Un errore di troppo
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TelQuel 3/9 ottobre 2009
Lo Stato giustizia Akhbar Al Youm
Dopo le condanne esorbitanti, le persecuzioni poliziesche ed i sequestri illegali, lo Stato arriva oggi a chiudere arbitrariamente un giornale. E domani?
Lunedì 28 settembre, poco dopo le 19. Cinque uomini in abiti civili si presentano alla porta del quotidiano Akhbar Al Youm a Casablanca. A quest’ora i giornalisti se ne sono già andati ed è rimasto solo qualche impiegato amministrativo. “Siamo della polizia e veniamo a prendere il numero che uscirà domani (martedì 29 settembre). Abbiamo l’ordine di sequestrare tutte le copie disponibili”, comunica con toni cordiali uno dei poliziotti in borghese. I primi esemplari, appena usciti dalla tipografia, vengono subito sequestrati. Lo stesso per gli altri che si trovano ancora in un’auto di servizio della società editrice Média 21. In tutto i poliziotti hanno recuperato 570 copie. “Adesso dovete andarvene. Abbiamo l’ordine di evacuare le persone e chiudere i locali”, aggiunge il poliziotto. Sorpresa generale. Come interpretare un simile ordine? Si tratta di un sequestro? Evidentemente no (almeno non ancora), perché i poliziotti hanno semplicemente (e cortesemente) chiesto di chiudere i locali e… di conservarne la chiave. “Non abbiamo nessun documento ufficiale da consegnarvi, solo un ordine da eseguire. E, per dirla tutta, non sapevamo nemmeno che si trattava della sede di un giornale”, confidano alcuni poliziotti. E va bene, ma di cosa si tratta? Del sequestro amministrativo di un numero in contestazione, o della pura e semplice interdizione della testata? Nessuno tra la ventina di agenti che hanno rapidamente circondato i locali di Akhbar Al Youm è in grado di fornire una risposta soddisfacente.
La risposta viene, come spesso in simili circostanze, dalla agenzia di stampa MAP. Leggendo le prime righe i responsabili della società editrice si sentono soffocare. Il Ministero dell’Interno ha deciso di denunciare Akhbar Al Youm per la pubblicazione, nel numero del week-end (sabato 26 e domenica 27 settembre), di una caricatura che mostra il principe Moulay Ismail su di una aammaria (tavola nuziale, ndt). Stando al comunicato del Ministero dell’Interno, questa caricatura “viola il rispetto dovuto ad un membro della famiglia reale”. Inoltre il giornale è accusato di “avere utilizzato tendenziosamente la bandiera nazionale recando oltraggio all’emblema del regno”. E come se tutto questo non fosse sufficiente a far tremare il più coriaceo degli editori, il comunicato aggiunge che “l’utilizzazione della stella di David nella caricatura suscita interrogativi circa la insinuazioni dei suoi autori e denota inclinazione all’antisemitismo”.
Pasticcio poliziesco
Il microcosmo politico-mediatico è sotto choc. Tanto più che si viene a sapere che il numero sequestrato quella sera stessa dalla polizia non era quello incriminato. Per quanto possa sembrare paradossale, il numero con la famosa caricatura era stato liberamente diffuso e venduto e le copie invendute erano state regolarmente recuperate dalla società di distribuzione. La spiegazione di un simile qui pro quo è semplice: nella concitazione del momento, la polizia aveva sequestrato il numero sbagliato. Nella redazione di Akhbar Al Youm non si nasconde lo sbalordimento. “La vignetta era passata senza suscitare alcuna reazione. All’inizio ci eravamo addirittura lamentati per la sua banalità”, ci ha confidato un giornalista.
Lunedì, a inizio serata, la notizia ha fatto già il giro del Net. Su Al Jazeera, Taoufiq Bouachrine, direttore di Akhbar Al Youm (che abita a Rabat) mostra il suo sbalordimento ed esprime tutta la sua indignazione di fronte alla illegale occupazione dei locali del giornale da parte delle forze di polizia. Una novità assoluta negli annali del braccio di ferro tra poteri pubblici e stampa indipendente. A Casablanca alcuni giornalisti ritornano in redazione, muniti di una copia del dispaccio della MAP. I poliziotti di guardia parlano al telefono coi superiori. “Sono stati loro ad informarli o si è trattato di una semplice coincidenza? Ad ogni modo un’ora e mezza più tardi altri poliziotti sono tornati per sequestrare tutti i numeri invenduti dell’edizione del week-end” racconta un impiegato. E anche così, i poliziotti recuperano un centinaio di copie… ma non toccano (almeno fino a mentre scriviamo queste righe) le migliaia di invenduti conservati dalla società di distribuzione.
