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Notizie dal Marocco, 17 ottobre 2009
I sette saharaoui arrestati l’8 ottobre all’aeroporto di Casablanca sono comparsi il 15 ottobre davanti al giudice istruttore della Corte di Appello di Casablanca, che però si è dichiarato incompetente perché le accuse loro rivolte, di attentato alla sicurezza estera dello Stato ed intelligenza col nemico, sono reati di competenza del Tribunale militare.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, infatti, i detenuti sono comparsi davanti al giudice istruttore del Tribunale militare di Rabat, che li ha interrogati fino all’1 del mattino seguente. Successivamente sono stati riaccompagnati al carcere di Salé.
Brahim Dahane è riuscito a far sapere che sono stati trattenuti otto giorni nei locali della polizia giudiziaria, i primi tre giorni con gli occhi sempre bendati, e che sono stati interrogati da esponenti di diversi servizi di sicurezza. I detenuti hanno riconosciuto, tra gli altri, Bahri Hamid, ex vice wali della Sureté nationale a Laayoune.
Le accuse
Le “ragioni” dell’arresto filtrano da qualche comunicato della MAP (l’agenzia di stampa ufficiale) e dagli articoli della stampa “fedele”. Aujourd’hui le Maroc del 12 ottobre spiega che
“i sette erano andati a Tindouf per seguire un seminario di formazione sulla nuova strategia del Polisario finalizzata a mettere in campo delle provocazioni all’interno del territorio nazionale. Nel programma, due temi essenziali: organizzazione di manifestazioni e loro mediatizzazione in Marocco e all’estero. I loro istruttori nei campi di Lahmada hanno fornito una consegna di carattere generale: “Far parlare del movimento”. E per attuarla é stato messo a loro disposizione ogni mezzo: danaro e sostegno mediatico attraverso le reti algerine sia all’interno del paese che all’estero.
Ma stavolta lo Stato ha deciso di non tollerare più simili provocazioni. Una decisione che gode di un largo sostegno popolare, politico e della società civile. “Gli individui che hanno effettuato una visita ai campi di Tindouf sono stati fermati, nel pomeriggio di giovedì, all’aeroporto Mohammed V di Casablanca, e affidati alla polizia giudiziaria designata dalla Procura generale per l’interrogatorio - annunciava un comunicato venerdì scorso, prima di precisare che “questi individui saranno deferiti alla giurisdizione competente al termine di questa inchiesta”.
La reazione dello Stato si giustifica – continua l’articolo di Aujourd’hui le Maroc – col fatto che l’attività di questi individui non rientra nei limiti della libertà di espressione, essi non si sono limitati ad esprimere un punto di vista, ma hanno stabilito contatti con un’entità straniera in tempo di guerra. Perché – occorre ricordarlo – noi siamo sempre in guerra con i mercenari del Polisario. Siamo esattamente in una situazione di cessate il fuoco, dopo l’accordo del 1991 ed un arresto delle ostilità non significa che la guerra è finita. E inoltre i dirigenti del Polisario non smettono di ripetere nei media internazionali ch’essi contano di riprendere le armi contro il Polisario.
Come si può permettere allora a degli individui di firmare un “accordo col nemico” e seguire corsi di formazione sulle ultime tecniche di spionaggio e poi ritornare a fare tranquillamente il loro lavoro.. E tuttavia è questo che certi pseudo difensori delle libertà individuali osano rivendicare. Sarebbe come chiedere alla FBI di restare a braccia conserte dinanzi a delle persone che fossero partiti per seguire un corso di formazione sulle ultime tecniche di fabbricazione di bombe in un campo di Al Qaida e di non fare niente quando rientrano in territorio americano”.
Metodo e intimidazione
La vicenda dei sette arrestati continua a suscitare grandi interrogativi, soprattutto per il “metodo”, oltre che la gravità dei reati contestati (quello di cui all’art. 181 del codice penale marocchino, punito con la pena di morte).
Il “metodo” usato è quello di un arresto preceduto, e preparato, da una violenta campagna di stampa contro i “traditori”, alla quale si è allineata quasi tutta la stampa marocchina e quasi tutte le forze politiche. E’ evidente che l’imput è venuto dal Palazzo, ne fa fede il fatto che tutti hanno usato le stesse espressioni, tutti ribadito i medesimi concetti, come se avessero ripetuto a pappagallo le veline giunte dalle autorità superiori. Solo alcuni giornali si sono sottratti , e sono quelli che sono oggetto in questi giorni di violentissimi attacchi da parte della autorità di governo, eclatanti sono stati il sequestro e la distruzione di alcuni numeri di TelQuel e Nichane e la chiusura a tempo indeterminato della redazione del quotidiano arabo fono Akhbar Al Youm.
La campagna di stampa contro i “traditori” peraltro prosegue e cerca di abbracciare nell’attacco anche forze come la Voie démocratique, l’unico partito marocchino che si è espresso con chiarezza a favore dell’autodeterminazione del popolo saharaoui e l’AMDH, la più importante associazione marocchina di difesa dei diritti umani.
Il giornale Al Bayane aveva pubblicato, il 10 ottobre, la falsa notizia che tutti e sette i militanti saharaoui arrestati erano membri sia dell’AMDH, che di Annahj Addimokrati (la Voie démocratique appunto), come a segnalare la complicità di queste organizzazioni con i “traditori”. E Aujourd’hui le Maroc, nell’edizione del 13 ottobre, ha intimato agli snob difensori dei diritti dell’uomo di prendere posizione contro i 7 arrestati. E’ un chiaro richiamo all’ordine nei confronti dell’AMDH e della Voie démocratique.
