ProfileLa guerra in Medio Oriente, 28 luglio 2024 - La Dichiarazione di Pechino consolida l'idea che la risoluzione dei conflitti globali sia ormai Made in China. Ma mette anche i bastoni tra le ruote ai tentativi di Stati Uniti e Israele di creare un governo palestinese collaborazionista dopo la guerra di Gaza...      

 

The Cradle, 28 luglio 2024 (trad.ossin)
 
 
La Cina rafforza la posizione della Palestina
 
Pepe Escobar
 
La Dichiarazione di Pechino consolida l'idea che la risoluzione dei conflitti globali sia ormai Made in China. Ma mette anche i bastoni tra le ruote ai tentativi di Stati Uniti e Israele di creare un governo palestinese collaborazionista dopo la guerra di Gaza
 
 
 
 
HONG KONG – La  Dichiarazione di Pechino, firmata all'inizio di questa settimana, costituisce un altro sorprendente colpo di Stato diplomatico cinese, ma il documento è suscettibile di effetti che vanno ben oltre la semplice conferma della grande influenza della Cina. 
 
L' incontro dei rappresentanti di 14 fazioni palestinesi con l’impegno di raggiungere una piena riconciliazione ha mostrato al mondo intero che la strada per risolvere gli intricati problemi geopolitici non è più unilaterale: è multipolare,  multi-nodale e vede la Cina, membro dei BRICS/Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO), come leader ineludibile. 
 
Il concetto della Cina come superpotenza pacificatrice è ormai così consolidato che, dopo il riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita e la firma della Dichiarazione di Pechino, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha scelto il colloquio col suo omologo cinese Wang Yi, per comunicare che Kiev è finalmente pronta a negoziare la fine della guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina. 
 
I Palestinesi convocati a Pechino erano raggianti. Per il vicepresidente di Fatah Mahmoud al-Aloul, "La Cina è una luce. Gli sforzi della Cina sono una rarità sulla scena internazionale". 
 
Il portavoce di Hamas Hussam Badran ha detto che il movimento di resistenza palestinese ha accettato l'invito cinese "con spirito positivo e responsabilità patriottica". Tutte le fazioni palestinesi hanno raggiunto un consenso sulle "richieste palestinesi di porre fine alla guerra", ma il punto "più importante" della dichiarazione è quello relativo all’impegno di formare un governo che costruisca un consenso nazionale palestinese per "gestire gli affari del popolo di Gaza e della Cisgiordania, supervisionare la ricostruzione e creare le condizioni per le elezioni".
 
 
La proposta cinese in “tre fasi” 
 
Wang Yi è andato dritto al punto: la questione palestinese, afferma il ministro degli esteri cinese, è al centro di tutto nell'Asia occidentale. Ha sottolineato che Pechino
 
 
  • … non ha mai avuto interessi egoistici nella questione palestinese. La Cina è stato uno dei primi paesi a riconoscere l'OLP [Organizzazione per la liberazione della Palestina] e lo Stato di Palestina, e ha sempre sostenuto fermamente il popolo palestinese nel ripristino dei suoi legittimi diritti nazionali. Ciò che apprezziamo è la moralità e ciò che sosteniamo è la giustizia.
 
Ciò che Wang non ha detto – e non c'era bisogno di dirlo – è che questa è la posizione schiacciante dei BRICS+, condivisa dalla maggioranza mondiale, compresi, soprattutto, tutti i paesi musulmani. 
 
Tutto sta in un nome: nel prossimo futuro tutti noteranno che questa è la dichiarazione di "Pechino" che sostiene inequivocabilmente l'iniziativa "Un'unica Palestina"
 
Non c'è da stupirsi che tutte le fazioni politiche abbiano dovuto cogliere l'occasione, impegnandosi a sostenere un governo palestinese indipendente con poteri esecutivi su Gaza e la Cisgiordania occupata. Ma c'è un trucco: questo avverrà subito dopo la guerra, che il regime di Tel Aviv vuole però prolungare indefinitamente.   
 
Ciò che Wang Yi ha lasciato in qualche modo implicito è che la posizione storica coerente della Cina a sostegno della Palestina potrebbe essere un fattore decisivo nell'aiutare le future istituzioni di governo palestinesi. Pechino propone tre passaggi per arrivarci:
 
 
  • In primo luogo, un cessate il fuoco “completo, duraturo e sostenibile” a Gaza il prima possibile e “l’accesso agli aiuti umanitari e al soccorso sul campo”.
 
  • In secondo luogo, “sforzi congiunti” – ipotizzando il coinvolgimento occidentale – verso “una governance post-conflitto di Gaza secondo il principio di ‘palestinesi che governano la Palestina’”. Una priorità urgente è riavviare la ricostruzione “il prima possibile”. Pechino sottolinea che “la comunità internazionale deve sostenere le fazioni palestinesi nell’istituzione di un governo di consenso nazionale provvisorio e realizzare una gestione efficace di Gaza e della Cisgiordania”.   
 
