Furbo il proletariato statunitense - come «strumentalizzare» una politica capitalista
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Les 7 du Quebec, 23 novembre 2016 (trad. ossin)
Furbo il proletariato statunitense - come «strumentalizzare» una politica capitalista
Robert Bibeau
Dalla sua creazione, nel 1776, la Repubblica degli Stati Uniti è stata in guerra 220 anni su 240 di esistenza. Ogni presidente yankee ha promesso la pace e ha fatto la guerra. Trump ha promesso pace e prosperità, farà la guerra e dispenserà povertà, né più né meno di quanto avrebbe fatto la pretendente Clinton
In un articolo precedente, abbiamo minuziosamente analizzato tutti gli aspetti del processo elettorale assolutista statunitense, un modello del genere (1). Intellettuali piccolo borghesi, esperti, analisti universitari, politici del «pensiero unico» preformattatore, della sinistra a gogò come della destra, sfrontati dopo le loro previsioni grottesche e le calunnie assurde contro il proletariato statunitense, riprendono penna e microfono e ci ammorbano con le loro scempiaggini: «Stupore generale», la seconda «Rivoluzione» americana… il Presidente «anti-establishment» e altre baggianate della stessa risma. Come se un multimiliardario uscito dal serraglio potesse rivoltarsi contro la tribù che lo coopta e gli tiene bordone! Il tessuto finanziario che forgia la classe dei miliardari mondiali ha la trama stretta e non consente nessuna defezione. Se si renderà necessario assassinare un Presidente, lo rifaranno. L’origine del terrore di questi ignari piccoli borghesi dei media a libro paga sta nel fatto che si sono resi conto che, nonostante le loro ingiunzioni, gli elettori statunitensi non hanno ottemperato alle loro perentorie «raccomandazioni». La «disobbedienza elettorale» di una parte dell’elettorato è stata l’unica sorpresa di questa mascherata elettorale decadente, come la società e il modo di produzione capitalista statunitense. E’ questa bella storia che vogliamo raccontarvi.
La STRATEGIA di classe
La conscienza sociale collettiva è qualcosa di più della somma delle coscienze individuali. Per quanto la coscienza sociale di una classe emerga dall’insieme delle coscienze maturate con l’esperienza individuale, il totale è superiore alla somma dei fattori. Dimostreremo ciò in questa analisi delle recenti elezioni presidenziali statunitensi che hanno monopolizzato l’attenzione mediatica, mentre le guerre fomentate dalla classe capitalista statunitense imperversano ai quattro angoli del globo nell’indifferenza mediatica più completa.
E’ attraverso una serie di attività tattiche, lotte quotidiane sul fronte economico, politico, sociale e ideologico (in ordine di importanza), che una classe accumula esperienza e formazione, che sintetizza e concentra poi a livello strategico, mettendo così insieme un patrimonio e una coscienza collettiva di classe. Noi possiamo dire che è a livello strategico – al livello degli orientamenti e delle decisioni a lungo termine – che si manifesta massimamente la coscienza sociale di una classe, ma che è al livello tattico che si manifesta la sua coesione e la sua determinazione nella lotta. Questo è vero per le due classe sociali antagoniste, la classe capitalista e la classe proletaria, compresa la sua avanguardia operaia. Sono queste due classi ad elaborare e difendere coscientamente, e spesso incoscientemente, un orientamento strategico coerente coi loro propri interessi. Perché solo queste due classi sociali controllano un elemento essenziale del modo di produzione (capitale e lavoto) e possono così portare avanti una politica di classe indipendente, cosa che non vale per la piccola borghesia, né per i residui contadini e aristocratici.
La missione strategica della classe proletaria è di porre fine alle tribolazioni e ai sussulti caotici del modo di produzione capitalista moribondo e alle sue sofferenze di classe, per emanciparsi e sulle ceneri del capoitalismo decadente costruire il modo di produzione comunista. Per realizzare questa missione storica, la classe operaia conduce una guerra tattica attraverso manifestazioni quotidiane di resistenza, scioperi giornalieri, il modo tipico della lotta operaia, e talvolta con brevi incursioni sul terreno elettorale borghese, ma che hanno vita breve, contrariamente a quello che pontificano i partiti della sinistra a gogò democratica assolutista borghese. Le guerre nazionaliste per la sedicente «liberazione nazionale borghese», le lotte femministe di genere, le battaglie elettorali, le geremiadi e le petizioni per ottenere delle riforme fiscali, bancarie o borsistiche e per reclamare diritti democratici o la pace impossibile non fanno abitualmente parte della strumentazione di lotta della classe operaia. Sono battaglie riformiste, patrimonio dei sindacati borghesi, delle ONG stipendiate e dei partiti della sinistra borghese degenerata. E’ la lotta continua per raggiungere l’obiettivo strategico che qualifica la pertinenza delle attività tattiche della classe, mai l’inverso.
