Destabilizzazione ambientale
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Esaurimento delle terre. La questione del cambiamento climatico e quello dell’accesso alle risorse naturali sono intrinsecamente legati alla maggior parte dei conflitti che si lamentano in Africa. La questione del Darfur non vi si sottrae.
Destabilizzazione ambientale
di Christine Abdelkrim-Delanne
La desertificazione ed i cambiamenti climatici sono allo stesso tempo la causa e la conseguenza del conflitto in Sudan. Secondo il rapporto di Programma dell’ONU per la protezione dell’ambiente (Unep), il limite tra la zona desertica e quella semidesertica in Sudan si è spostato da 50 a 200 chilometri dal 1930 e avanza sempre più rapidamente per la diminuzione delle precipitazioni. Nel Nord Darfur sono diminuite di un terzo nel corso degli ultimi ottanta anni. Si legge nel rapporto dell’Unep: “Si prevede attualmente un importante riduzione della produzione alimentare nel paese di circa il 20% ed una riduzione fino al 70% del rendimento delle colture nelle regioni più vulnerabili”, tra cui il Darfur. Il Sudan soffre da qualche decina di anni di lunghi periodi di siccità alternati ad inondazioni devastatrici provocate dalle piene del Nilo Blu. In Darfur, regione peraltro ricca di petrolio, rame ed uranio – ancora non sfruttato – l’impoverimento dei suoli provocato dai fenomeni climatici è aggravato dalla crescente pressione demografica e dal sovrappiù di bestiame.
Deforestazione totale
Nell’ovest del Darfur, soprattutto l’arrivo di una nuova popolazione di pastori nomadi, venuti dal nord spinti dalla siccità, ha sconvolto il fragile equilibrio tra pastori ed agricoltori. Ha distrutto la lunga tradizione di coesistenza garantito dal diritto consuetudinario che disciplina le relazioni nella popolazione e l’utilizzazione dei pascoli da parte degli uni e degli altri. L’incapacità del governo centrale a sostituire le tradizionali istituzioni ha provocato un’esplosione di violenza intorno agli obiettivi vitali che sono le terre fertili, l’acqua e il bestiame. Le scaramucce si sono rapidamente militarizzate, trasformandosi nello stesso tempo in un conflitto intertribale e di clan.
Anche la deforestazione contribuisce al degrado della situazione, tanto ambientale che umana. Tra il 1972 e il 2001, due terzi della foresta sudanese sono spariti al Nord, al centro ed all’est del paese. Un terzo della foresta del Darfur è stata distrutta nello stesso periodo. Una tendenza che, secondo l’Unep, si accelera per la presenza di rifugiati, per i quali una delle rare fonti di reddito è la produzione di mattoni, che comporta l’utilizzazione del legno come fonte di energia.
L’interazione tra guerra e ambiente si fa sentire anche nelle zone urbane del Darfur. I 2,4 milioni di persone sfollate in questa regione, a causa della siccità o della guerra, vivono infatti parte nelle periferie delle città, alcune delle quali hanno visto aumentare la loro popolazione del 200% in questi tre ultimi anni. L’incapacità del governo centrale a gestire, in generale, il problema del trattamento dell’acqua e dei rifiuti nelle città del Sudan è ancora più lampante in Darfur, comportando un forte aumento di malattie di origine idrica, che rappresentano l’80% delle patologie dichiarate in Sudan.
Per l’Unep, se l’accordo di pace del 2005 e la decisione di inviare una forza di pace Unione Africana-Onu in Darfur “offrono una reale possibilità di costruire un avvenire diverso per il popolo sudanese”, ciò non potrà essere possibile che a condizione che vi sia una diversa gestione dell’ambiente. “La tragedia del Sudan non è solo la tragedia di un paese dell’Africa, è una finestra aperta su resto del mondo che lascia intravedere come problemi quali l’impoverimento incontrollato delle risorse naturali, come le terre e le foreste, coniugato a fenomeni come i mutamenti climatici, possono destabilizzare le comunità, addirittura le intere nazioni”, ha osservato Achim Steiner, segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite e direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente.
120 milioni di dollari
“Vi è il forte rischio di una ripresa dei conflitti in altre regioni del Sudan, ravvivati in parte dal declino dei servizi ambientali”. E’ il caso – sottolinea il rapporto dell’Unep – di certe zone della frontiera nord-sud. Nella regione dei monti Nouba, nel sud-Kordofan soprattutto, dove la tribù dei Nouba ha espresso inquietudine per l’arrivo della tribù dei Shanabla, allevatori di cammelli, spinti verso il sud dalla siccità e alla ricerca di nuovi pascoli, il cui bestiame distrugge gli alberi. I Nouba hanno minacciato di “riprendere la guerra” se non si pone fine a questa situazione.
