Gdeim Izik : i retroscena del processo
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Lakome, 7 febbraio 2013 (trad.ossin)
Gdeim Izik: i retroscena del processo
Christophe Guguen
Il processo contro i 24 imputati saharawi riprenderà venerdì mattina innanzi il Tribunale militare di Rabat. Lakome fa il punto degli aspetti essenziali della vicenda
Rinviato a più riprese dal 2011, il processo contro i 24 saharawi, detenuti per i fatti di Gdeim Izik, è finalmente cominciato il 1° febbraio innanzi il Tribunale militare di Rabat, con una forte presenza poliziesca e mediatica. La prossima udienza è prevista venerdì mattina.
Nonostante che 14 persone in tutto siano morte nel corso dei tragici avvenimenti di Gdeim Izik, tra cui 11 membri delle forze dell’ordine, la strumentalizzazione politica a oltranza degli stessi rende difficile la lettura di questo processo e della posta in gioco. Lakome fa il punto degli aspetti essenziali della vicenda.
Tribunale militare: perché?
La decisione delle autorità marocchine di tradurre i 24 imputati innanzi il Tribunale militare di Rabat ha suscitato inquietudine tra i giuristi e i militanti associativi nazionali ed internazionali, che temono la mancanza di equità e di trasparenza caratteristica di ogni giurisdizione speciale. Quando l’argomento è stato sfruttato dal Polisario, le autorità si sono giustificate ricordando che tale decisione è conforme alla legge marocchina vigente.
Il codice marocchino della giustizia militare, immutato dal 1956, prevede infatti la competenza della giurisdizione militare, soprattutto nel caso di crimini commessi contro membri delle forze armate reali e assimilati (articolo 3).
Le scelta del Tribunale militare viene tuttavia contestata. “Questa giurisdizione speciale è totalmente in contraddizione con la nuova costituzione. E’ un problema sia per gli imputati che per le famiglie delle vittime”, afferma l’avvocato Ahmed Arahmouch, componente di un collettivo di osservatori nazionali. Egli sottolinea infatti che le famiglie delle vittime non possono costituirsi parte civile: “E’ purtroppo vietato. Occorrerà attendere la sentenza definitiva della giurisdizione militare, prima di avviare un eventuale nuovo processo dinanzi ad un tribunale civile”.
D’altra parte, il Comitato dell’ONU contro la tortura, nel suo rapporto 2011-2012 sul Marocco, aveva espressamente chiesto a Rabat di “modificare la sua legislazione in modo che tutti i civili siano sottoposti esclusivamente alle giurisdizioni ordinarie”, in conformità con lo spirito della nuova costituzione votata nel luglio 2011, che stabilisce il primato delle convenzioni internazionali sul diritto interno marocchino.
Le famiglie delle vittime incontrate da Lakome, da parte loro, non colgono l’importanza della differenza tra un tribunale civile ed uno militare. “Tutto quello che chiediamo, è che il processo sia equo e che sia fatta giustizia in modo da consentirci di elaborare il lutto”, spiega Ahmed Tartour, il portavoce del Collettivo delle famiglie e amici delle vittime (COFAV).
Un osservatore del processo confida a Lakome sotto copertura di anonimato che, “nel contesto marocchino e dato il grado di indipendenza della giustizia, poco importa alla fine che il processo si tenga innanzi un tribunale civile o militare, il risultato sarà più o meno lo stesso”.
Chi sono i 24 detenuti?
24 saharawi si trovano oggi sul banco degli imputati. “Si possono dividere in due categorie”, afferma uno dei loro avvocati, maitre Boukhaled. “Alcuni sono attivisti per i diritti dell’uomo. Altri erano componenti del comitato di dialogo che ha negoziato con le autorità marocchine fino alla vigilia dello smantellamento del campo”. La maggior parte sono stati arrestati nei giorni immediatamente seguenti.
Tra questi militanti indipendentisti, si può citare soprattutto Enaama Asfari, avvocato di 43 anni, laureato all’Università di Marrakech e vice presidente di una ONG saharawi (CORELSO). E’ stato arrestato il 7 novembre 2010, vale a dire il giorno prima dello smantellamento del campo.
Di cosa sono accusati?
L’istruttoria è terminata nel novembre 2011. Secondo l’atto di accusa, le imputazioni sono:
- Costituzione di una associazione per delinquere diretta a commettere violenze contro gli uomini della forza pubblica durante il loro servizio
- Concorso nelle violenze contro gli uomini della forze pubblica nell’esercizio delle loro funzioni, fino all’omicidio
- Profanazione di cadavere
Durante la prima udienza del processo, il 1° febbraio, il tribunale militare di Rabat ha respinto la richiesta della difesa di sentire come testimone l’ex ministro dell’interno Taieb Cherkaoui, tre wali dell’interno e la deputata PPS Gajmoula Bent Ebbi, tutti partecipanti ai negoziati con il comitato di dialogo. Questo processo militare si concentra dunque sui 24 accusati e non si estenderà alla ricerca di eventuali responsabilità ufficiali (segnalate dalla commissione di inchiesta parlamentare sui fatti di Gdeim Izik)
Quali sono le prove?
Secondo la missione di osservazione internazionale presente al processo, guidata dal giudice italiano Nicola Quatrano, “la procedura accusatoria si fonda esclusivamente sulle confessioni rese dagli imputati in assenza dei loro avvocati e/o in stato di detenzione nei locali della Polizia Giudiziaria. Inoltre occorre sottolineare che diverse famiglie hanno denunciato situazioni di torture e maltrattamenti nei confronti degli imputati”.
