La Verité 13 – 19 giugno 2008 

 

Le forti proteste di cui è stata teatro Sidi Ifni confermano - se ce ne fosse bisogno, e in che maniera! – che il Marocco attraversa una grave crisi sociale e politica, che il governo non si assume le sua responsabilità. La situazione rischia a maggior ragione di degenerare, dal momento che il potere di acquisto della grande maggioranza del popolo marocchino si riduce sempre di più. All’orizzonte si intravvede un peggioramento della situazione, evocata dagli slogan scanditi durante le manifestazioni. I movimenti di contestazione assumono oramai carattere regionale ed etnico, sullo sfondo di un Marocco che alcuni accusano di avere voltato le spalle alla maggioranza dei suoi cittadini, per privilegiare una minoranza di ricchi.

 

di El Houssine Majdoubi

 

Si potrebbe credere a prima vista che i disordini scoppiati nella città di Sidi Ifni assomiglino a quelle che anche altre città nel mondo hanno conosciuto a causa dell’aumento del costo della vita e della riduzione del potere di acquisto. Assolutamente no,  sembra proprio che non si sia trattato se non della punta di un iceberg:  vi sarebbero mani occulte che, perseguendo rivendicazioni politiche non tutte fondate, cercherebbero di seminare il disordine, da qui la gravità della situazione.

 

Rischio di esplosione sociale
Non vogliamo certamente negare il carattere internazionale di tali contestazioni. Alcuni rapporti, soprattutto quello dell’ONU pubblicato lo scorso aprile, segnalano che diversi paesi del terzo mondo  conosceranno ondate di proteste a causa del’aumento dei prezzi degli alimenti e degli idrocarburi. Il Marocco sarà – a dire di questi rapporti – anch’esso interessato da questi disordini. Prova di ciò, secondo il rapporto dell’ONU che non sembra possa essere tacciato di parzialità, sono gli ultimi avvenimenti di Sefrou. La settimana scorsa è comparso un secondo rapporto che cita il Marocco a questo proposito e porta questa volta la firma dell’Instititution de la Paix internazionale.  In questo rapporto il Marocco figura tra i paesi dove la pace sociale è in bilico. I rischi di esplosione sociale qui sono a maggior ragione più forti. Pochi giorni dopo, gli avvenimenti di Sidi Ifni hanno dato ragione a questo rapporto. A dire il vero non è la sola città in cui vi sono stati disordini. Altre città, ugualmente marginalizzate, come Bouarfa, Feguig, Demnat o Rachidia, sono state teatro di vive proteste che si sono aggiunte agli scioperi settoriali quotidiani ed ai sit-in dei disoccupati.
A guardarli da vicino, i fatti che hanno da ultimo scosso Sidi Ifni non sono isolati, sarebbero il risultato di un vasto movimento politico e sociale avviato nell’estate del 2005, quando venne creato un coordinamento regionale che raggruppava partiti, soprattutto di sinistra, e di organizzazioni non governative , che si proponeva di ottenere di “attribuire a Sidi Ifni lo statuto di provincia, vale a dire creare una prefettura , strada diretta per la creazione di posti di lavoro, e l’utilizzazione in favore della popolazione locale delle risorse naturali della regione, come la pesca marittima”. Ma, e questo è il punto dolente,  vi sono segnali che lasciano presagire il peggio.
Cosi un giovane di Sidi Ifni ha presentato un video su You Tube dove si afferma  senza remore che “Sidi Ifni è stata costruita dalla Spagna, questo paese che ci ha lasciato tanti monumenti, al contrario del Makhzen (sistema di potere della monarchia marocchina, ndt) che non ci ha portato niente altro se non la repressione. Null’altro. Noi siamo riconoscenti alla Spagna e denunciamo il makhzen marocchino”. Questa dichiarazione non è isolata, altri segnali provano che la situazione rischia ancora di aggravarsi, In effetti la settimana scorsa una delegazione composta di giovani della città si è riunita il 19 maggio scorso col console spagnolo ad Agadir. Avrebbe chiesto alla Spagna di assumersi le sue responsabilità nei confronti della sua ex colonia. Alcuni avrebbero perfino chiesto al diplomatico di restituire agli abitanti della città la nazionalità spagnola.
Di più, una gran parte della popolazione locale considera la loro città come parte integrante del Sahara. E’ dunque, secondo loro, una regione oggetto di controversie, che dovrebbe appartenere sul piano amministrativo al Sahara piuttosto che alla provincia di Agadir. Non stupisce a questo punto che una  gran parte dei giovani della città sostenga apertamente il Polisario, giungendo anche a sostenere rivendicazioni  separatiste.
Si afferma inoltre in un’altra parte della popolazione, non solo tra i giovani, un discorso non meno grave che denuncia “l’ingiustizia di cui è stata fatta oggetto la tribù dei Baamarane.  Queste tribù hanno molto contribuito a cacciare il colonizzatore, ma non sono stati ricompensati. E sono al contrario quelli del nord che monopolizzano le ricchezze di Sidi Ifni, tra cui soprattutto la pesca marittima”.
Peggio ancora le ultime proteste di Sidi Ifni hanno visto per protagonisti i giovani, i vecchi, le donne e i bambini. Per tutti costoro il movimento di contestazione è come il prolungamento della lotta sostenuta un tempo contro il colonizzatore spagnolo.  Siamo dunque davanti ad una grave deriva, perché il Marocco viene presentato come un nuovo colonizzatore.

