Liberati altri tre

Il 18 maggio 2010, il giudice istruttore del Tribunale militare di Rabat ha accolto la richiesta di libertà provvisoria dei difensori di Saleh Lebaibi, Rachi Sghaer e Ihdih Tarouzi. Ha invece respinto, con la motivazione che le indagini non sono ancora concluse, quella presentata in favore di Brahim Dahane, presidente dell'ASVDH, Ali Salem Tamek vice presidente del CODESA, e Nassiri  Ahmed membro dell'ASVDH e segretario generale del comitato di difesa dei diritti umani a Smara.
Nel carcere militare di Salé rimangono dunque solo tre prigionieri, e si spera non per molto ancora.
L’Osservatorio Internazionale si è molto impegnato in questa vicenda, che, agli esordi, sembrava tragica, prima di trasformarsi in farsa, una farsa marocchina.
Ricordiamo i fatti:  il giorno 8 ottobre 2009, all’aeroporto di Casablanca, dove erano appena atterrati, di ritorno da una visita ai campi dei rifugiati di Tindouf, sono stati arrestati 7 militanti saharawi: Ali Salem Tamek, Brahim Dahane, Ahmad Anasiri, Dagia Lachgar, Yahdih Ettarrouzi, Saleh Lebavhi, Rachid Sghavar. Alle 13,37 Dahane aveva telefonato ai suoi compagni per informarli che erano appena atterrati e c’erano delle vetture della polizia sulla pista. Da allora nessuna notizia, fino all’annuncio stampa della MAP (l’agenzia di stampa ufficiale marocchina). I sette sono riapparsi solo il successivo 15 ottobre davanti al giudice istruttore della Corte di Appello di Casablanca, che però si è dichiarato incompetente ed ha trasmesso gli atti al Tribunale militare. Nel pomeriggio dello stesso giorno i detenuti sono stati presentati al giudice istruttore del Tribunale militare di Rabat, che li ha interrogati fino all’1 del mattino seguente. Successivamente sono stati riaccompagnati al carcere di Salé. Brahim Dahane è riuscito a far sapere che, a partire dal momento dell’arresto, erano stati trattenuti otto giorni nei locali della polizia giudiziaria, i primi tre con gli occhi sempre bendati, e che sono stati interrogati da esponenti di diversi servizi di sicurezza.
Infine si è appreso che i sette militanti saharawi erano stati incriminati dei delitti previsti dagli artt. 190 e 191 del codice penale marocchino, di “attentato all’integrità del territorio marocchino” e di “attentato alla sicurezza esterna dello Stato”. Si tratta di delitti che, nel caso si ritenesse che il Marocco è ancora in guerra col Polisario, sono puniti con la morte.
Si pensava che il processo sarebbe stato immediato e si temeva che le pene avrebbero potuto essere esemplari… poi, dopo la figuraccia sul piano internazionale fatta nel caso di Aminatou Haidar, il governo marocchino deve aver deciso che era meglio risolvere la situazione in altro modo. Il processo non è stato fissato e, probabilmente, non lo sarà mai, il 28 gennaio veniva scarcerata l’unica donna del gruppo, Dagia Lachgar, per motivi di salute. Il 21 e 22 febbraio 11 militanti saharawi si sono recati nei campi di Tindouf ed hanno fatto esattamente le stesse cose che avevano fatti i sette. Al loro rientro non sono stati arrestati. E altrettanto è accaduto agli altri due gruppi che hanno replicato l’impresa nei mesi successivi.
E’ seguito lo sciopero della fame dei detenuti durato 41 giorni e, adesso, la scarcerazione dei tre prigionieri.
Le cose si stanno mettendo bene per fortuna, restano l’amarezza e la rabbia per una iniziativa sconsiderata del governo marocchino e per tutto il dolore che essa ha procurato a tanta gente.


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