  • Terzo, aiutare la Palestina “a diventare uno Stato membro a pieno titolo dell’ONU” e implementare la soluzione dei due Stati. Pechino sostiene che “è importante sostenere la convocazione di un’ampia conferenza di pace internazionale, più autorevole e più efficace per elaborare un calendario e una tabella di marcia per la soluzione dei due Stati”. 
 
Nonostante tutti questi obiettivi ambiziosi, soprattutto quando è palese che Israele ha di fatto seppellito la soluzione dei due Stati (come testimoniato dal  recente voto della Knesset  che ha respinto l’ipotesi di qualsiasi Stato palestinese), almeno la Cina sta proponendo direttamente ciò che la maggioranza mondiale considera all'unanimità un fatto di Giustizia. 
 
È importante sottolineare anche la presenza alla firma della dichiarazione di diplomatici provenienti da altri paesi membri del gruppo BRICS amici della Cina, come Russia, Sudafrica, Egitto e Arabia Saudita, insieme a diplomatici provenienti da Algeria, Qatar, Giordania, Siria, Libano e Turchia. 
 
 
Il genocidio come terapia
 
Ora confrontate il colpo di Stato diplomatico della Cina con quanto è accaduto al Congresso degli Stati Uniti che ha riservato 58 standing ovation allo psicopatico capo di Israele, che spaccia l'idea del genocidio come terapia. 
 
L'accoglienza da eroe di Bibi Netanyahu a Washington porta la nozione di psicopatologia collettiva a livelli più elevati. E tuttavia la complicità nel genocidio di Gaza non è esattamente un'eccezione alla regola per la leadership politica statunitense. 
 
Le "élite" politiche dell'Egemone, con l'aiuto franco-britannico, sono state anche collaboratrici attive e armatrici dei bombardamenti oppressivi sauditi ed emiratini e del blocco dello Yemen, che, in nove anni, hanno causato collettivamente persino più morti civili che a Gaza. La carestia in Yemen è tutt'altro che finita, eppure questa è stata una guerra completamente invisibile agli occhi dell'Occidente collettivo.   
 
Però alla fine è intervenuto il karma. La Cina ha promosso il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, e Riyadh è diventata un membro BRICS+ e si è profondamente impegnata nella spinta alla de-dollarizzazione, in cui sta emergendo il petroyuan. 
 
Inoltre, il movimento di resistenza yemenita Ansarallah è riuscito da solo a umiliare la Marina degli Stati Uniti. La "vendetta" di Stati Uniti e Regno Unito è stata quella di aprire un altro fronte di guerra, bombardando le installazioni yemenite per proteggere le navi israeliane nel Mar Rosso e nelle altre vie navigabili.   
 
Per quanto lo Yemen resti in guerra su due fronti, contro l'Egemone e Israele, tenendo d'occhio i potenziali imbrogli sauditi, la Palestina continua a essere decimata da un Israele completamente sostenuto dagli Stati Uniti. La Dichiarazione di Pechino resterà solo un foglio di carta se non verrà implementata. Ma come fare?
 
Supponendo un successo parziale, la dichiarazione potrebbe mettere i bastoni tra le ruote all’assoluta impunità dell’agenda di Tel Aviv-Washington, perché dopo l’accordo di Pechino, trovare un governo palestinese collaborazionista che perpetui l’occupazione potrebbe essere molto più difficile.   
 
Tutte le fazioni palestinesi hanno ora un debito serio con la Cina; le liti interne dovranno cessare. Altrimenti ciò equivarrebbe a una grave perdita di prestigio per Pechino.   
 
Allo stesso tempo, la leadership cinese sembra molto consapevole che questa è una scommessa del Sud globale, che mette a nudo l'ipocrisia dell'Egemone affinché il mondo intero la veda. Proprio come nel caso dell'accordo tra Arabia Saudita e Iran concluso a Pechino, le prospettive sono propizie, soprattutto se paragonate al rifiuto israelo-statunitense di un cessate il fuoco significativo.   
 
Una vera unità della Palestina darà inoltre un impatto maggiore a ogni iniziativa globale presso l'ONU, la Corte internazionale di giustizia (ICJ) e altri forum globali.  
 
Tutto quanto sopra, tuttavia, impallidisce in confronto ai terribili fatti sul campo. Gli israeliani ideologicamente genocidi, pienamente supportati dalla "leadership" politica degli Stati Uniti, continuano a farla franca facendo quello che veramente vogliono: l'omicidio di massa e la pulizia etnica di milioni di Palestinesi, qualcosa che, in teoria, dovrebbe portare a una maggioranza demografica assoluta per l'espansione di Israele in tutte le terre palestinesi. 
 
Questa tragedia non si fermerà tanto presto. La Dichiarazione di Pechino non la fermerà. Solo se l'Egemone cessasse di rifornire di armi Tel Aviv, potrebbe costringerla a fermarsi. Eppure oggi, quello che stiamo invece vedendo da Washington sono 58 standing ovation per il genocidio.
 
 
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura

 

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