Missione in Marocco
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Missione di Ossin in Marocco
Nella splendida cornice del salone di Palazzo Serra di Cassano a Napoli, si è svolta il 26 gennaio l’incontro promosso dall’Osservatorio Italiano e dall’Istituto italiano per gli Studi Filosofici dal titolo “Sahara Occidentale. Repressione e Processi”.
La locandina dell'evento
Sfidando il gelo di una giornata particolarmente fredda, e nonostante l’orario poco adatto al sabato, un pubblico numeroso e attento ha seguito i lavori, applaudendo lungamente l’intervento di Brahim Dahane, ex desaparecido saharawi ed ex prigioniero politico, che ha raccontato il dramma vissuto dal suo popolo.
Il dibattito è stato introdotto e moderato da Francesco Romanetti, giornalista de Il Mattino, da tempo attento alla questione saharawi e autore di interessanti reportage dai campi profughi di Tindouf.
Il presidente di Ossin, Nicola Quatrano, ha annunciato che l’Unione delle Camere Penali, la Camera Penale di Napoli e il Sindaco di Napoli hanno conferito a lui stesso, al magistrato Anna Grillo e al giornalista Francesco Romanetti il formale incarico di seguire, in qualità di osservatori internazionali, il processo che dovrebbe aprirsi il 1° febbraio innanzi il Tribunale militare di Salé (Rabat), contro 23 militanti saharawi accusati di gravi reati, per i quali la legge marocchina prevede la pena di morte.
L’avvocato Bruno Botti ha spiegato che, tra i compiti statutari dell’Unione delle Camere Penali, primario è quello per l’attuazione del giusto processo e dello Stato di diritto. Quella di inviare osservatori al processo di Rabat, dunque, non è stata una scelta, ma è stato un dovere. Non è mancato un accenno alla situazione italiana, soprattutto sullo stato delle carceri e del loro sovraffollamento e l’auspicio che una attività di verifica e controllo possa essere realizzata anche nei confronti della nostra realtà.
L’avvocato Roberto Giovene di Girasole, della Camera Penale di Napoli, ha ricordato che già nel 2010 due membri del direttivo della Camera Penale di Napoli, gli avvocati Bruno Larosa e Annalisa Senese, hanno partecipato come osservatori internazionali al processo contro sette militanti saharawi, che si è svolto innanzi il Tribunale di prima istanza di Ain Sebaa (Casablanca). Tra questi anche Brahim Dahane, oggi libero anche grazie alla mobilitazione internazionale.
L’applauditissimo intervento di Brahim Dahane ha toccato il tema delle torture cui sono sottoposti i prigionieri politici saharawi. Ha ricordato il suo passato di desaparecido e di prigioniero politico, sottolineando che per ben tre volte egli è stato in carcere e mai vi è stato un processo a suo carico.
L'intervento di Brahim Dahane
Fabio Marcelli, del direttivo dell’associazione internazionale dei giuristi democratici, ha ricordato che i fatti oggetto del processo che sta per iniziare riguardano gli avvenimenti che hanno seguito lo smantellamento del “campo della dignità” di Gdeim Izik, e che questa lotta è stata considerata la prima manifestazione del sommovimento sociale che ha preso poi il nome di “Primavera araba”.
Francesco Marco de Martino, ricercatore di diritto penale all’Università Federico II di Napoli, ha sottolineato come la nuova Costituzione marocchina contenga principi teoricamente condivisibili, ma che la pratica è tutt’altro. Come denunciato da numerosi rapporti di Amnesty International. Ha denunciato infine l’accordo di cooperazione militare stipulato con questo Marocco dagli ex ministri La Russa e Frattini.
Sandro Fucito, del direttivo nazionale dell’Associazione Comuni d’Italia, ha ricordato l’impegno degli enti locali italiani a favore dei diritti del popolo saharawi, e in particolare del comune di Napoli, che ha conferito nel 2008 la cittadinanza onoraria alla più celebre leader dell’intifada pacifica saharawi, Aminettou Haidar.
Nel suo intervento, Triestino Mariniello, docente di diritto penale internazionale all’University of Liverpool, ha evidenziato che sarebbe possibile e auspicabile impugnare gli accordi tra Unione Europea e Marocco, denunciando il mancato rispetto della clausola del rispetto dei diritti dell’uomo. Quanto al processo che sta per iniziare, desta notevoli preoccupazioni il fatto che sia celebrato innanzi un Tribunale militare. Questi tribunali non offrono garanzie di indipendenza, perché il principio di gerarchia prevale sulla libertà e indipendenza dei giudici.
Per ultimo, il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha annunciato che lunedì firmerà i formali atti di incarico per Nicola Quatrano, Anna Grillo e Francesco Romanetti, in qualità di osservatori internazionali per conto del Comune di Napoli nel processo contro i 23 militanti saharawi che sta per cominciare a Salé. Ha ricordato l’impegno di Napoli in favore dei poli oppressi del Mediterraneo e ha reso noto che il comune di Napoli si appresta a conferire la cittadinanza onoraria al presidente palestinese Abu Mazen.
