Gli stupri di Hamas sono inventati, quelli israeliani autentici e documentati
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La guerra in Medio Oriente, 20 aprile 2024 - Le dubbie accuse di stupro mosse da Tel Aviv contro Hamas nascondono la scioccante crisi di violenza sessuale domestica in Israele, dove ogni giorno vengono stuprate 260 donne e minorenni israeliane (nella foto, Pramila Patten)
The Cradle, 12 marzo 2024 (trad.ossin)
Gli stupri di Hamas sono inventati, quelli israeliani autentici e documentati
Robert Inlakesh
Le dubbie accuse di stupro mosse da Tel Aviv contro Hamas nascondono la scioccante crisi di violenza sessuale domestica in Israele, dove ogni giorno vengono stuprate 260 donne e minorenni israeliane
Mentre le accuse infondate di stupro rivolte da Israele contro Hamas il 7 ottobre hanno dominato i titoli dei media occidentali, casi credibili e documentati di stupro contro Palestinesi e di violenza sessuale da parte di Israeliani su Israeliani hanno ricevuto molta meno attenzione.
La piaga israeliana della violenza sessuale e degli episodi di stupro non ha avuto origine cinque mesi fa: le sue radici sono più profonde e antiche, ed essa si inseriscono in un contesto che è essenziale conoscere.
Il grave problema della violenza sessuale in Israele
L’8 febbraio, Haaretz ha rivelato un fatto straziante: 116 procedimenti diversi aventi ad oggetto casi di violenza sessuale e violenza domestica contro donne e minori tra gli israeliani “sfollati” dai loro insediamenti illegali, a causa dei conflitti militari in corso con Gaza e Libano.
Si è parlato di essi nell’ambito dei lavori di una commissione speciale della Knesset sulla condizione delle donne e l'uguaglianza di genere, e nell’occasione "il presidente della commissione, la parlamentare Pnina Tamano-Shata [Partito di Unità Nazionale], ha rimproverato i rappresentanti della polizia per non aver raccolto dati accurati in ogni hotel a proposito dei fatti di violenza e stupro ivi perpetrati".
Sebbene ci siano state polemiche per la mancanza di dati completi, sono stati segnalati episodi inquietanti, tra cui un caso di pedofilia che ha coinvolto un 23enne che ha avuto una "relazione con una ragazza di 13 anni, che viveva nello stesso albergo" e uno stupro commesso da un uomo che aveva seguito una donna nella sua stanza. Si è inoltre osservato che gli ascensori sono luoghi particolarmente vulnerabili alle aggressioni e alla violenza sessuale.
I casi di violenza sessuale non si sono limitati ai circa 200.000 coloni “sfollati”. Si sono anche registrate le affermazioni credibili di una donna soldato che sarebbe stata violentata da un commilitone durante il brutale attacco militare in corso a Gaza.
Le molestie sessuali e la violenza non sono una novità tra le forze armate israeliane. Secondo un reportage di Haaretz, "un terzo delle donne di leva nell'esercito aveva subito molestie sessuali almeno una volta nell'anno precedente [2022]".
Haaretz ha osservato che la maggior parte delle vittime evita di denunciare ciò che è accaduto loro e che "il 70% delle giovani donne che lo ha fatto ha anche affermato che le loro denunce non sono state per nulla prese in considerazione, o hanno dato luogo ad accertamenti insufficienti".
Nel 2020, l’esistenza di un problema acuto di violenza sessuale nell’esercito israeliano è stata riconosciuta sulla base di solo 31 accuse, su 1.542 denunce di violenza sessuale registrate all’interno dell’establishment militare.
Si tratta di uno stupefacente atto d'accusa contro "l'esercito più morale del mondo". E non è solo l'establishment bellico israeliano ad essere affetto dal virus dello stupro.
Lo stupro, normalizzato in Israele
Oltre ad essere un centro regionale per il traffico di esseri umani e un rifugio per i pedofili, Israele si colloca costantemente al primo posto nell’Asia occidentale per casi documentati di stupro e aggressioni sessuali.
Nel 2020, vi sono state proteste in tutto Israele dopo che 30 uomini avevano stuprato in gruppo una ragazza di 16 anni ubriaca, cosa che ha spinto Ilana Weizman, del gruppo israeliano per i diritti delle donne HaStickeriot, a rivelare che una donna israeliana su cinque è stata violentata durante la sua vita, con 260 casi segnalati ogni giorno.
