Les debats,  7 maggio 2013 (trad. ossin)



“Quelli che reprimono le libertà”
Ahmed Halfaoui


I twitteristi, i facebokisti, blogger e altri internauti dei paesi a “regime dittatoriale” sarebbero stupiti di sapere che cosa è capitato a un giovane liceale del Massachusetts, negli Stati Uniti. Cameron D’Ambrosion, di appena 18 anni, rischia una pena di 20 anni di prigione. La cauzione è stata fissata in 1 milione di dollari. Il capo di imputazione: ha riprodotto su facebook le parole di un rapper, “minacce terroristiche”, secondo la lettura che ne è stata fatta. Le parole in questione: “Fuck politics, Fuck Obama and Fuck the government”. Insulti che esprimono malcontento, niente di più.


Parole per nulla simili alla prosa prolifica e colorita che inonda le reti di Arabi e assimilati, dei Cinesi, dei Russi, degli Iraniani… Ma, negli Stati Uniti, anche solo questo è un crimine. Allora ricordiamoci quel martedì 15 febbraio 2011, quando la signora Clinton, allora capo del Dipartimento di Stato, ha dichiarato che “coloro che reprimono la libertà su internet riescono magari a impedire l’espressione piena e intera delle aspirazioni del loro popolo per un momento, ma non per sempre”. Ha aggiunto, senza battere ciglio dinanzi alla sua menzogna, che “gli Stati Uniti appoggiano questa libertà dovunque e in tutto il mondo, e abbiamo chiesto agli altri paesi di fare altrettanto”.


In difesa delle libertà in internet, ha anche annunciato che i suoi Servizi avrebbero aperto dei profili twitter in cinese, russo e hindi. Profili in persiano e arabo erano già operativi. L’obiettivo: comunicare direttamente con gli abitanti del Medio oriente. Nel corso dello stesso discorso, la signora Clinton ha dichiarato di militare per “le libertà di espressione, riunione e associazione in linea”. Nel novembre 2008 la signora Clinton ha assegnato 5 milioni di dollari a “dei programmi pilota in Medio oriente e in Africa del nord che consentano di potenziare i nuovi media e la capacità di messa in rete da parte delle organizzazioni della società civile”.

L’obiettivo era di aiutare le organizzazioni “indipendenti” nel mondo a “utilizzare la tecnologia numerica”.

La cosa deve avere rassicurato Cameron D’Ambrosion, che però non fa parte dei destinatari dell’aiuto, perché esso era destinato ad altri giovani e non a quelli statunitensi. Il giovane deve essersi convinto che ciò che è valido per il resto del mondo era valido anche per lui. Così come aveva detto la signora Clinton, egli, evidentemente disgustato dal regime che governa il suo paese, ha pensato bene di dirlo.


Un gesto ordinario, se solo si pensi ai milioni di “post” presenti nel web. Niente che potesse essere oggetto nemmeno di una reprimenda. Errore fatale. Cameron ignorava quale livello di cinismo può raggiungere il governo degli Stati Uniti e la sua particolare concezione delle libertà pubbliche. Egli ignorava di vivere in uno Stato di emergenza, regolato dallo “USA Patriot Act” e dal paragrafo 802 che tratta del “Domestic terrorism”, che autorizza i servizi di informazione e le forze dell’ordine ad assimilare la minima intemperanza politica a un atto di terrorismo. E’ quello che è successo. Ma se il caso di Cameron è potuto filtrare attraverso qualche sito, quanti altri sono sconosciuti al grande pubblico? Non lo si saprà per nulla nel paese delle libertà e dei diritti dell’uomo.


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