Il 7 ottobre è stato un massacro di Hamas o di Israele?
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The Cradle, 24 novembre 2023 (trad.ossin)
Il 7 ottobre è stato un massacro di Hamas o di Israele?
William Van Wagenen
La controversa politica militare di Israele di uccidere i propri cittadini per preservare la sicurezza nazionale potrebbe essere stato l'errore determinante del 7 ottobre. Ci sarebbe stato un “massacro” quel giorno se Israele non avesse adottato la Direttiva Annibale?
Recentemente si è tenuta una cerimonia di addio per la dodicenne Liel Hezroni, una ragazza israeliana del Kibbutz Be'eri morta durante l'operazione militare Al-Aqsa guidata da Hamas il 7 ottobre. Non c'è stata alcuna sepoltura tradizionale, ma solo una cerimonia, perché il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Inizialmente i funzionari israeliani hanno affermato che quel giorno la resistenza palestinese avrebbe ucciso 1.400 israeliani, di cui 112 a Be'eri. Sebbene Liel sia morta nel “giorno più buio di Israele”, nessun funzionario governativo ha partecipato alla cerimonia di addio per offrire le condoglianze alla sua famiglia. Né il governo israeliano ha indagato sulla sua morte, né ha detto ai suoi parenti come è morta.
Questo perché Leil probabilmente non è stata uccisa da Hamas, ma dall’esercito israeliano.
Liel è morta perché le forze militari israeliane hanno sparato due colpi di carro armato contro una casa a Be'eri, dove si trovavano 15 ostaggi israeliani e i 40 combattenti di Hamas che li avevano fatti prigionieri.
Yasmin Porat, 44 anni, è una dei due israeliani sopravvissuti all'incidente. È rimasta con Liel e altri ostaggi per diverse ore nella casa, sorvegliata - ha raccontato - da combattenti che li trattavano “umanamente” e il cui “obiettivo era rapirli e portarli a Gaza. Non ucciderli.
La rivelazione-bomba di Porat è stata che, quando sono intervenute le forze israeliane, “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, ha detto a Kan la madre di tre figli. "C'è stato un fuoco incrociato molto, molto pesante."
Ruolo delle forze israeliane nell'attacco al festival musicale
Un’indagine ufficiale della polizia israeliana sull’attacco al festival musicale Nova vicino al confine di Gaza aggiunge ulteriori elementi alle crescenti accuse secondo cui l’esercito avrebbe ucciso civili. Sta rapidamente sfaldandosi la narrazione iniziale di un massacro di 260 Israeliani commesso da Hamas, mentre i cittadini israeliani chiedono indagini e si acquisiscono maggiori informazioni.
Secondo Haaretz, una fonte della polizia ha rivelato che un elicottero da combattimento israeliano, intervenendo, non solo ha preso di mira i combattenti di Hamas, ma ha anche sparato contro gli Israeliani presenti al festival. Il rapporto della polizia ha ora corretto il bilancio delle vittime del festival, riducendolo a 364 vittime.
Un reportage di Yedioth Ahronoth del 15 ottobre suggeriva che Hamas avesse reso intenzionalmente difficile ai piloti distinguere tra loro e gli Israeliani, vestendosi con abiti civili. Questo, si sostiene, inizialmente fece esitare i piloti ad attaccare obiettivi a terra, ma poi iniziarono a sparare indiscriminatamente:
“All’inizio, la cadenza di fuoco contro migliaia di terroristi era tremenda, e solo a un certo punto i piloti hanno iniziato a moderare gli attacchi e a selezionare attentamente il bersaglio”.
È stata proprio la schiacciante potenza di fuoco scatenata dalle forze di occupazione ad aver contribuito in modo determinante all’elevato numero di vittime del 7 ottobre. Fa luce anche sulla netta contraddizione tra due narrazioni: la prima, di un Hamas omicida e dal grilletto facile che ha ucciso centinaia di persone “indiscriminatamente”, e l’altra, di combattenti palestinesi che hanno trattato i prigionieri “umanamente”.