Maitre Boukhaled, uno degli avvocati della difesa, afferma anch’egli che il dossier contiene solo i processi verbali della polizia e del giudice istruttore. “Il Tribunale afferma di avere delle prove convincenti, ma noi non sappiamo quali siano”. Si tratta forse del video di 14 minuti divulgato dalle autorità e che ha scioccato il mondo intero con la violenza delle sue immagini. Soprattutto quella di un uomo che sta urinando su un cadavere. Ma la maggior parte dei giovani filmati sono a volto coperto e difficilmente identificabili. Amnesty International ha chiesto alle autorità di poter visionare il video originale integrale, ma si è vista opporre un rifiuto categorico. Nemmeno l’ONU ha potuto visionarlo, secondo il rapporto 2011 di Ban Ki Moon indirizzato al Consiglio di sicurezza.
Chi sono le vittime?
I fatti di Gdeim Izik hanno provocato 13 vittime in totale, secondo il bilancio ufficiale: 11 membri delle forze dell’ordine (polizia, gendarmeria, forze ausiliarie, protezione civile) e due civili saharawi.
Ecco la lista degli 11 nomi dei membri delle forze dell’ordine, comunicata dall’agenzia di stampa ufficiale MAP nel novembre 2010: Nour Eddine Ouderhm, Med Ali Boualem, Yassine Bougataya, Abdelmoumen Ennchioui, Oulaid Ait Alla, Badr Eddine Torahi, Abdelmajid Adadour, Belhouari Anas, Bentaleb Lakhtil, Mohamed Najih, Ali Zaari.
Le famiglie delle vittime si sono riunite prima dell’apertura del processo per formare un collettivo. Il COFAV. Lakome ha incontrato il portavoce, Ahmed Tartour, accompagnato da altri tre genitori di vittime. “I nostri figli avevano tra i 20 e i 24 anni, erano gendarmi. Il loro compito a Gdeim izik era di coordinare la sicurezza del campo e aiutare gli occupanti”, spiegano. Dichiarano che i loro figli, disarmati al momento dello smantellamento, “sono stati vittime di atti di barbarie da parte di criminali”. Nessuno di essi ha potuto vedere i loro corpi prima della sepoltura e non sanno se sia stata fatta una autopsia. “A cosa serve comunque una autopsia, spiega uno di essi, con la voce ancora stretta per l’emozione, abbiamo visto sul video che cosa è successo. Sono stati assassinati!”
Lakome ha anche incontrato i genitori del giovane Abdelmoumen Ennchioui, membro delle forze ausiliarie, che aveva all’epoca 26 anni. “Stazionava a Settat, è stato mandato a Laayoune solo 4 giorni prima dello smantellamento del campo. Era il più vecchio dei suoi colleghi”, spiega suo padre, anch’egli militare in pensione. “Ci hanno detto che quel giorno è stato investito da una Land Rover; è morto sul colpo”. La sua famiglia non ha potuto vedere il corpo prima della sepoltura. I genitori chiedono solo che i “colpevoli siano puniti dalla giustizia”.
Quali le vittime saharawi?
Brahim Guergar Ould Med Ould Hammadi, pensionato della OCP (la compagnia che estrae fosfati nel Sahara occidentale occupato, ndt), è stato investito da un veicolo della polizia durante le violenze che hanno infiammato Laayoune il giorno dello smantellamento, l’8 novembre 2010. Il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Laayoune ha ordinato all’epoca l’apertura di una inchiesta per determinare le circostanze del decesso, ma i risultati non sono conosciuti.
La seconda vittima civile, Brahim Daoudi, è deceduto in strane circostanze. Sua moglie è stata informata dell’avvenuto decesso “per soffocamento” all’ospedale militare di Laayoune, senza sapere perché si trovasse lì. “Ancora non so come sia morto. Era sano come un pesce, mai stato malato. Non ho ricevuto né un certificato di morte né un rapporto di autopsia. Non mi è stato consentito di vedere il suo corpo, che è stato trasportato direttamente dall’ospedale al cimitero”, ha testimoniato ad Amnesty International.
Si può aggiungere una terza vittima civile. Qualche giorno prima dello smantellamento del campo, il 24 ottobre 2010, un ragazzino saharawi di 14 anni, Nayem el-Gareha, era stato ucciso da colpi d’arma da fuoco della gendarmeria reale. Secondo le autorità marocchine faceva parte di una banda di criminali che tentava di entrare con la forza nel campo. Nel suo rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, Ban Ki Moon parla di un giovane “abbattuto dalle forze marocchine il 24 ottobre all’ingresso del campo, in circostanze non chiarite”: Anche su questa vicenda è stata aperta un’inchiesta, ma gli esiti non sono stati resi pubblici.
Così come le famiglie dei membri delle forze dell’ordine deceduti, anche i familiari delle vittime saharawi si sono riuniti oggi a Rabat, nella sede dell’AMDH. Hanno spiegato a Lakome di non avere contatti con le famiglie dei soldati deceduti. “Non abbiamo problemi con loro, è lo Stato marocchino che consideriamo responsabile. Abbiamo visto la loro sofferenza nel corso dell’udienza, la stessa nostra, ma anche di quella degli imputati”, afferma la sorella di Said Dembar, un giovane saharawi assassinato a Laayoune nel dicembre 2010 da un poliziotto (che è stato condannato in primo grado a 15 anni di prigione). Tutti saranno presenti domani al Tribunale militare di Rabat per sostenere… i 24 accusati.