 

Ricerca della nazionalità spagnola. Perché?
Ci troviamo dunque al cospetto di un nuovo fenomeno. La marginalizzazione economica e l’impennata delle rivendicazione di autonomia producono un discorso che insiste sulla necessità di mettere a profitto della popolazione locale le risorse della regione. Più la gente sente che le loro rivendicazioni non saranno esaudite subito, più sembra rinnegare la sua appartenenza al Marocco. Lo si è visto a Sidi Ifni e allo stesso modo nella regione del Rif. Alcuni abitanti di Sidi Ifni non hanno nascosto, durante le ultime manifestazioni di protesta, il desiderio di recuperare la nazionalità spagnola, così allo stesso modo la grande maggioranza della popolazione del Rif ha espresso apertamente, in occasione della visita del Re Juan Carlos a Melilla, che preferisce appartenere alla Spagna. D’altronde se era comprensibile la politica perseguita dagli anni ’70 fino alla metà degli anni ’90 da Hassan II , quella di accordare privilegi alle celebrità della regione, capaci di mobilitare la popolazione,  oggi questa stessa politica, che ha creato grandi disparità e fragilità sociale, spinge la gente a fare delle celebrità il loro bersaglio privilegiato. Sempre su You Tibe, un giovane di Sidi Ifni ha presentato un video dove fa i nomi dei beneficiari dei permessi di pesca. Né è venuto fuori che per la maggior parte si tratta di stranieri. Cosa che ha spinto un gruppo di giovani a prendere di mira il porto, come simbolo della spoliazione delle ricchezze della regione.
La questione è dunque quella di sapere quali siano le misure necessarie a contenere e prevenire le crisi che rischiano di colpire il paese a breve. I responsabili sembrano puntare fino ad oggi su soluzioni palliative inadatte a risolvere i problemi, preferendo ricorrere alla repressione.  Si sa che questa politica seguita da decenni non ha prodotto esiti positivi. Al contrario non fa che aggravare la situazione. Di fronte ad una popolazione disperata, la repressione non può niente.  Questo spiega perché i movimenti di protesta si moltiplicano malgrado il pugno di ferro.
“Tutti i segnali – mette in guardia il politologo Abdellatif Hosni – mostrano che il Marocco attraversa una grave crisi. E’ necessaria un profonda riflessione per salvare questo paese dalla caduta. Si capisce che la pace socuiale è sempre più fragile. E’ necessario dunque reagire al più presto”.

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