Le conclusioni del sindaco Luigi de Magistris
PROCESSO ALLA PRIMAVERA ARABA
Due magistrati italiani incaricati come osservatori in un processo contro militanti saharawi in Marocco
Il Comune di Napoli, l’Unione delle Camere Penali e la Camera Penale di Napoli hanno conferito a due magistrati italiani, Nicola Quatrano, giudice del Tribunale di Napoli e presidente dell’Osservatorio Internazionale (Ossin), Anna Grillo, sostituto procuratore presso il Tribunale di Lagonegro, e ad un giornalista, Francesco Romanetti, de Il Mattino, l’incarico di osservatori nel processo contro 24 imputati saharawi, detenuti da oltre due anni, accusati di associazione per delinquere e di omicidi plurimi in danno delle forze dell’ordine. Il processo pende innanzi il Tribunale militare di Salé (Rabat) e comincerà finalmente – dopo alcuni rinvii – il prossimo 1° febbraio. Gli imputati rischiano, secondo il codice penale marocchino, la pena di morte.
Il “campo della dignità” di Gdeim Izik
Il processo ha ad oggetto le violenze che sono seguite allo smantellamento, da parte delle Forze Speciali marocchine, del “campo della dignità” di Gdeim Izik, considerato uno dei primi episodi della “Primavera araba”.
A partire dal 9 ottobre 2010, decine di migliaia di cittadini saharawi si sono autoesiliati a qualche chilometro da Layoune, capitale del territorio non autonomo del Sahara Occidentale, per protestare contro le condizioni di emarginazione e sofferenza sociale cui sono sottoposti. In pochi giorni sono state erette nel campo migliaia di jaima (tende) e si è realizzata quella che è stata considerata da Noam Chomsky come una delle prime espressioni del movimento di protesta che avrebbe nei mesi successivi scosso tutto il mondo arabo.
All’alba del giorno 8 novembre, dopo un mese di proteste pacifiche, sono intervenuti esercito e forze speciali marocchine per smantellare il campo. La reazione degli occupanti è stata rabbiosa. Sono seguiti scontri, che hanno interessato anche la città di Laayoune, nel corso dei quali vi sarebbero stati dei morti, oltre a molti feriti.
Il vero bilancio degli scontri è probabilmente impossibile: le cifre ufficiali divulgate dalle Autorità marocchine parlano di decine di morti e centinaia di feriti tra le forze dell’ordine, ma nel concreto è stata resa pubblica l’identità di una sola vittima. Dal canto loro, gli attivisti saharawi hanno denunciato l’uccisione e la scomparsa di decine di loro compagni. Peraltro nei giorni successivi il governo del Marocco ha impedito l’ingresso nei territori agli osservatori e ai giornalisti indipendenti, rifiutando decisamente anche l’apertura di una inchiesta internazionale sui fatti.
Le prime osservazioni sul processo
Alla scorsa udienza, il 24 ottobre 2012, l’Osservatorio Internazionale è stato presente con gli osservatori Nicola Quatrano e Roberta Bussolari (avvocato in Bologna). Erano altresì presenti giuristi osservatori provenienti dalla Spagna, dalla Francia e da altri paesi.
All’esito della prima udienza si osserva:
- si tratta di un processo nel quale gli imputati sono accusati di plurimi omicidi, nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine, dei quali tuttavia nell’ordinanza di rinvio a giudizio non vengono nemmeno menzionati i nomi. L’unica perizia autoptica allegata agli atti è quella effettuata sul cadavere del caporale Aljatib Bint Ihalib
- il compendio accusatorio si fonda esclusivamente sulle confessioni degli imputati, rese in assenza del difensore e in stato di detenzione, all’interno dei locali della Polizia Giudiziaria in cui erano trattenuti in stato di arresto. Va peraltro sottolineato che diversi familiari degli accusati hanno denunciato torture e maltrattamenti nei confronti degli imputati.
- Solleva la massima preoccupazione il fatto che la pena massima prevista per i fatti contestati agli imputati sia la pena di morte.
In questa fase, tuttavia, intendiamo porre particolare attenzione sulle perplessità che scaturiscono dalle estensione della giurisdizione penale militare alle condotte dei civili. Ciò in relazione allo scarso riconoscimento, da parte delle corti militari, di garanzie procedurali fondamentali, così come rilevato anche dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Corte Americana per i Diritti dell’Uomo e la Corte Europea per i Diritti Umani. In particolare, come statuito a livello universale da parte del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU, consentire ai tribunali militari di processare civili solleva seri dubbi in relazione ad un’equa, indipendente e imparziale amministrazione della giustizia.[1] Estendere pertanto la giurisdizione militare ai civili costituisce una violazione del diritto fondamentale di ogni individuo ad essere giudicato da un giudice precostituito per legge, che sia competente, imparziale ed indipendente.[2] Va evidenziato che la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha, in diverse occasioni, ritenuto che un civile portato dinnanzi ad un tribunale penale militare, per presunti crimini commessi contro le forze armate, possa avere il legittimo timore che tale giurisdizione non sia imparziale ed indipendente. Questo vale anche nei casi in cui un tribunale sia composto, anche solo in parte, da giudici membri delle forze armate.
[1] Human Rights Committee, Administration of Justice, General Comment No 13 (UN Doc HRI/GEN/1/REV.1 (1984))
[2] Durand and Ugarte v Peru [2000] IACHR (16 August 2000), para 117.
Napoli, 20 gennaio 2013
Osservatorio Internazionale