E’ interessante riportare l’intero articolo che si intitola “Snobismo diritto-uominismo”, a firma di Omar Dahbi. Esso fa parte di una rubrica che si chiama “Décryptage”, e ci sembra interessante decriptarlo a nostra volta.
L’articolo comincia con queste parole:
“Per respingere gli atti immondi degli agenti dei mercenari del Polisario, i Marocchini non hanno certo bisogno di sapere quello che essi abbiano detto o fatto per conto dei loro commissionari. Ma ciò non ci impedisce di andare di tempo in tempo a spigolare nei giardini dei criminali per dissotterrare le prove dei loro delitti”
Che sostanzialmente significano: A noi non importa quello che fanno o non fanno i militanti saharaoui, noi li consideriamo nemici “a prescindere”, e continueremo a non parlare di loro e delle loro proteste, salvo quando riterremo di utilizzare i loro comportamenti come prove di un delitto”.
Continua con queste parole:
“Prendiamo l’esempio di Aminatou Haidar. Questa signora che va in giro per il mondo a profitto dei suoi padroni di Tindouf è il tipico esempio del traditore. Giovedì scorso, mentre i suoi co-agenti erano interrogati dalla polizia giudiziaria marocchina all’aeroporto di Casablanca al rientro da Tindouf, Aminatou era ricevuta dalla moglie del Presidente della Nigeria. Un incontro organizzato dai Sudafricani che gestiscono – conformemente alla divisione dei compiti che si è stabilita tra Algeri e Pretoria – i suoi atti propagandistici nell’Africa anglofona….”
Che vuol dire: “Adesso basta con la libertà che questi traditori e agenti del nemico hanno di andare in giro dentro e fuori del paese per fare propaganda. Bisogna arrestare anche Aminatou Haidar, che è complice dei sette traditori già arrestati”.
L’articolo prosegue:
“E’ interessante conoscere il tessuto di menzogne che Haidar ha consegnato alla prima donna nigeriana. Secondo quanto riportato dalla stampa algerina ella avrebbe informato la sua interlocutrice a proposito delle persecuzioni e segregazioni patite dagli studenti saharaoui, aggiungendo che le scuole sono diventate basi militari e poliziesche marocchine al pari di tutte le università marocchine, dove gli studenti saharaoui sono sottoposti a ogni forma di tortura. Avrebbe inoltre raccontato che perfino i bambini a scuola sono sottoposti ad interrogatori da parte della polizia e anche arrestati, torturati e poi abbandonati in pessime condizioni fuori dalle città occupate. Ecco un estratto delle menzogne che Aminatou e i suoi accoliti raccontano ovunque i servizi algerini li inviino in missione, mentre migliaia di giovani saharaoui seguono regolarmente i loro studi ,come tutti gli altri compagni delle altre province, nella quiete e la tranquillità e finiscono per accedere all’università approfittando della priorità loro accordata – per solidarietà nazionale dai loro compatrioti – nei servizi offerti dalle università.
Esso si può cosi tradurre:
“Aminatou va in giro a parlare delle condizioni in cui versano gli studenti saharaoui e bisogna impedirglielo. Tra l’altro esagera e dimentica di dire che gli studenti saharaoui che non rompono i coglioni con la politica non sono per niente discriminati, anzi godono di ampi privilegi e precedenze nell’accesso ai servizi universitari, loro accordati nel tentativo di comprarne la fedeltà.”
E conclude:
“Ora è compito di coloro che, per uno snobismo diritto-uominista ridicolo o per interessi personali inconfessati, esprimono solidarietà con questi agenti del Polisario, di dire pubblicamente ciò che pensano. Possono davvero sostenere che la situazione nelle province del sud assomiglia a quella descritta da Aminatou? Non è bene che gente che finge di essere il portavoce della verità e il difensore della giustizia parli solo quando si tratta di sostenere gli agenti del Polisario e taccia quando si tratti di smascherarli”.
Che può essere tradotto:
“L’AMDH e la Voie démocratique sono avvertiti: è il momento di prendere le distanze dai militanti saharaoui, se non vogliono anche loro essere considerati agenti al soldo del nemico” .
L’offensiva contro i diritti umani
L’offensiva in atto contro le libertà democratiche in Marocco deve essere analizzata con serietà. Non si comprende bene se essa risponda ad una logica di chiusura di ogni spazio democratico, logica nella quale vengono accomunati saharaoui e marocchini insieme, oppure sia una diretta reazione alle difficoltà che la proposta marocchina di autonomia delle “province del sud” sta incontrando. E anche alle larvate, ma insistenti critiche che settori importanti della società civile marocchina stanno portando da tempo alla politica del governo sulla questione del Sahara.
Quello che è certo è che il livello della repressione si è di colpo elevato al massimo grado. La contestazione, per la prima volta dall’avvento al trono di Mohammed VI, di reati puniti con la pena di morte, il ribadire che il paese è in guerra col Polisario, giacché le ostilità sono solo sospese in virtù dell’accordo di cessate il fuoco, il fatto di sequestrare giornali e chiuderne con atto amministrativo le redazioni, sono tutti segnali del fatto che si vuole tornare ad un clima di guerra, nel quale fare i conti con la contestazione crescente e con la crisi sociale.
E’ indispensabile dare una risposta a questa escalation, che sia adeguata alla sua gravità.
Nicola Quatrano