale dell’America Latina
Consegnare un rifugiato al Paese che ospita la propria ambasciata significa farsi beffe delle tradizioni millenarie di qualsiasi civiltà, significa disonorare l’America Latina.
La consegna di Julian Assange agli Stati Uniti era già stata decisa nel 2017, quando Donald Trump inviò il proprio rappresentante speciale Paul Manafort, oggi in prigione, per negoziarla con Lenín Moreno, in cambio di accordi commerciali e ricompense in denaro [1].
Si attendeva l’elemento catalizzatore. L’occasione è stata la pubblicazione dei cosiddetti Ina Papers, uno scandalo che vede coinvolti il presidente Moreno, il fratello Edwin e le figlie in un’operazione di riciclaggio per 18 milioni di dollari nel paradiso fiscale del Belize, in America centrale.
La consegna ignominiosa di Assange, emblematico fondatore di Wikileaks, mette in pericolo la libertà di espressione in un’epoca di totalitarismo orwelliano-cibernetico e rimette in discussione il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti [2].
Edwin Moreno, fondatore dell’Ina Investments Corp., ha ricevuto 18 milioni di dollari, riciclati attraverso 11 società fantasma: Espíritu Santo Holdings, Fundación Amore, Fundación Esmalau, Fundación Pacha Mama, Inversiones Larena, Inversiones Maspal, Manela Investment Corp, Probata Investments, San Antonio Business Corp, Turquoise Holdings Ltd, Valley View Business Corp [3].
La denominazione Ina Investments Corp. risulta dalle ultime tre lettere dei nomi delle figlie di Moreno: Ir(ina), Crist(ina) e Kar(ina). Al fondatore di Wikileaks non si perdona la pubblicazione il 26 marzo scorso delle trattative di due anni fa tra il presidente Moreno e il presidente Trump, attraverso l’intermediazione di Manafort.
Moreno ha subito accusato Assange di aver piratato la sua posta elettronica e il suo telefono, sebbene questi non avesse accesso a internet né contatti con l’esterno.
La cosa più esilarante è che la ministra Maria Paula Romo ha affermato che Assange e Wikileaks sono implicati in una «cospirazione» per destabilizzare il governo di Moreno con l’aiuto di «due hacker russi». Vedere lo zampino dei russi ovunque è diventato un trito ritornello.
Già prima dell’ignominiosa consegna di Assange, il livello di popolarità di Moreno era precipitato al 17%. L’indegnità del personaggio si era già paalesata con la svolta verso la destra estrema, nonché con la sottomissione a Trump, dopo aver ottenuto il prestito di 10 miliardi di dollari dal FMI e dalla Banca Mondiale, al prezzo di draconiane misure di austerità e di una riduzione di 10.000 posti di lavoro nel settore pubblico [4].
L’arresto di Assange era una coreografia già pronta: cinque mesi fa, al Salone del Libro di Guadalajara, ne avevo annunciata la sequenza: espulsione/detenzione/deportazione [5].
I cosiddetti Ina Papers, che riguardano la corrottissima famiglia Moreno, non hanno niente di originale, fanno parte anch’essi dell’applicazione mafiosa in America Latina del neoliberalismo globale: volgare riciclaggio di denaro sporco in paradisi fiscali per comperare la coscienza dei dirigenti e/o dei manipolatori dell’opinione pubblica. Così è stato per i Panama Papers, in cui sono coinvolti lo scrittore Mario Vargas Llosa e il presidente argentino Mauricio Macri [6]; per il caso Bahama Leaks, con l’implicazione di Pinochet, Macri e dell’arci-corrotto partito messicano PAN [7]; per la truffa della Banca Stanford, dove riciclava il cartello del Golfo, in associazione con il cancelliere dell’ex presidente messicano Fox, Castañeda Gutman [8]; e così via.
Di fatto, in America Latina non c’è neoliberalismo senza sordido riciclaggio.
La cosiddetta «trama russa» del plagiatore Krauze Kleinbort (azionista della banca Santader e di Televisa) è, secondo l’Unità di Informazione Finanziaria del governo messicano, un altro filone del riciclaggio: quello dell’Operazione Berlino [9].
L’ex presidente dell’Ecuador Rafael Correa sostiene che, dopo la divulgazione dell’abbietto affare degli Ina Papers, il suo account Facebook è stato bloccato. Correa conferma che l’arresto di Assange è stato uno scambio per il prestito dell’FMI e una vendetta contro Wikileaks che ha reso pubblico lo scandalo degli Ina Papers [10].
Note:
[1] “Manafort Discussed Deal With Ecuador to Hand Assange Over to U.S.”, By Kenneth P. Vogel and Nicholas Casey, The New York Times, 3 dicembre 2018.
[2] “Fin de la libertad de expresión en Occidente: arresto de Assange, creador de WikiLeaks”, Alfredo Jalife-Rahme, Russia Today, 12 aprile 2019.
[4] “Amid corruption scandals and deals with IMF and Washington, Ecuador’s government betrays Assange”, Bill Van Auken, World Socialist Web Site, 12 aprile 2019.
[5] Cuando vaticine en la Fil de Guadalajara en noviembre el arresto de Assange Una más jajaja, Conferencias exclusivas de Alfredo Jalife, YouTube, 12 aprile 2019.
[6] «Los papeles de Panamá de Vargas Llosa: lavado neoliberal imperfecto en los paraísos fiscales», Alfredo Jalife-Rahme, La Jornada, 4 maggio 2016.
[7] «Bahamas Leaks: desnudan "lavado fiscal" de Pinochet, Macri, Pemex y el PAN de México», Alfredo Jalife-Rahme, La Jornada, 25 settembre 2016
[8] «Estafa de Stanford: del cártel del Golfo a Castañeda Gutman», Alfredo Jalife-Rahme, La Jornada, 4 marzo 2009.
[9] Operación Berlín y Operación Carlos Fuentes, conspiración de derecha intelectual mexicana, Gilberto Avilez Tax, La Jornada Maya 26 marzo 2019.
[10] «Rafael Correa atribuye al caso INA Papers el bloqueo de su página en Facebook», Sputnik, 12 aprile 2019.
Non sono stati stabiliti collegamenti con le fonti citate alle note 2 e 10, perché si tratta di siti oscurati dall'Unione Europea, sedicente patria della libertà di espressione
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