La strage è di Stato
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TelQuel, n. 482
Un’inchiesta nel paese di Khattabi(*)
Aicha Akalay
Il 20 febbraio cinque abitanti di Al Hoceima sono morti in circostanza ancora non chiare. Nella città le proteste non si spengono e le famiglie delle vittime, oltre ad una parte degli abitanti, accusano lo Stato di essere responsabile della loro morte
Sono le 20 nella piazza principale di Al Hoceima, quando risuona l’inno nazionale. Questa domenica 10 luglio il Movimento del 20 febbraio ha difficoltà a far sentire la sua voce, sovrastata dalle urla dei baltajias (squadracce al servizio della polizia, ndt). Quando i primi chiedono più democrazia, gli altri rispondono “sì alla Costituzione”, anche se il “sì” ha già vinto con percentuali staliniane. Anche se l’atmosfera è buona e oggi non vi sono stati scontri, la tensione in città è palpabile. La capitale del Rif totalizza il più gran numero di morti dall’inizio della contestazione nel paese. A titolo informativo, dopo la manifestazione del 20 febbraio, cinque cadaveri carbonizzati sono stati ritrovati in un’agenzia bancaria incendiata. La verità sull’episodio non si è mai scoperta e le famiglie delle vittime gridano allo scandalo. Le molte zone d’ombra in questa vicenda spingono le famiglie, il Movimento del 20 febbraio, le associazioni e gran parte della città a indicare lo Stato come responsabile. “Al makhzen kay ktal” (Il Makhzen uccide), gridavano i manifestanti durante l’ultima mobilitazione del Movimento del 20 febbraio.
Il giorno della tragedia
In tutti i taxi della città si parla solo di questi cinque giovani, morti oramai da quattro mesi in circostanze che restano misteriose. Si sa bene che i taxi danno spesso la temperatura di una città. Il 20 febbraio, quando è partita la contestazione, 50.000 persone sono sfilate nelle strade di Al Hoceima secondo gli organizzatori, solo 4.000 secondo le autorità. “Il corteo è andato molto bene fino alla metà del pomeriggio. Molte tribù del Rif hanno raggiunto Al Hoceima, in una vera dimostrazione di forza. La gente voleva regolare i conti soprattutto col PAM, che si vanta di controllare la regione”, testimonia Ahmed Belaichi, attivista locale. Il caos scoppia a partire dalle 16.00. Alcune banche vengono incendiate e vengono attaccati alcuni edifici pubblici, tra i quali il Municipio e il commissariato di polizia. “i fautori dei disordini erano pochi, ma hanno provocato molti danni. Bruciavano il materiale del Municipio in mezzo alla strada senza essere disturbati. Io ho visto dei cittadini proteggere gli edifici pubblici, ma nessuna traccia delle forze dell’ordine. Erano tutti spariti”, racconta Belaichi. Il responsabile regionale dell’AMDH, Ali Belmezian, denuncia anche lui l’assenza delle autorità quando la città è stata presa d’assalto dagli chasseur. Gli organizzatori avevano avvertito negozi e residenti che era meglio chiudere e barricarsi. Quando la polizia alla fine è intervenuta e dopo più di un’ora di scontri, la città apprende che è stato scoperto un cadavere carbonizzato in un’agenzia bancaria in Boulevard Mohammed V, una delle quattro avenue principali di Al Hoceima. L’indomani mattina la Protezione civile dichiara di aver trovato altri quattro cadaveri, di persone che sarebbero morte nella stessa agenzia durante un secondo incendio scoppiato nella notte. Dal 21 febbraio e per un mese Al Hoceima viene occupata dalla polizia e nessuno può manifestare.
Zone d’ombra
A inizio marzo, le famiglie delle vittime apprendono da una dichiarazione televisiva del ministro dell’interno che i corpi sono stati identificati e che “la Procura della Corte d’Appello ha ricevuto i risultati delle due autopsie ordinate, che confermano che l’incendio è stato la causa delle morti”, secondo il comunicato del Dipartimento di Taieb Cherkaoui. I corpi sono quelli di Jamal, Nabil, Sami e Imad, secondo i risultati dell’analisi del DNA. Per le famiglie, cui le autorità cittadine e il Procuratore generale non hanno fornito alcuna spiegazione, troppe domande rimangono senza risposte. “Accusano i nostri figli di essere entrati nella banca per rubare. Ma non si conoscevano tra di loro, non sono dello stesso quartiere e non hanno la stessa età. Cosa facevano insieme?” si chiede Mohamed Jaafar, il padre di una delle vittime. “L’unico punto in comune tra di loro, è di appartenere alla stessa classe di età dei giovani che sono stati arrestati dalla polizia quella sera”, sottolinea Mohamad, coordinatore del Movimento del 20 febbraio a Al Hoceima.
