Da “Viva il Re!” a “Viva il Popolo!”, piccola storia di un ex ignorante
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Demain online, 27 gennaio 2013 (trad.ossin)
Da “Viva il Re!” a “Viva il Popolo!”, piccola storia di un ex ignorante
Anas Chadil
Fino al febbraio 2011, io dicevo sempre “Viva il Re!” Per me era l’uomo che ha rivoluzionato il Marocco. M6 (Mohammed VI, ndt) ha costruito i ponti, gli ospedali e le autostrade. E’ l’uomo che ha portato sviluppo all’economia marocchina: Il PIL continua ad aumentare, gli investitori continuano ad arrivare, la disoccupazione continua a diminuire. E’ l’uomo che ampliato le libertà: non c’è più “Tazmamart” (una prigione segreta del sud-est del Marocco, ndt), non ci sono più sparizioni forzate, c’è la libertà di espressione, la stampa può parlare di tutto tranne che del “Re” e della sua famiglia.
Ma ho sempre pensato anche che chi volesse manifestare avesse il diritto di farlo, anche quelli che chiedono una monarchia parlamentare o la repubblica. Anche se non condividevo le loro opinioni. Per me era semplicemente una questione di principio.
Oggi, quasi due anni dopo, sono passato dall’altra parte, e grido alto e forte: “Viva il popolo, abbasso la dittatura, abbasso il Mekhzen!” (il sistema di potere della monarchia marocchina, ndt)
Questo mutamento di campo non è stato per caso, né un colpo di testa. Si fonda su ciò che mi sembra giusto, sui miei principi ai quali resto fedele. La mia curiosità e il mio spirito, senz’altro condizionati dal mio entourage familiare e dalla mia formazione scientifica, mi hanno spinto a fare un ragionamento semplice, certo, ma che ha cambiato la mia percezione delle cose. Queste persone, i dissidenti e gli oppositori, non sono tutti pazzi, stupidi, ritardati mentali, arrivisti, traditori, non possono avere tutti i torti.
Allora ho deciso di informarmi sulle loro ragioni, i loro argomenti, il loro modo di vedere le cose.
E il primo articolo in cui mi sono imbattuto era scritto da un certo Jad Siri, avvocato e giurista marocchino, intitolato “Il Marocco
più coinvolto nelle rivoluzioni tunisina, egiziana e libica, di quanto non vogliano ammetterlo le autorità”, sul prestigioso sito dell’associazione Mémoire des luttes, creato per iniziativa di Gunter Holzmann. Questo articolo voleva dimostrare che il Marocco è un grande cantiere a profitto del più grande imprenditore del paese: Mohammed VI. Un’altra immagine del Marocco, diversa da quella di un paese emergente in cui va tutto bene, dove l’avvenire è promettente. Il Marocco non è affatto uno stato di diritto, è uno stato in cui il diritto viene applicato differentemente a seconda delle persone: io lo definisco uno stato della persona e non uno stato delle istituzioni. Voglio citare l’ultimo paragrafo di questo articolo:
“In conclusione. Un potere concentrato essenzialmente nella mani di un solo uomo che non deve rendere conto a nessuno. Una classe politica e un apparato giudiziario screditati, dei media sotto tutela. Questa è la realtà della ‘democrazia marocchina’. Parlare dunque di ‘processo democratico’ non è per niente serio. E’ interesse della monarchia dare ascolto alla contestazione attuale ed accettare che la Costituzione venga profondamente riformata affinché, come le grandi monarchie parlamentari, il re debba regnare senza governare. La monarchia dimostrerebbe così di avere compreso cosa sta succedendo, le esigenze democratiche delle società arabe e il senso della storia. Come ha già fatto, nel 1975, la monarchia spagnola col re Juan Carlos”.
Questo articolo mi ha scioccato, sì, ma non è stato sufficiente a convincermi . Io avevo bisogno di argomenti “cartesiani”, irrevocabili, una reazione del tutto normale, dopo 24 anni – era la mia età all’epoca – di lavaggio del cervello.
Ed ecco che mi sono ritrovato di fronte ad un articolo sconcertante che parlava della legge finanziaria; un documento ufficiale, pubblico e disponibile gratuitamente. Secondo la legge finanziaria, il re ha un appannaggio pari ad 8 volte quello di Obama, il presidente del paese più potente del globo. Il re riceve 72.000 dirham al giorno, un po’ meno di 7000 euro al giorno. Un appannaggio semplicemente scandaloso. Oltre a questo, la monarchia costa al povero contribuente marocchino 234 milioni di euro.
Per darvi un ordine di grandezza, questa cifra rappresenta un po’ più del doppio di quanto costi l’Eliseo al contribuente francese. Tenendo conto che il PIL francese è circa 30 volte il PIL marocchino, ciò vuol dire che la monarchia ci costa 60 volte più cara dell’Eliseo ai Francesi.
Tanti soldi a una sola persona rappresentano uno scandalo incredibile.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata però la lettera di Ahmed Benseddik, ingegnere marocchino appartenente all’entourage del re. La lettera illustra la grande corruzione e gli abusi di potere e mette a nudo la responsabilità diretta del re. Ho atteso allora una reazione, una spiegazione da parte del regime… qualche cosa insomma: NIENTE.
L’ingegnere, dal canto suo, si è beccato dopo la pubblicazione della lettera una sorveglianza serrata per un po’ di tempo. Si sono levate delle voci per denunciare questo fatto, ma niente, il re non ha fatto niente per fare giustizia, di qui questa lettera di rottura della promessa di fedeltà, la prima nella storia moderna del paese.
Dopo questi fatti, mi sono convinto che mi hanno preso in giro per anni. Tutti: la televisione, la scuola, i professori, la famiglia, gli amici, i giornali… e l’Occidente, grande complice del dispotismo…
Io ce l’ho oggi con tutti quelli che conoscevano la verità e non mi hanno detto niente, tutti quelli che hanno contribuito al mio lavaggio del cervello.
Ho deciso di combatterli, o piuttosto di combattere il loro modo di fare, con tutte le mie forze, per aiutare le vittime, come me, di questa strumentalizzazione. L’obiettivo è di interpellare le coscienze dei miei simili, perché si esiga e si strappi uno statuto di cittadini e non di sudditi.
Io sono un frutto del lavoro svolto dal Movimento del 20 febbraio, che ha risvegliato le coscienze e spezzato in parte il muro della paura. Bisogna che la catena non si spezzi, la “festa della fedeltà alla dignità e alla libertà” organizzata il 1° settembre 2012 a Parigi è solo una tappa di una lunga lotta che continuerà fino a che il popolo riprenderà il potere e istaurerà uno Stato di diritto.