Nel marzo 2021, una serie di stupri di gruppo contro minori, la cui vittima più giovane aveva appena 10 anni, ha suscitato una diffusa preoccupazione in Israele. L'APCCI ha affermato che il tasso di reati sessuali violenti in Israele è del 10% superiore alla media dei paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), definendolo una "epidemia". Un rapporto della Knesset dello stesso anno ha rivelato che quasi la metà dei casi di abusi sessuali tra il 2019 e il 2020 riguardavano ragazze minorenni.
Nel 2016, gli attivisti di Jewish Community Watch avevano avvertito che Israele stava diventando un “rifugio sicuro per i pedofili”, sottolineando che gli autori di reati sessuali stavano utilizzando la Legge israeliana del ritorno, che consente a qualsiasi ebreo di rivendicare la cittadinanza e vivere nella Palestina occupata. Anni dopo, nel 2020, CBS News ha pubblicato un rapporto intitolato "Come i pedofili ebrei statunitensi sfuggono alla giustizia in Israele ", che dimostrava come le persone ricercate godessero di piena libertà in Israele, lasciandosi alle spalle un'ondata di casi penali irrisolti.
Per aggiungere la beffa al danno, i media ebraici hanno riferito che, in Israele, il 92% delle indagini sugli stupri viene archiviato.
Secondo l'Associazione dei Centri di Crisi dello Stupro in Israele (ARCCI), nonostante le "buone leggi" del paese sulla violenza sessuale, l’inadeguata applicazione di esse consente il ricorso a "trucchi legali" per sfuggire alle sanzioni, e molti aggressori riescono ad evitare il processo. In breve, "le persone non hanno paura di stuprare. Non c'è paura o punizione".
Occasionalmente, in casi molto mediatizzati di stupro e violenza sessuale, è noto che il sistema giudiziario israeliano ha operato bene, come dimostra la condanna dell’ex presidente israeliano Moshe Katsav nel 2010 per aver violentato un’assistente e molestato sessualmente altre due donne.
Tuttavia, la liberazione di Katsav dopo solo cinque dei sette anni di condanna ha acceso un dibattito sul rilascio anticipato degli autori di reati sessuali. Nel 2022, l'APCCI ha riferito che il 75% degli autori di reati sessuali in Israele viene rilasciato prima di aver scontato l'intera pena.
Israele trasforma lo stupro contro i Palestinesi in un’arma
Sin dai tempi della fondazione di Israele, è stato ampiamente documentato l’uso dello stupro come arma di guerra contro i Palestinesi. In un documentario del 2022 sul massacro israeliano nel villaggio palestinese di Tantura, orribili confessioni di stupro commesse dalla Brigata Alexandroni sono avvenute per la prima volta davanti alla telecamera.
Di quel periodo vengono segnalati anche diversi altri casi di stupro: almeno tre stupri, uno dei quali commesso contro una ragazza palestinese di 14 anni, avvenuti durante il massacro di Safsaf nell'ottobre del 1948.
Poiché lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono spesso difficili da dimostrare in modo definitivo, è essenziale notare che anche i primi sionisti usarono come arma la minaccia della violenza sessuale, soprattutto in occasione del massacro di Deir Yassin nel 1948.
Come documentato dallo storico israeliano Ilan Pappe nel suo libro “La pulizia etnica della Palestina”, storie di esplicite atrocità sessuali furono deliberatamente diffuse per incoraggiare i residenti di altri villaggi a fuggire. In una recente serie di interviste realizzate a due sopravvissuti alla Nakba, entrambi hanno rivelato di essere fuggiti dai loro villaggi proprio a causa degli stupri commessi nel villaggio di Deir Yassin.
Oggi, lo stesso intento di sessualizzare i Palestinesi vulnerabili è evidente negli innumerevoli video generosamente pubblicati sui social media con l’approvazione dell’esercito israeliano, in cui i soldati israeliani frugano nei cassetti della biancheria intima delle donne palestinesi e indossano persino in modo beffardo la loro lingerie.
Ciò, unito a quelle che un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha recentemente definito “accuse credibili” di violenza sessuale contro donne palestinesi da parte di soldati israeliani che operano a Gaza, indicano un chiaro modello di violenza di carattere sessuale in atto durante la guerra.