“Tutto questo dimostra che la decisione è stata presa nella fretta – ragiona un giornalista della redazione - Arrivando ai locali del giornale, alcuni agenti della Polizia giudiziaria si stupivano di incontrarvi elementi dei servizi di sicurezza. Nessuno aveva una idea precisa della missione che era stata loro affidata” . In nessun momento la polizia dà prova di dominare la situazione. Così alle 20 il giornale era già stato distribuito a Rabat e Casablanca. Alla stessa ora sono partiti i furgoni che trasportavano le copie a Marrakech e Agadir. Nella fretta (ancora una volta) la polizia chiama sui loro portabili tutti gli agenti regionali della società di distribuzione, intimando loro di non distribuire il giornale. In tutto questo tempo nessuno si prende la briga di notificare ufficialmente il sequestro alla società di distribuzione a Casablanca. Alcuni poliziotti sono andati a sequestrare le copia in alcune edicole di Casablanca, giungendo perfino a prendere dalle mani dei lettori le copie che avevano acquistato. La macchina si impenna e nessuno sembra poterla arrestare.
Sacralità e antisemitismo
Nella mattinata di martedì 29 ottobre, tutto lo staff di Akhbar Al Youm si ritrova sotto lo stabile dove ha sede la redazione, a pochi metri dalla Borsa di Casablanca. Le vetture della polizia sono sempre là, insieme alle auto civetta di qualche dirigente. Almeno cinque poliziotti vi hanno passato la notte. L’atmosfera è elettrica. Ufficialmente il giornale non ha ricevuto alcuna notifica legale di sequestro o di interdizione. Ai locali non sono stati posti i sigilli e solo alcuni elementi dei Servizi di sicurezza impediscono l’accesso ai giornalisti (che stazionano sul pianerottolo). Dopo diversi e vani tentativi di parlare col Ministro dell’Interno o quello della Giustizia, la società editrice ricorre ad un ufficiale giudiziario che constata il divieto di accesso imposto alla redazione. Questo non cambia niente evidentemente nella situazione, ma fornisce a Akhbar Al Youm una prova più o meno legale. Verso le 11, e dopo più di un’ora di negoziati, la polizia riesce ad ottenere lo sgombro del pianerottolo dell’ottavo piano. Allora lo stabile viene trasformato in una vera e propria fortezza. I visitatori (quel giorno numerosi) e gli impiegati degli uffici vicini sono sottoposti ad arbitrari controlli di identità. Non fidandosi, i poliziotti accompagnano qualcuno fino a destinazione.
Ma Taoufik Bouachrine è introvabile. Fin dalla sera precedente, egli è ricercato da diversi media locali e internazionali che danno grande risalto a questa “nuova vicenda di stampa e di opinione”. Anche Khalid Gueddar, il caricaturista del giornale, viene assalito dalle telefonate di molti giornalisti e militanti associativi. Entrambi negano di aver mancato di rispetto al principe Moulay Ismail. “Abbiamo solo riportato informazioni che interessano i Marocchini – spiega Bouachrine - La caricatura non può in alcun modo offendere il principe, per esempio perché l’abbiamo disegnato senza stravolgere i suoi tratti”. E la presunta stella di David, della quale nel disegno si intravedono solo due punte, il resto essendo nascosto dal corpo del principe? “Nego categoricamente l’esistenza di una stella di David nel disegno in questione – ha ancora dichiarato Bouachrine ad alcuni canali televisivi – Essa esiste solo nella testa di chi ha voluto citarci in giudizio”.
