Marrakech, 10 gennaio 2009


Parliamo ancora di Abderrezzak Kadiri

Incontriamo Youssef Lotfi, 22 anni, studente di economia all’Università di Marrakech e Elghalia  Boudkour, anche lei studentessa, sorella di Zohra, uno degli arrestati del 14 maggio 2008. Ci parlano dei tragici avvenimenti che hanno provocato la morte di Abderrezzak Kadiri. Sono entrambi militanti della Voie démocratique basiste, una fazione della gauche marocchina di ispirazione maoista, nella quale militava anche il “martire”.
Ci dicono che tutto è cominciato quando sono giunte le prime notizie dei criminali bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, il 27 dicembre 2008. Nel pomeriggio stesso, gli studenti della Voie démocratique basiste hanno organizzato una manifestazione di solidarietà col popolo palestinese, uscendo dalla cittadella universitaria. La polizia è intervenuta in forze, circondando la facoltà. I primi scontri sono cominciati intorno alle ore 15.00. Gli studenti hanno cercato di allontanarsi dalla cittadella universitaria, perché non volevano che la polizia la invadesse, come era avvenuto il 14 maggio. Si sono quindi spinti verso i quartieri popolari ed, in questa occasione, è stato arrestato Meriem Bahmou, unico testimone a discarico nel processo contro gli studenti arrestati il 14 maggio.

Il giorno dopo, il 28 dicembre 2008, gli studenti si sono dedicati ad attività di sensibilizzazione e sono poi usciti dalla città universitaria, per recarsi in centro città, dove intendevano manifestare per Gaza e per la liberazione dei loro compagni detenuti. Erano 1000 o 1200 persone e con loro c’erano anche le famiglie dei detenuti politici.
Intorno alle 20.00 sono stati circondati dalle forze di polizia e sono cominciati gli scontri, soprattutto nel quartiere popolare Unité 3. I militanti della Voie démocratique basiste erano 20 o 30.
La polizia ha picchiato duramente, ha usato manganelli e anche sbarre di ferro che i poliziotti hanno prelevato da un vicino palazzo in costruzione. Hanno colpito gli studenti sulla testa e sul corpo, fino ad uccidere Abderrezzak Kadiri. Ma anche altri studenti sono stati duramente colpiti, circa una quarantina sono rimasti feriti, tra essi Toufik Chwini, fratello di Mourad e Outman Chwini, altri due detenuti per i fatti del 14 maggio.

Quando hanno saputo della morte di Abderrezzak, gli studenti hanno boicottato gli esami per 2 settimane e fatto una marcia verso la Morgue, in segno di solidarietà con la famiglia.


Abderrezzak Kadiri, ci dice Mustapha Errachidi, un avvocato della AMDH (Associazione marocchina per i diritti umani), era il figlio più grande di una famiglia poverissima. Tutte le speranze di questa famiglia erano risposte in lui, e lui già da ora riusciva ad esserle di aiuto, contribuendo al mantenimento di essa con la sua misera borsa di studio. 
Da quello che si è riusciti a sapere, continua l’avvocato Errachidi, il ragazzo è morto il giorno dopo il suo ricovero, il 29 dicembre, ma solo il 31 i responsabili dell’ospedale hanno convocato la famiglia perché ne constatasse il decesso.
La famiglia si è rivolta all’AMDH che, attraverso l’avvocato Errachidi, ha chiesto una autopsia. E’ stato loro risposto che era già stata fatta per disposizione del Procuratore del re e che ne avrebbero conosciuto l’esito a inchiesta completata.
L’avvocato Errachidi ha anche chiesto che fossero ascoltati 6 studenti che sono stati testimoni dei fatti: essi sono pronti a fare il nome di 3 alti ufficiali di polizia che hanno dato l’ordine di pestare gli studenti. Si tratta di un ufficiale della DST (i “servizi” marocchini), un altro della Sureté nationale, ed un terzo della Garde universitarie.

La famiglia, in un primo tempo, ha chiesto fosse fatta luce sui fatti, giungendo al punto di rifiutare che le fosse riconsegnata la salma, prima che fosse reso pubblico il risultato dell’autopsia.
Poi improvvisamente qualcosa è cambiato, e il padre ha accettato di far interrare il cadavere. Pare che ci sia disaccordo tra i membri della famiglia, alcuni dei quali vorrebbero mantenere una linea di maggiore fermezza, mentre altri – tra cui il padre – avrebbero ricevuto pressioni ed intimidazioni, addirittura dal Wali di Marrakech (una sorta di “prefetto”), attraverso un avvocato che è anche  membro del Parlamento.
Gli studenti ci dicono che attualmente la casa della famiglia sarebbe strettamente sorvegliata dalle forze di polizia, che impediscono a chiunque di avvicinarvisi.
L’avvocato Errachidi ci racconta il suo sgomento quando ha contattato la famiglia, dopo gli ultimi avvenimenti, e si è sentito rispondere: ”Quello che è fatto è fatto, è stata la volontà di Dio”.

Gli studenti ci dicono che non è la prima volta che la polizia uccide degli studenti durante delle manifestazioni contro Israele. Ricordano la morte di Zoubida Khalifa, Souad Saaidi e Adil Ajrawi, a Fes nel marzo del 1988. E l’uccisione in commissariato di Grina Mohamed, nel 1979 a Casablanca.
Di tutt’altro segno è il comportamento della polizia nei confronti di manifestazioni indette da forze diverse dalla gauche radicale. Negli stessi giorni in cui la repressione uccideva Abderrezzak, si è svolta anche una manifestazione del partito islamista (PJD) nella Facoltà di Scienze, ma qui la polizia non si è nemmeno fatta vedere.    

 

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