Le cinque famiglie hanno perso ogni contatto con le vittime intorno alle 20 di quella sera. Tra i giovani arrestati “diversi mi hanno confermato di aver visto mio fratello in commissariato più o meno a quell’ora”, assicura Fadoua El Oulkadi, sorella di una delle vittime. Secondo le famiglie, i loro figli, fratelli e mariti deceduti sono stati arrestati il 20 febbraio, condotti al commissariato e assassinati, poi gettati nel fuoco. “Mio marito non è un ladro e io sono convinta che è stato il Makhzen ad ucciderlo”, accusa Hanane Salmi, moglie di Jamal. Si tratta di un’accusa grave e fa gelare il sangue. Ma è condivisa da un buon numero degli abitanti di Al Hoceima. L’inchiesta svolta dalle autorità non ha raggiunto alcun risultato e nessuno sa, a oggi, chi ha appiccato l’incendio nell’agenzia bancaria. Una cosa è certa, “c’è un silenzio sospetto intorno a questa vicenda e si ha l’impressione che la si voglia insabbiare”, s’inquieta Ali Belmezian. Dubbi sono stati espressi anche dal presidente della ragione (del PAM), Mohamed Boudraa. Che ha rimesso in discussione la spiegazione ufficiale della morte dei 5 giovani nella stampa del Rif, prima di ritrattare qualche giorno dopo.
Giustizia in ritardo
Oggi le famiglie sono smarrite e la città non riesce a ritrovare la tranquillità. Venerdì 8 luglio i concerti organizzati da Maroc Telecom in città sono stati interrotti. “Non abbiamo animo di danzare e cantare. Vogliamo la verità sulla morte dei nostri familiari”, spiega Fadoua El Oulkadi che, con l’aiuto dei giovani del 20 febbraio e di altre famiglie, ha organizzato una protesta contro la festa organizzata dall’operatore telefonico. Risultato: la città ha dovuto fermare il festival per evitare agitazioni. I luoghi teatro del dramma non possono fornire più alcun indizio , “perché l’agenzia ha avviato i lavori due giorni dopo, distruggendo ogni potenziale traccia. E la cosa non ha preoccupato le autorità”, s’indigna Belmezian. Sull’avenue dove si trova l’agenzia, oggi completamente rinnovata, vi sono tre altre agenzia vicine dotate di sistema di videosorveglianza. Le famiglie hanno chiesto di visionare i video, “ma il procuratore generale ci ha risposto che, se vogliamo vederli, occorre che ci facciamo carico dei 20 milioni di perdite che la banca ha subito a causa dell’incendio”, attestano Mohamed Jaafar e Hanane Salmi. Tel Quel ha chiesto al Ministro della giustizia l’autorizzazione ad intervistare il procuratore generale, ma essa è rimasta senza seguito. All’inizio della settimana, le famiglie hanno depositato una denuncia alla Corte d’Appello chiedendo che sia fatta luce sulla morte dei loro familiari e di poter esaminare il referto autoptico oltre ai video del sistema di sorveglianza delle banche. In questo estremo lembo del Rif, si pensa ancora che il Potere centrale trascuri la regione. Queste morti non chiarite alimentano questo sentimento, qualche volta legittimo.
Vittime. Chi erano?
Jamal Salmi: questo sarto di 24 anni aveva appena festeggiato il primo anno di matrimonio. E’ uscito domenica 20 febbraio per assistere al match del Barcellona e sostenere i catalani. E’ stato visto l’ultima volta intorno alle 20, mentre acquistava il pane.
Nabil Jaafar: Seguiva un corso di formazione professionale e intendeva trasferirsi all’estero da suo zio per lavorare. A 19 anni, aveva la patente ed era molto devoto, secondo la famiglia. Un amico attesta di averlo visto l’ultima volta intorno alle 20, quando una staffetta ha cominciato a seguirli.
Jaouad Benkaddour: Quest’uomo di 26 anni era cameriere in un caffè che vanta la più bella veduta di Al Hoceima. E’ uscito di casa il 20 febbraio per vedere cosa succedeva in città. A partire dalle 19 non era più raggiungibile al telefono. Secondo la famiglia di Jaouad, il cadavere che è stato loro restituito non è quello del giovane.
Sami El Bouazzaoui: Aveva 17 anni ed è il più giovane dei cinque. Appartenente ad una famiglia relativamente agiata, viene descritto come un ragazzo senza problemi e comodo nelle sue scarpe da tennis. Sarebbe stato visto per l’ultima volta in una avenue della città con dei poliziotti alle calcagna.
Imad El Oulkadi: A 19 anni lavorava nel porto e nei mercati. Il giorno in cui è sparito ha portato del pesce alla famiglia e poi è uscito per seguire il match di football. Secondo sua sorella, verso le 21, è stato fermato dalla polizia insieme al suo amico Adil.