I sette saharawi arrestati
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I sette "rinnegati" saharawi
di Nicola Quatrano
Missione impossibile
Rabat, 19 febbraio 2010. Vado al Tribunale militare di Rabat per cercare di ottenere l'autorizzazione a visitare i sei militanti saharawi detenuti nel carcere di Salé in attesa che venga fissato il loro processo per tradimento e intelligenza col nemico. Sono sei adesso (Ali Salem Tamek, Brahim Dahane, Ahmad Anasiri, Yahdih Ettarrouzi, Saleh Lebavhi, Rachid Sghavar), dopo che l'unica donna, Idegja Lachgar, é stata scarcerata il 28 gennaio 2010 per motivi di salute.
E' una missione impossibile perché so già che non sarò autorizzato; per quanto negli ultimi tempi, dopo la disastrosa esperienza della fallita espulsione di Aminatou Haidar, le autorità marocchine abbiano molto allentato la pressione sui militanti saharawi, non penso proprio che arriveranno al punto di autorizzare un contatto tra i detenuti ed un osservatore straniero. Già mi è sembrato un miracolo che mi abbiano consentito di rendere visita a Brahim Sabbar nella sua casa di Guelmim, visto che fino a un mese fa avevano preso l'abitudine di irrompere nelle case dei militanti saharawi e allontanare gli ospiti stranieri.
Varco la soglia del Tribunale militare di Rabat intorno alle 10,30. Il piantone mi accompagna al cospetto di un ufficiale, mi dice essere il giudice incaricato della sicurezza dell'edificio- Gli presento la mia richiesta, mi risponde subito che non ho il diritto di visitare i detenuti dal momento che non sono né il loro avvocato né un familiare- La butta giù lunga sul fatto che loro rispettano la legge, non fanno politica e che se ne avessi avuto diritto non ci sarebbero stati problemi, ma così... dura lex sed lex.
Tento di rispondergli che tra il diritto e il divieto c'é un largo margine, che se la legge non mi attribuisce il diritto di colloquio, nemmeno me lo vieta, che sono un osservatore internazionale e in qualche modo rappresento i molti italiani preoccupati per la sorte dei sette militanti saharawi accusati di crimini gravissimi, dunque per favore mi faccia parlare col Giudice istruttore incaricato del processo, che se pure non ha l'obbligo, non ha nemmeno il divieto di autorizzarmi.
Mi risponde che non sa dirmi chi sia il giudice istruttore perché i nomi dei detenuti che gli ho fatto non gli dicono niente, non sa chi siano. Questa mi pare un po' grossa e glielo faccio notare. Si tratta senz'altro del dossier più delicato che il Tribunale ha al momento in carico, difficile che non conosca i nomi degli accusati. Lui abbozza e cambia tattica: il giudice istruttore al momento non è in ufficio. Quando verrà? "Lavora a casa - mi risponde - viene solo per le udienze". Bugia flagrante, perché solo qualche minuto prima il giudice istruttore ha rilasciato, nel suo ufficio, un permesso di colloquio coi detenuti a Elghalia Djimi, un'altra che non è né avvocato né familiare, ma vicepresidente dell'ASVDH.
Pretendo comunque una risposta scritta, mi chiede la mia mail e promette un messaggio. E' inutile dire che non è mai arrivato.
Un dossier politico
Lo stesso pomeriggio incontro a Casablanca, nel suo studio di Boulevard de la Résistence, l'avvocato Noureddine Dalil. E' uno degli avvocati dei sette, originario saharawi, ma da tempo immemorabile residente a Casablanca-
Parla poco e male il francese, ma riesco a comprendere quale è lo stato della procedura: il dossier è vuoto, quasi tutti i giorni l'avvocato Dalil si reca dal giudice istruttore (in ufficio, non a casa sua!) per domandare che gli siano comunicate le prove a carico, ma non ottiene mai risposta.
I capi di imputazione sono stati precisati. Si tratta dei delitti previsti:
dall'art. 190, del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza esterna dello Stato ogni Marocchino o straniero che ha, con qualsiasi mezzo, intrapreso una offesa alla integrità del territorio marocchino. Quando essa è commessa in tempo di guerra, il colpevole è punito con la mo”.rte. Quando è commessa in tempo di pace, il colpevole è punito con la reclusione da cinque a venti anni.
dall'art. 191 del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza esterna dello Stato, chiunque intrattenga intelligenze con agenti di una autorità straniera aventi come oggetto o come effetto di nuocere alla situazione militare o diplomatica del Marocco. Quando essa è commessa in tempo di guerra, la pena è della reclusione da cinque a trenta anni. Quando è commessa in tempo di pace, la pena è della prigione da uno a cinque anni e di una ammenda da 1000 a 10.000 dhiram.”
dall'art. 206 del codice penale: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza interna dello Stato e punito con la prigione da uno a cinque anni e di una ammenda da 1000 a 10.000 dhiram chiunque, direttamente o indirettamente, riceva da una persona o da una organizzazione straniera e sotto qualsiasi forma dei doni, dei presenti, prestiti o altri vantaggi destinati o impiegati in tutto o in parte a condurre o remunerare in Marocco una attività o una propaganda di natura tale da recare offesa alla integrità, alla sovranità o all’indipendenza del Regno o a minare la fedeltà che i cittadini devono allo Stato e alle Istituzioni del popolo marocchino”.
dall'art. 207 del codice penale: “Nei casi previsti dall’articolo precedente, deve essere obbligatoriamente disposta la confisca dei fondi o degli oggetti ricevuti. Il colpevole può inoltre essere interdetto, in tutto o in parte, dall’esercizio dei diritti previsti all’art. 40 (diritti civici, civili e familiari)”.