La piccola borghesia parassitaria
Tra le due classi sociali antagoniste spuntano, grazie alla fase imperialista di espansione del capitalismo, parecchi segmenti di piccola borghesia, che qualcuno chiama «aristocrazia operaia», piccola borghesia clericale e cittadina (sic), classe media (sic). Da un opunto di vista economico, questa sottoclasse sociale è parassitaria, nel senso che non produce plusvalore e vive grazie al plusvalore prodotto dalla classe proletaria, espropriata dalla classe capitalista, che redistribuisce questa manna lasciando intendere al piccolo borghese che il suo cibo gli viene dal suo padrone miliardario e dallo Stato di apparato. Accelerandosi la crisi economica sistemica del capitalismo, questa sotto classe sociale subisce una fase di pauperizzazione accelerata e di proletarizzazione, perché la classe capitalista non riesce più a mantenere i suoi tassi di profitto e a valorizzare l’insieme del suo capitale - che resta fermo (non reinvestito, improduttivo, a maggese bancario). La piccola borghesia è oggi una classe sacrificata, per questo la sentite gemere e lamentarsi, gridando la sua amarezza contro la sua sfortuna. Si vedrà in seguito il ruolo giocato dalle diverse frange di questa piccola borghesia parassitaria che contamina il movimento proletario. Essa è assai esuberante, al punto di monopolizzare l’attenzione mediatica, e la cosa fa il gioco dei possidenti. In ogni caso, come dicono certi intelletuali superbi: «l’operaio non si sa esprimere» (sic).
Lungo tutta la fase ascendente dell’imperialismo moderno e in tutti i paesi, ivi compresi gli Stati Uniti – l’utero dei paesi capitalisti – la piccola borghesia ha invaso tutte le sfere dell’attività sociale, anche quelle politiche e ideologiche, monopolizzando la parola nei media a libro paga e nei partiti politici borghesi, sia della sinistra a gogò che della destra. Questa sottoclasse di sotto pifferai ne ha fatto il suo campo di intervento privilegiato. Sono loro che vediamo agitarsi alla televisione dopo l’elezione di Donald il «patetico», loro che avrebbero preferito l’elezione della criminale di guerra Hillary Clinton. Sul piano ideologico e politico, la piccola borghesia si divide in varie correnti e partiti che attraversano e strutturano il tessuto sociale capitalista. Ognuno offre la sua paccottiglia ideologica sotto la guida di un guru settario. Passando dalla sinistra, anarchica, maoista, trostskista, marxista-leninista, comunista, socialista, laburista, ecologista, no-global, alla destra democratica, repubblicana, liberale, libertaria, conservatrice, lepenista e «populista» – la nuova espressione che rimpiazza quella di «fascista» in voga nel secolo scorso e oggi fuori gioco –. Vederemo che stavolta, con l’aiuto dell’esperienza tattica del 1930-1945, la classe operaia statunitense non si lascia prendere al gioco dele generalizzazione, con dispetto dei gauchisti nostalgici della Grande Guerra patriottica.
La miseria della piccola borghesia parassitaria
Se, negli anni dell’imperialismo moderno trionfante, il capitale poteva permettersi di sacrificare una parte del plusvalore estorto agli operai per alimentare questa pletora di funzionari, di sotto pifferai, di cinghie di trasmissione, di complici mediatici, di esperti e di ONG di ogni tipo, da qualche anno non è più così, ed ecco che la crisi si abbatte in pieno sulla schiena di milioni di piccoli borghesi impoveriti, disperati, gettati in strada, come si è visto in Argentina, negli Stati Uniti del 2008, in Egitto, a Cipro e in Grecia, ecc. e non siamo che all’inizio. Per un certo tempo, il capitale ha affidato allo Stato la cura della piccola borghesia per assicurare la riproduzione allargata della classe proletaria, sua funzione principale, e per anni si sono visti gonfiarsi gli effettivi della macchina dello Stato parassita, fenomeno che gli stessi capitalisti oggi pongono all’indice della vendetta populista. Da questa dicotomia paradossale, nascono le organizzazioni piccolo borghesi «populiste», guidate o finanziate da grandi capitalisti, e impegnate a rimpiazzare le organizzazioni politiche «estremiste» di sinistra. Nel pieno della crisi economica che impazza e si ripercuote nelle sfere politiche, ideologiche, sociali, militari e diplomatiche, il capitale esige che lo Stato metta in riga il proletariato e gli faccia accettare una serie di sacrifici di austerità.