A fine mattinata viene annunciata una conferenza stampa per le 16. Obiettivo: informare l’opinione pubblica dei dettagli e degli sviluppi di questo nuovo affaire. Ma all’incontro non parteciperanno i principali protagonisti. Poco dopo mezzogiorno, infatti, Taoufiq Bouachrine e Khalid Gueddar sono convocati telefonicamente dalla Polizia Giudiziaria di Casablanca. I due vi si recano immediatamente e sono ricevuti al secondo piano dello stabile principale della prefettura di polizia della metropoli. Bouachrine ha giusto il tempo di informare i suoi collaboratori più prossimi sugli ultimi sviluppi, prima di essere risucchiato nel famoso “tunnel degli interrogatori”. All’inizio del pomeriggio almeno una cosa è sicura: Akhbar Al Youm non uscirà il giorno dopo (mercoledì) Ufficialmente la testata non è interdetta, semplicemente non autorizzata. “Nel suo comunicato, il Ministro dell’Interno dice di avere ordinato il sequestro del quotidiano Akhbar Al Youm senza precisare quale numero. E’ una aberrazione giuridica, ma la polizia può averla interpretata come il diritto di sequestrare tutti i numeri messi in vendita”, tenta di spiegare un avvocato di Casablanca. Oltre alla chiusura dei locali, sono stati posti sotto sequestro anche i conti bancari della società editrice. La redazione – di fatto – è condannata alla disoccupazione tecnica.
Il tunnel degli interrogatori
A metà pomeriggio, Bouachrine e Gueddar sono irraggiungibili. L’interrogatorio dunque è cominciato, ma nessuna informazione filtra dalla prefettura di polizia. Si sa solo che i due uomini vengono interrogati separatamente e hanno avuto diritto a uno spuntino. “Sono trattati bene e non manca loro niente. Dovrebbero uscire tra qualche istante”, annuncia verso mezzanotte un commissario di polizia alla decina di giornalisti che stazionano oramai da diverse ore davanti alla prefettura di polizia. Bouachrine e Gueddar sono rilasciati finalmente alle 3 del mattino. In tutto hanno passato più di 15 ore nei locali della polizia. L’interrogatorio è stato visibilmente estenuante, ma non è finita qui. Il secondo tempo è fissato per l’indomani alle 9 del mattino. Che cosa hanno loro chiesto in tutto questo tempo? Sono stati maltrattati o sottoposti a violenze? I due uomini rispondono a spizzichi, messe insieme e completate più tardi da diversi colleghi con le notizie provenienti da altre fonti vicine all’inchiesta. Si viene così a sapere che gli inquirenti hanno interrogato Taoufiq Bouachrine sulla sua infanzia e i suoi studi e preteso informazioni sui suoi beni e conti bancari. Sono state inoltre affrontati i temi dei viaggi di Bouachrine e le sue relazioni con “talune organizzazioni arabe”.
E allora la caricatura? Gli inquirenti ci sono arrivati solo a inizio serata e tutte le domande affrontavano lo stesso tema: “Perché è stata disegnata una stella a sei punte? Perché insistete a oltraggiare la bandiera nazionale? Quale è il nome dell’organizzazione straniera che vi incoraggia a fare questo?” ecc. Bouachrine nega tutto e afferma che le scelte editoriali del giornale sono decise giorno per giorno dalla redazione. Irritato dalle risposte di Bouachrine, un ufficiale di polizia (o della DST – servizi di sicurezza) tira fuori allora la caricatura e vi pone sopra della carta da ricalco. L’ufficiale ricopia la parte visibile della stella e ne allunga le punte in modo da ottenere una stella di David. Si lancia quindi in una vera e propria requisitoria, accusando Bouachrine di avere offeso la sacralità del paese e affermando quasi testualmente: “In Marocco ci sono 29 milioni di cittadini che sono pronti a trascinarti in giudizio. Se ciascuno di loro chiedesse anche solo 1 dirham simbolico, saresti condannato a pagare 29 milioni di dirham”.
Calmo fino all’estremo, Bouachrine sorride all’ufficiale-patriota e gli risponde che al massimo si tratterebbe di 28.999.999 dirham perché lui non ha nessuna intenzione di fare causa a sé stesso. Invece di allentare la tensione, la battuta innervosisce ulteriormente i poliziotti, uno dei quali arriva perfino a minacciare il direttore di Akhbar Al Youm. “L’inquirente mi ha detto: Ghadi nkhli dar bouk” (Ti taglio la gola) – racconta Bouachrine - ed io ho dovuto rimetterlo a posto, spiegandogli che sono state proprio cose del genere che sono costate care al Marocco”. Lo stesso trattamento è stato d’altra parte riservato anche al caricaturista Khalid Gueddar, interrogato anche sui suoi rapporti col sito internet bakchich.info, che ha già pubblicato diverse caricature di personalità marocchine, tra cui anche Mohammed VI.