Mi sento sollevato sentendo che l’accusa non ha contestato lo stato di guerra (che comporta la condanna a morte), ma quello che l'avvocato aggiunge subito dopo mi deprime. Dice di ritenere che il processo non sarà mai celebrato e che i prigionieri saranno discretamente scarcerati, magari per motivi di salute. Dice che si tratta di una vicenda politica, evidentemente creata ad arte in vista del round di negoziato appena concluso a New York con il Fronte Polisario. E' come dire che si è aperto un dossier di trattativa per evitare di affrontarne altri.
La cosa mi deprime perché questo è un paese dove si gioca a cuor leggero con la vita delle persone.-
Incontro con Idegja Lachgar
Salé, 20 febbraio 2010. In un affollato appartamento di Salé, una cittadina vicinissima a Rabat, incontro Idegja Lachgar, la militante scarcerata il 28 gennaio scorso per motivi di salute. E' con Elghalia Djimi, che l'ha accompagnata a Rabat per delle visite mediche. E' provata dalla detenzione e preoccupata: le propongo di rilasciarmi una dichiarazione da filmare, lei preferisce evitare. E' in libertà provvisoria, non vuole fare passi falsi. Mi promette che la prossima volta che ci incontreremo a Laayoune mi dirà tutto... quando la situazione si sarà un poco chiarita.
Ci sono anche alcuni familiari dei detenuti, venuti a rendere loro visita: Mina Tarouzi, sorella di Jhdif Tarouzi, Abdallah Dahane, fratello di Brahim Dahane, Khalifa Rguibi, moglie di Tamek Ali Salem-
Parlo con quest'ultima. Anche lei preferisce che non filmi il colloquio, ma volentieri risponde alle mie domande.
Dice che, dopo la vicenda di Aminatou Haidar, il trattamento dei detenuti è molto migliorato, perché evidentemente le autorità sono preoccupate delle reazioni internazionali. All'inizio della detenzione poteva parlare con suo marito solo una volta alla settimana, attraverso una grata e alla presenza di due guardiani. Attualmente lo incontra tre volte la settimana, senza grata e alla presenza di un solo guardiano. Ma c'è voluto uno sciopero della fame di due giorni dei detenuti perché si ottenesse questo.
I detenuti hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni, il 4 e 5 febbraio, accompagnato da una lista di rivendicazioni:
1) di essere collocati tutti e sei in una sola cella, invece di essere divisi due a due in tre celle separate;
2) di beneficiare di un passeggio all'aria aperta, invece di quello nel corridoio chiuso dove affacciano le celle;
3) diritto di visita con tutti i familiari ogni giorno;
4) di essere autorizzati alle comunicazioni telefoniche con familiari e avvocati;
5) di ricevere cure mediche e medicine (per esempio Tamek è asmatico e ha bisogno di assistenza e medicinali);
6) di ricevere i cibi crudi da poter cucinare in cella, dal momento che quelli preparati dalla prigione sono immangiabili;
7) di poter leggere i giornali;
8) di ricevere la corrispondenza-
Con lo sciopero hanno ottenuto:
- il diritto di visita dai familiari tutti i giorni. Le visite si svolgono in forma comunitaria con tutti e sei i detenuti e i loro familiari;
- di essere raggruppati insieme in una grande cella. Attualmente non è riscaldata e non ha acqua calda, ma hanno loro assicurato che provvederanno anche a questo;
- possono ricevere i giornali che i familiari portano loro;
- diritto di passeggio all'aria aperta dalle 8 alle 12;
- attualmente vi sono due infermieri che fanno le visite, ma le medicine devono continuare a portarle i familiari;
- non hanno ancora ricevuto la numerosa corrispondenza giunta loro da tutto il mondo per testimoniare solidarietà e appoggio.
I primi giorni i controlli sui familiari erano assai pressanti, per esempio venivano fatti spogliare. Attualmente vengono solo perquisiti.
Il morale dei detenuti è buono, anche loro ritengono che il processo non si celebrerà mai.
Non sono state loro contestate le prove a carico, sanno solo che si tratta del viaggio che hanno pubblicamente fatto nei campi di Tindouf.
A proposito del "nemico" col quale avrebbero avuto "intelligenza", Brahim Dahane ha chiesto al giudice istruttore di precisarne l’identità, aggiungendo che, se intendono il Fronte Polisario, si tratta dei suoi fratelli e allora anche lui è un “nemico” del Marocco. Se si tratta dell'Algeria, è un paese confinante col quale il Marocco intrattiene rapporti diplomatici.
Il G.I. non ha fornito risposte. Quanto ai soldi usati per il viaggio, i detenuti hanno precisato che si tratta di soldi loro, che non hanno ricevuto da alcun paese straniero.