Sono stati inoltre registrati almeno due casi di stupro, insieme a numerosi casi di umiliazioni sessuali e minacce di stupro. Reem Alsalem, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, ha osservato che "ci vorrà forse molto tempo perché si conosca il numero effettivo delle vittime".
Umiliazione sessuale sistematica
Nel 2002, durante la Seconda Intifada, i soldati di occupazione israeliani presero il controllo delle reti televisive palestinesi nella città di Ramallah in Cisgiordania per trasmettere materiale pornografico su diversi canali. Sapendo che la società palestinese è socialmente conservatrice, è chiaro che ciò è stato fatto con l’intento di umiliare.
Un caso importante di recente umiliazione sessuale in Cisgiordania si è verificato proprio l'anno scorso vicino alla città di Al-Khalil (Hebron) ed è stato oggetto di una inchiesta congiunta Haaretz-B'Tselem. Il 10 luglio, tra i 25 ei 30 soldati israeliani hanno fatto irruzione nella casa della famiglia Ajluni, costringendo cinque donne palestinesi a spogliarsi nude sotto la minaccia delle armi e minacciando di scatenare contro di loro i cani da attacco dell'esercito.
Una donna di nome Amal è stata portata in una stanza privata insieme ai suoi figli e costretta a togliersi i vestiti. Il rapporto afferma: "i bambini hanno anche assistito all'ordine impartito alla madre di girarsi nuda mentre singhiozzava per l'umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza pallidi e tremanti".
Sebbene non sia possibile annotare ogni singolo caso di violenza sessuale perpetrata contro le donne palestinesi da parte delle forze israeliane, è ben documentato che le detenute sono state soggette ad alcune delle forme peggiori di tale violenza.
Durante la Seconda Intifada, ci sono state innumerevoli denunce di violenza sessuale contro donne e ragazze detenute dai militari israeliani, una tendenza che, secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, è di nuovo in aumento. Il gruppo per i diritti umani ha affermato che le detenute palestinesi recentemente rilasciate nello scambio di prigioniere tra Hamas e Israele sono state sottoposte a "minacce di stupro" e "sono state perquisite in modo umiliante più volte" dopo i loro violenti arresti.
Quanto segue è parte della testimonianza di Lama al-Fakhouri, 47 anni, registrata da B'Tselem dopo il suo rilascio:
- Un interrogante è entrato e mi ha chiesto in inglese cosa pensavo di ciò che ha fatto Hamas. Ha imprecato contro di me e mi ha chiamato 'puttana'. Ha detto che c’erano 20 soldati nella stanza e che mi avrebbero violentata come Hamas e ISIS hanno violentato le donne ebree nel sud di Israele. Continuava a insultarmi e a minacciare me e la mia famiglia. Poi è arrivata una soldatessa e mi ha portato in un'altra stanza con altre soldatesse, che mi hanno detto: "Benvenuta all'inferno". Mi hanno fatto sedere su una sedia e hanno iniziato a ridere di me e a chiamarmi "puttana" ancora e ancora.
Parlando ai media dopo il suo rilascio dalla detenzione israeliana alla fine dell'anno scorso, Baraah Abo Ramouz ha detto quanto segue riguardo alle condizioni "devastanti" affrontate dalle prigioniere palestinesi:
- Vengono costantemente picchiati. Stanno subendo aggressioni sessuali. Vengono violentate. Non sto esagerando. I prigionieri vengono violentati.
Nel 2022, lo Shin Bet ha archiviato un caso di violenza sessuale contro una donna palestinese detenuta nel 2015 per "mancanza di prove". Ciò, nonostante un medico e delle soldatesse avessero ammesso di aver toccato in modo inappropriato le parti intime della donna, e il comandante della compagnia avesse ammesso di averne dato l'ordine. Nel ricorso presentato dalla vittima si legge:
- In una situazione in cui non c'è dubbio che siano stati commessi atti che costituiscono stupro e sodomia, [in cui] ci sono prove sufficienti, è oltraggioso e insopportabile che nessuno venga punito.
Secondo l’ex funzionario del Dipartimento di Stato statunitense Josh Paul, dopo che lui e i suoi colleghi hanno ricevuto prove credibili che le forze israeliane avevano violentato un ragazzo palestinese di 14 anni nel centro di detenzione di Al-Moskibiyya, Israele ha fatto irruzione negli uffici del gruppo per i diritti umani che aveva trasmesso l’informazione al Dipartimento di Stato, dichiarandolo poi un'organizzazione terroristica.