La valutazione post-conflitto domandata all’Unep dal nuovo governo e dal governo del Sud Sudan contiene un certo numero di raccomandazioni. Alcune sono urgenti, come l’investimento nella gestione ambientale, il rafforzamento delle capacità dei governi nazionali e locali nel settore dell’ambiente e dell’integrazione dei fattori ambientali in tutti i progetti di aiuto e sviluppo delle Nazioni Unite. Il costo totale della realizzazione di queste raccomandazioni è stimato intorno a 120 milioni di dollari, per la durata di 5 anni. “Questa cifra – constata l’Unep – non è esorbitante se la si paragona al PIB del Sudan, che ha raggiunto gli 85,5 milioni di dollari nel 2005”. Le autorità sudanesi si assumeranno le loro responsabilità?
Il Nilo sparito
Un tempo c’era un terzo affluente che raggiungeva, da sud-ovest, il grande Nilo. Confluiva nel Nilo Blu, che scende ripido da sud-est, e nel Nilo Bianco, che risale dal sud. Scendendo dal massiccio di Jabal Marra (3000 m), a sud ovest di Al Facher, capitale del Darfur, traversava il Sahara, in direzione sud-ovest/nord-est, passando per il Nord-Kordofan, e sfociava sotto l’enorme ansa del Nilo, a Debba, a sud della città di Old Dongola. Questo grande affluente ha corso fino all’inizio dell’epoca storica. Il suo corso si sarebbe interrotto da 3000 a 5000 anni fa. Questo significa che i primi faraoni sarebbero stati collegati, per via fluviale col centro dell’Africa, attraverso il Darfur. La riduzione della sua portata, causata dalla riduzione delle piogge, lo ha fatto sprofondare nelle sabbie. Tuttavia il suo letto resta visibile, così come le vestigia delle foreste che lo fiancheggiavano, mentre i pozzi alimentati dalla sua enorme falda acquifera sono sfruttati dai nomadi.
Oggi, col nome di Wadi al Milk oppure Wadi al Malek, questo corso d’acqua inonda il deserto durante la stagione delle piogge. Il suo arrivo, spettacolare e pericoloso, si annuncia da lontano con una specie di rombo di tuono. Questa muraglia traboccante di acqua e di terra fertilizza per qualche giorno il suo antico letto. Enormi quantitativi d’acqua si perdono nella sabbia ed alimentano così il lago di Umm Badr (20 km quadrati), nel Nord-Kordofan.
Lo sfruttamento del Wadi al Milk con tecniche moderne – diminuire le perdite per infiltrazione, regolare la sua portata con delle dighe, piantare alberi per riparare dal sole e dal vento, etc. – permetterebbe di fertilizzare di nuovo le zone desertificate che attraversa.
Un altro corso d’acqua, sparito nella stessa epoca e per le medesime ragioni, è il Wadi Howar o Hawar. Nato dal massiccio di Kapka in Tchad, passava per la sottoprefettura di Wadi Hawar, nel sud-est di Borkou-Enedi-Tibesti e confluiva nel Nilo all’altezza di Kerma (a nord di Dongola). Chiamato il “Nilo giallo” dagli archeologi, che ritengono che ne fosse il maggior affluente, scorreva da ovest a est, al centro del Darfur. Lo sfruttamento delle sue falde è uno dei motivi degli attuali scontri intertribali.
Questi due ex affluenti del Nilo potrebbero di nuovo confluirvi se se ne accrescesse la portata? Mancano studi rigorosi di pianificazione. Tuttavia, secondo alcune ipotesi, i mutamenti climatici potrebbero aumentare la piovosità sul Jabal Marra e sul massiccio di Kapka, ridando vita a questi corsi d’acqua. In tutti i casi, sia che la cosa dipenda da interventi umani o da fenomeni climatici naturali, l’eventuale resurrezione di questi due corsi d’acqua sconvolgerebbe la carta economica e umana del Sudan. Scioglierebbe il nodo scorsoio del bisogno d’acqua, che soffoca lentamente l’Egitto. La crisi del Darfur, come quella del Sud-Sudan ha delle poste nascoste ma decisive. La guerra per l’acqua prosegue.