E dopo?
Mercoledì 30 settembre. Mentre Taoufiq Bouachrine e Khalid Gueddar incontrano nuovamente i loro inquirenti alla prefettura di polizia, la redazione di Akhbar Al Youm si reca ancora una volta alla sede del giornale. Sorpresa: i poliziotti sembrano essersene andati. Lo stabile è oramai accessibile a tutti. Anche davanti alla porta della redazione non ci sono più agenti e non vi è stato apposto alcun sigillo. Dunque la redazione riprende possesso dei locali e avvia la produzione del numero del giorno dopo. Ma il peggio deve ancora arrivare. Alle 11,30 dei poliziotti in borghese piombano d’urgenza. Con aria afflitta chiedono al personale di liberare immediatamente i locali. Alcuni poliziotti si lamentano: “Vi prego, aiutateci a fare il nostro lavoro. I nostri capi restano tranquilli negli uffici e a noi ci mandano in prima linea”.
Come si spiega che non c’erano più poliziotti di guardia? Non avevano ricevuto degli ordini precisi? “Io non lo so che cosa è successo – spiega poco convinto un responsabile dei Servizi di informazione di Casablanca – Può darsi che qualche capo abbia avuto compassione dei nostri colleghi che dovevano passare la notte sul pianerottolo e li abbiano fatti rientrare”. Segue un duro negoziato. I giornalisti si rifiutano categoricamente di lasciare la redazione. Diversi giornalisti proclamano: “Se necessario, passeremo la notte qui, e se volete cacciarci dovrete farlo con la forza oppure esibire un ordine scritto”. Ma di fronte all’insistenza dei poliziotti e per evitare di aggravare la situazione, la redazione finisce poi per evacuare i locali. Taoufiq Bouachrine e Khalid Gueddar, da parte loro, sono sempre al Commissariato. Non vengono rilasciati che nel pomeriggio. L’indomani i due uomini compaiono davanti al Procuratore del Re a Casablanca.
La nostra e la vostra responsabilità
di Karim Boukhari
Lasciamo subito perdere il dibattito sulla caricatura e quindi sull’errore giornalistico. E’ un dibattito di retroguardia, che tocca un argomento minimo rispetto alla vera ampiezza dei problemi. Un giornale è stato vietato, i suoi dipendenti letteralmente messi alla porta, i suoi conti bancari sequestrati, la sua distribuzione bloccata, senza che nessuno si sia preso la briga di notificare, o almeno spiegare, per iscritto le ragioni della decisione. L’esecuzione capitale ha preceduto la sentenza: si tratta di una cosa eccezionale, degna di un paese in guerra. Siamo di fronte ad un’escalation, un errore (dello Stato) dinanzi al quale gli errori della stampa, quando ci sono stati, sono noccioline. Per cercare di rappresentare, anche sommariamente, quello che sta accadendo, lo si può paragonare al fatto di un ragazzino che abbia fatto una sciocchezza (come non essersi lavato le mani prima e dopo mangiato) e che per questo si becchi uno schiaffo dal padre e venga subissato di insulti volgari e trascinato per terra. Un massacro! Dinanzi ad un fatto del genere che cosa è che colpisce: la marachella del ragazzo o la violenza esponenziale del padre? E che cosa occorre fare d’urgenza: correggere il ragazzo e insegnargli le buone maniere o impedire al padre di commettere l’irreparabile? Sappiamo tutti quale è la risposta… Sgombrando il campo da tutte le altre questioni che i fatti accaduti sollevano, specialmente il dibattito sul corretto esercizio del giornalismo e sulle innumerevoli distorsioni della legge realizzate dal Governo, una questione principale emerge in tutta evidenza: è l’errore dello Stato a costituire il fatto saliente dell’affaire Akhbar Al Youm. La caricatura ha catalizzato la reazione del “sistema”, che è esploso oltre ogni misura. E’ la prima volta che questo succede con Mohammed VI. E’ un problema di carattere generale, politico. Di fronte ad una stampa che cerca di infilarsi nelle crepe createsi dopo gli anni 1990,lo Stato dà l’impressione, brutalmente, di farsi superare dagli avvenimenti. Reagisce con collera e nervosamente e questo gli fa perdere i buoni punti così pazientemente accumulati. E’ importante quindi ricordare ciò che tutti sappiamo: la libertà di espressione è una costruzione ed un apprendimento che si fa in due. La stampa da un lato, lo Stato dall’altro. In questa partita a due, anche lo Stato deve fare uso e dare prova di misura. E’ una sua responsabilità. Quando se ne allontana, come in questi giorni nei quali dà l’impressione di condurre una specie di “guerra” contro la stampa indipendente, bisogna ricordarglielo. Responsabilmente.