False narrazioni che alimentano crimini di guerra
Mentre il governo israeliano diffonde la storia secondo cui Hamas avrebbe attuato una campagna sistematica di stupri pre-pianificata il 7 ottobre, pur in assenza di indagini indipendenti o prove verificabili, i casi documentati di violenza sessuale vengono sottovalutati e ignorati.
Il semplice fatto che sia stato il famigerato servizio di soccorso israeliano ZAKA a fornire le testimonianze di stupro del 7 ottobre, e che si tratti di un servizio fondato dallo stupratore seriale Yehuda Meshi-Zahav, soprannominato "Haredi Jeffrey Epstein", è significativo.
Le accuse di stupro del tutto infondate da parte del governo israeliano – diffusamente amplificate e ripetute a pappagallo dai media occidentali – sono impossibili da prendere sul serio quando la fonte è un famigerato gruppo di propaganda come ZAKA.
L’Ufficio del Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti ha recentemente pubblicato un rapporto dopo che la sua Rappresentante Speciale Pramila Patten ha completato un viaggio di otto giorni richiesto dal governo israeliano.
Il rapporto sulle accuse di violenza sessuale è stato prodotto da un team di nove esperti delle Nazioni Unite e non aveva alcun mandato investigativo. Eppure le sue dichiarazioni hanno fatto notizia sui media occidentali, suggerendo che le Nazioni Unite avevano confermato la narrazione di Israele, sebbene il rapporto non la confermasse in alcun modo.
Nel caso delle accuse di violenza sessuale rivolte al Kibbutz Be'eri, dove si sarebbe verificata la maggior parte dei casi denunciati, non è stata trovata alcuna prova. Due casi sono stati smentiti dal team delle Nazioni Unite in quanto "infondati".
In uno, che era stato presentato come prova di stupro, una donna è stata trovata separata dalla sua famiglia con la biancheria intima abbassata. La squadra delle Nazioni Unite ha affermato che "la scena del crimine è stata alterata da un artificiere e i corpi sono stati spostati".
Il rapporto delle Nazioni Unite ha inoltre osservato che gli interrogatori dei presunti partecipanti all'operazione Al-Aqsa Flood da parte delle agenzie di intelligence israeliane non possono essere considerati come prove affidabili, un altro duro colpo alle affermazioni di Israele.
Nel Kibbutz Kfar Aza, dove il rapporto concludeva che "lo scenario di donne vittime trovate spogliate, 18 legate e uccise - indica che potrebbero essersi verificate violenze sessuali, comprese potenziali torture sessuali o trattamenti crudeli, inumani e degradanti", si è accertato che, "al momento, non è stato possibile verificare la violenza sessuale contro queste vittime".
Dato che il team delle Nazioni Unite ha scoperto che gli israeliani avevano alterato altre scene del crimine, sarebbe necessaria un’indagine indipendente per confermare che le scene del crimine non siano state tutte manipolate.
Il costo umano delle bugie di Israele
Va anche notato che il recente scandalo del New York Times – il cui reportage sulla violenza sessuale del 7 ottobre è stato direttamente screditato dai familiari di una donna che si diceva fosse stata violentata – ha inferto un duro colpo alla credibilità della narrativa di Israele.
Nel corso della conferenza stampa in cui ha illustrato i risultati della sua missione ONU, Pramila Patten ha ammesso che non è stata intervistata alcuna vittima e non sono stati riscontrati stupri sistematici, e che il team non è stato in grado di attribuire atti di violenza sessuale a nessuno specifico gruppo di resistenza palestinese.
A peggiorare le cose, un thread su X ha mostrato che il capo del Centro nazionale israeliano di prove forensi, Chen Kugel, aveva personalmente sostenuto casi del tutto smentiti di atrocità, come quella dei bambini decapitati.
In questo clima che vede circolare affermazioni non verificate pur in assenza di indagini indipendenti, queste accuse esplicite e infondate alimentano una diffusa violenza sessuale contro i palestinesi vulnerabili.
Israele, alle prese con i propri problemi interni di violenza sessuale, deve vedersela con un numero elevato di casi sottoposti alla sua giurisdizione militare di utilizzo della violenza di carattere sessuale. La sproporzionata mancanza di attenzione verso le atrocità in corso perpetrate dallo Stato occupante dimostra chiaramente il doppio standard perpetuato dai media mainstream occidentali.
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