Il portavoce del governo israeliano Mark Regev ha ammesso, in un'intervista la scorsa settimana su MSNBC, che il conteggio iniziale delle morti di 1.400 israeliani nell'operazione di resistenza era un errore. Il conteggio rivisto ha abbassato il numero a 1.200.
Abbiamo "sopravvalutato, abbiamo commesso un errore", ha detto Regev. "In realtà c'erano corpi bruciati così gravemente che pensavamo fossero nostri, invece è risultato che erano terroristi di Hamas."
Se circa 200 combattenti di Hamas e Palestinesi sono stati bruciati così gravemente dal fuoco dei carri armati e degli elicotteri, tanto da non poter essere identificati, la logica suggerisce che molti Israeliani abbiano subito un destino simile. Potrebbe anche spiegare il perché non sia rimasto nulla del corpo di Liel Herzoni, da seppellire durante la cerimonia di addio.
Buchi nella narrativa di Tel Aviv
Anche Hadas Dagan, l’altro testimone oculare dell’evento in cui Liel fu uccisa, ha confermato che, quando è intervenuto il carro armato israeliano, furono sparati due proiettili, e poi “ci fu un silenzio completo”. Non solo Liel, ma anche suo fratello Yanai e la loro zia Ayla, che li aveva allevati, sono morti in quella casa.
Un reportage di Haaretz del 20 ottobre ha confermato le dichiarazioni di due testimoni secondo cui le forze israeliane hanno bombardato le case a Be'eri e ucciso i detenuti israeliani all'interno. Il giornalista Nir Hasson riferisce che un residente di Be'eri di nome Tuval Escapa, che ha perso la compagna nell'attacco, ha dichiarato:
“I comandanti sul campo hanno dovuto prendere delle decisioni difficili – compreso bombardare le case con i loro occupanti all’interno per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi – solo allora l’IDF [esercito israeliano] è riuscito a prendere il kibbutz. Il prezzo è stato terribile. Sono state uccise almeno 112 persone di Be'eri.
Il reportage di Haaretz rilevava inoltre che, “11 giorni dopo il massacro, i corpi di una madre e di suo figlio furono scoperti in una delle case distrutte. Si ritiene che altri corpi giacciano ancora tra le macerie”.
Domande senza risposta
Il 15 novembre, Keren Neubach, giornalista e conduttrice televisiva dell'emittente israeliana Kan, ha parlato con Omri Shafroni, residente del Kibbutz Be'eri e parente di Liel. Omri non è ancora sicuro di come sia stata uccisa Liel:
"Non escludo la possibilità che Liel e altri siano stati uccisi dal fuoco dell'IDF [esercito israeliano]. Potrebbe essere che siano morti a causa del fuoco dei terroristi, o potrebbe essere che siano morti a causa del fuoco dell'IDF, perché c'era uno scontro a fuoco molto pesante, non lo so e non voglio parlare a vanvera".
Ma si è mostrato arrabbiato, perché il governo israeliano si rifiuta di indagare su quanto accaduto quel giorno a Be'eri, nonostante le testimonianze emerse.
"Sappiamo quello che Yasmin ha detto da più di un mese, lo abbiamo sentito da Yasmin e Hadas e dalla nostra gente del kibbutz, i cui parenti sono stati uccisi lì. Ma nessun funzionario è venuto a dirci cosa è successo in questa casa", si lamenta Omri:
“Mi sembra molto strano che, fino ad ora, non sia stata fatta un’indagine seria su un evento in cui sarebbero stati assassinati 13 ostaggi, e che non si sia tentato di negoziare. Forse hanno avuto ordine di non fare alcuna trattativa? Non lo so, ma fino ad ora non c’è stata alcuna seria indagine. E nessuno è venuto a dirci che cosa è successo davvero”.