In 3 mesi….
Una terribile escalation
E’ oramai evidente: dall’estate scorsa,lo Stato pratica una sorta di tolleranza zero nei confronti della stampa indipendente. In meno di tre mesi infatti, almeno otto organi di stampa sono stati trascinati in giudizio, e i loro direttori sottoposti ad interrogatori ripetitivi e interminabili.
Giugno 2009, tre quotidiani (Al Ahdat Al Maghribia, Akhbar Ak Youm ed Al Jarida Al Oula) sono stati condannati ad un milione di dirham di risarcimento danni ciascuno nei confronti del leader libico Mouammar Kadhafi. I procedimenti giudiziari erano stati avviati dal Ministro degli Affari Esteri marocchino. Nello stesso momento un ufficiale giudiziario si presentava alle porte del mensile specializzato Economie et Entreprise per eseguire una sentenza pronunciata nell’ambito di una causa tra lo stesso mensile e Primarios, un’impresa appartenente al re Mohammed VI. Ammontare dell’ammenda : 5,9 milioni di dirham. La pena era stata aggravata in appello, perché in primo grado Economie et Entreprise era stato condannato a 1,8 milioni di dirham.
Agosto non si presenta meglio per la stampa nazionale. Solo per aver realizzato un sondaggio sui dieci anni di regno di Mohammed VI, 100.000 copie dei settimanali TelQuel e Nichane sono sequestrati e distrutti nella più totale illegalità. Nessuna norma vieta la realizzazione di questo tipo di sondaggi, ma i teorici ufficiali della censura vi vedono un attentato al rispetto del re ed alla sacralità dell’istituzione monarchica.
Settembre, il microcosmo mediatico ha fatto appena in tempo a riprendere fiato, che un nuovo fatto sprofonda la professione in una grande inquietudine: 10 giornalisti (di Al Jarida Al Oula, Al Ayam e Al Michaal) sono interrogati da 10 a 20 ore per avere fatto un’inchiesta sulla malattia del re dovuta all’ormai celebre rotavirus. 5 tra essi saranno tratti in giudizio. Lo Stato reagisce violentemente e mobilita tutto il suo apparato per stigmatizzare una “stampa sensazionalista e poco professionale”.
Infine l’affaire Moulay Ismail, che chiude (?) un’estate assai triste, ma che non volta pagina nel profondo disamore che corre tra alcuni dirigenti e la stampa nazionale. Perché, secondo alcuni osservatori, sembrerebbe oramai chiaro che lo Stato abbia fischiato, senza annunciarlo, la fine della ricreazione all’indomani delle celebrazioni dei dieci anni di regno di Mohammed VI. Una nuova era sembra annunciarsi, ed appare assai buia.
Crisi di crescita o ritorno agli anni bui?
Come interpretare questa escalation contro la libertà di stampa? Si tratta di fatti isolati, o piuttosto di una nuova strategia dello Stato? Alcuni esponenti della società civile cercano di rispondere.
Mohamed Larbi Messari (ex ministro, dirigente dell’Istiqlal) – Occorre abolire lo stato di emergenza.