Se davvero i soldati avessero avuto ordine di non tentare alcuna trattativa, e di sparare invece con proiettili di carri armati su una casa piena di coloni israeliani, ciò significherebbe che i leader militari israeliani hanno ordinato ai comandanti sul campo di applicare la controversa “Direttiva Annibale”.
Forza estrema per fini estremi
Il Times of Israel ha chiarito come la “direttiva consenta ai soldati di usare quantità potenzialmente massicce di forza per evitare che un soldato cada nelle mani del nemico. Ciò include la possibilità di mettere in pericolo la vita del soldato in questione per impedirne la cattura”.
"Alcuni ufficiali, tuttavia, interpretano l'ordine nel senso che i soldati dovrebbero uccidere deliberatamente il loro compagno per evitare che venga fatto prigioniero", aggiungeva il giornale.
Un’indagine di Haaretz sulla direttiva ha inoltre concluso che, “dal punto di vista dell’esercito, un soldato morto è meglio di un soldato prigioniero che soffre lui stesso e costringe lo Stato a rilasciare migliaia di prigionieri per ottenere la sua liberazione”.
In passato, i comandanti israeliani si sono trovati ad affrontare situazioni in cui venivano catturati singoli soldati. Ma tutto è cambiato il 7 ottobre, quando il loro esercito si è trovato ad affrontare una situazione insolita e senza precedenti, che vedeva centinaia di Israeliani catturati e condotti come prigionieri di guerra nella densamente popolata Striscia di Gaza.
In un'intervista con Haaretz del 15 novembre, il colonnello di riserva dell'aeronautica israeliana Nof Erez suggerisce che i militari abbiano portato la Direttiva Annibale a un nuovo livello quando sono intervenuti coi loro elicotteri Apache:
“Quello che abbiamo visto qui è stato un “Annibale” di massa. C’erano molte aperture nella recinzione, migliaia di persone in molti veicoli diversi, alcune contenenti ostaggi e altre senza”.
Una copertura per il genocidio
È improbabile che un’indagine formale sull’uccisione di Liel Hezroni e dei quasi 1.200 altri israeliani uccisi insieme a lei avvenga presto, se non mai.
Sulla scia dell’Alluvione di Al-Aqsa, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stato pesantemente criticato per i fallimenti dell’intelligence che hanno consentito il successo della resistenza palestinese. Ha promesso un'indagine ma rifiuta di avviarla fino a dopo la guerra.
Se dovesse essere avviata un’indagine, probabilmente emergerebbe che Netanyahu e altri leader israeliani ritengono che una ragazzina israeliana di 12 anni morta sia meglio di una ragazzina israeliana di 12 anni imprigionata.
Eppure emerge anche una consapevolezza che fa riflettere: l’uccisione di persone come Liel Herzoni è stata strumentalizzata per un’operazione di de-umanizzazione dei 2,3 milioni di Palestinesi di Gaza, tra cui più di un milione di bambini, etichettandoli come “animali umani”, e ha fornito un pretesto per le spietate, genocide azioni israeliane cui il mondo ha assistito sui social media nelle ultime sei settimane.
Dal 7 ottobre, Israele ha bombardato indiscriminatamente Gaza a tappeto, dirigendo i suoi attacchi verso case, moschee, chiese, ospedali e scuole. Questo implacabile attacco ha provocato la tragica perdita di oltre 14.000 vite palestinesi, di cui più di 5.000 bambini.
Nel mezzo di questo assalto senza precedenti, siamo costretti a chiederci: se Israele mostra poco rispetto per la vita dei suoi stessi cittadini-coloni, quale speranza rimane per la popolazione palestinese oppressa, esposta ad un’offensiva aggressiva e rabbiosa? Tutto questo “giustificato”, ovviamente, da un “massacro di Hamas” che potrebbe non essere mai avvenuto.
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