Ciò che mi inquieta di più in queste vicende è la violenza della reazione ufficiale. E’ inconcepibile per esempio che la polizia occupi i locali di un giornale. Ci sono molti mezzi più civili per correggere gli errori o le scorrettezze che possono verificarsi in tutti i campi. Io sono dunque contro la violenza di quello che viene chiamato la prima reazione, quella che precede generalmente i procedimenti giudiziari. Questa ci dà l’impressione di vivere in una specie di stato di emergenza che non è stato proclamato e che occorre assolutamente abolire. Certo, occorrerà aprire un dibattito sulla professione, sull’etica e le responsabilità di ciascuno. Ma questo dibattito diventa un lusso nella situazione che viviamo sfortunatamente oggi. Bisogna prima di tutto arrestare i danni, già troppo numerosi. La situazione attuale è inoltre molto nociva al Marocco. Perché mettiamoci d’accordo su due cose essenziali: i Marocchini hanno preso gusto alla libertà e non vi rinunceranno più e l’immagine del Marocco, come terra di turismo o d’investimento viene danneggiata da vicende del genere.
Younes Moujahid (Segretario generale del Syndicat National de la presse marocaine – SNPM)
Secondo me c’è un filo conduttore che unisce tutte le vicende di questi ultimi sei mesi: è la reazione securitaria, spesso sproporzionata e spesso arbitraria. Molte questioni avrebbero potuto essere risolte grazie al dialogo o alla mediazione, ma ogni volta lo Stato ha preferito affidarsi ad una risposta aggressiva e spesso illegale. Noi dello SNPM siamo molto preoccupati nel vedere lo Stato violare allegramente la legge, con la scusa dei pretesi eccessi della stampa. E’ molto pericoloso perché nel rapporto tra i media ed i Poteri pubblici, l’indipendenza della giustizia ed il rispetto della legge sono essenziali. Come rappresentanti della professione, noi abbiamo sempre espresso la nostra disponibilità al dialogo, ma non notiamo analoga disponibilità nel governo. D’altronde il governo ci sembra essere stato completamente scavalcato dalla piega presa dalle cose. E così siamo, di colpo, caduti in una vera e propria impasse. Faccio appello dunque a chi di diritto perché freni l’emorragia. Il Marocco perde ogni giorno dei punti a causa di vicende poco lusinghiere per uno Stato di diritto.
Abdelhamid Amine (Vice-presidente dell’Association marocaine des droits humains – AMDH) Un ritorno diretto agli anni di piombo.
Assistiamo da qualche mese ad una vera e propria inflazione di misure repressive contro la stampa, e più in generale, contro la libertà di espressione. Noi dell’AMDH sappiamo che viviamo in un periodo di regressione delle libertà pubbliche. Siamo, per contro, sbalorditi e preoccupati per la velocità di questa regressione. Questa accelerazione è davvero scandalosa. C’è una sproporzione enorme tra i (rari) errori professionali ed i sequestri e le distruzioni di giornali, la chiusura dei locali, ecc. E’ un ritorno diretto agli anni di piombo, che richiede un forte impegno di tutti i democratici, senza il quale il Potere si sentirebbe autorizzato ad una maggiore repressione. Il Syndicat National de la presse marocaine ha reagito, occorre una risposta forte. L’impegno deve essere di tutta la società civile, dei movimenti per i diritti umani, i partiti politici, i democratici e tutti coloro che hanno a cuore la difesa delle conquiste compiute. Siamo ancora lontani da un vero Stato di diritto. Dobbiamo passare all’offensiva, non limitarci alla difesa.
Amina Bouayach (Presidente dell’Organisation marocaine des droits de l’homme – OMDH) La giustizia deve regolare, non solo condannare.
C’è un problema reale che richiama, a mio avviso una domanda. Siamo di fronte a iniziative prese contro la libertà di stampa o contro una forma (anche imperfetta) di gestione di questa libertà? Le conquiste, in termini di libertà, sono inalienabili, ma vi è un conflitto nel quale i due protagonisti (la stampa e le autorità pubbliche) amministrano le loro posizioni ed il loro territorio. La stampa qualche volta non rispetta le sue regole deontologiche e le costa riconoscerlo. Le autorità parlano di aperture a non le difendono. La nostra sfortuna è che la giustizia non svolge il suo ruolo. Non usa la giurisprudenza per governare la complessità e regolare le aperture. In un processo di transizione, la giustizia non può accontentarsi di condannare. E’ questo il punto dolente ed è la ragione per la quale noi crediamo sia urgente proclamare gli stati generali della stampa. Occorre iscrivere la libertà di espressione nell’agenda esecutiva e legislativa, onde offrire soluzioni che consentano di uscire dalla crisi attuale.