Che ogni partito e ogni organizzazione si schieri sulla linea di partenza elettorale e dimostri al capitale la sua capacità di far sputare soldi al proletariato di sua competenza (Stato, nazione, paese, provincia, regione, associazione di Stati, «indipendenti», «autonomi» «sovrani» da quattro soldi o altro). Ogni organizzazione è libera di presentare gli argomenti demagogici più oltranzisti – di sinistra come di destra, poco importa – l’unica cosa che conta è il risultato. Il premio? Il controllo dell’apparato dello Stato da amministrare a beneficio della classe egemone, le cui briciole saranno distribuite tra i mollaccioni «ben pensanti» (sic). Sta qui il pensiero unico, e non dove Sarkozy pensava di averlo stanato. Cosa farà la classe proletaria in un contesto così disperato? E’ quello che andremo a vedere attraverso l’analisi delle elezioni presidenziali statunitensi, un modello del loro genere.
L’impotenza militante della piccola borghesia decadente
La piccola borghesia è perfettamente cosciente della sua impotenza tattica. La forza politica del piccolo borghese che opera nel suo ufficio o nella sua microimpresa individuale è, al pari della sua forza economica, quasi inesistente. Ciò in quanto le uniche armi del piccolo borghese sono scarsamente efficaci: le manifestazioni, i cortei del gay pride, le preghiere per la pace, i forum in cui si ripetono formule magiche, i sit-in e infine il terrorismo disperato. Lo stesso vale per i funzionari, i dipendenti della Sanità, gli insegnanti, i lavoratori delle radio e dei media al soldo dei padroni, nonché dei servizi pubblici, dei quali il capitale potrebbe tranquillamente sopportare gli scioperi a oltranza e il dissenso – cosa che peraltro essi al momento non fanno nella maggior parte dei casi, ma aspettate che la situazione economica peggiori e i deficit pubblici crescano a dismisura. Incidentalmente, se c’è un punto del suo programma che Donald Trump rispetterà certamente sarà quello di lanciare un vasto programma di costruzione di infrastrutture e di moltiplicare il deficit pubblico, accrescendo il debito sovrano, provocando la caduta del dollaro e affrettando il crollo dell’impero d’Occidente, ecco il vero motivo dell’inquietudine dell’Occidente e della NATO. A questo punto il proletariato si metterà in moto, perché allora non avrà altra scelta. Al momento, assistiamo solo a scaramucce necessarie, che servono a misurare il polso dell’avversario di classe. Il piccolo borghese che crede di essere avanguardia non capisce niente di tutto questo e pensa che la sua missione sia di «educare» il proletariato al pensiero marxista dialiettico rivoluzionario (sic), senza immaginare che il proletario la vive quotidianamente nella sua carne la dialettica rivoluzionaria.
Per contro, la classe proletaria possiede una reale forza tattica all’altezza del capitale che rigenera, valorizza e arricchisce di plusvalore col suo lavoro salariato alienato. Uno sciopero operaio comporta sempre una rottura immediata del ciclo di circolazione del capitale. Ogni giorno di sciopero è un po’ o molto capitale che muore, coma hanno dimostrato gli eorici minatori sudafricani a prezzo del loro sangue (2). La classe operaia queste cose le sa e ricorre allo sciopero con parsimonia, conservando le sue energie per i grandi scontri importanti. La classe operaia non ricorre mai al terrorismo e, dopo l’esperienza dei «Fronti popolari» e dei «Fronti comuni», ha capito che le parodie, le processioni e i forum organizzati dalla piccola borghesia a stipendio portano alla fossa.
Il declino del riformismo di sinistra e la crescita del riformismo di destra
Che siano di sinistra o di destra, le organizzazioni che partecipano alle elezioni borghesi perseguono un unico obiettivo riformista, mai rivoluzionario, nel senso che tutti i partiti della borghesia propongono riforme e correttivi al cattivo funzionamento del modo di produzione capitalista, cosa del tutto superflua. Ciò che distingue i rivoluzionari proletari dalle correnti politiche e ideologiche di sinistra o di destra, è che il proletario è convinto che occorra smetterla di rabberciare questa bagnarola senza bussola, e che si debba aiutarla ad affondare del tutto. Bernie Sanders, Hillary Clinton o Donald Trump possono essere dei leader proletari in grado di guidare le masse verso l’affermazione del modo di produzione comunista? Se qualcuno di voi lo crede, il coraggioso proletariato statunitense, invece, non lo crede affatto. A che serve discutere delle menzogne di questi malandrini?
Dopo l’elezione farsa
Lo scorso 8 novembre, tutti abbiamo avuto agio di apprezzare la reazione isterica della intellighenzia degli esperti, dei giornalisti, dei professori universitari, questi prestigiosi portavoce dell’accozzaglia di borghesi della sinistra a gogò, sconfitti dall’elezione del multimiardario Donald Trump, diventato improvvisamente il plenipotenziario dei proletari incazzati (sic) !?… In alcune televisioni europee, sembrava di stare a Washington DC, tra i funzionari Democratici che domani perderanno la loro pensione. Perché una simile isteria mediatica mondiale ha accolto i risultati traballanti di una elezione statunitense? In qualcuna di queste sessioni di pianto collettivo, la domanda venne posta e la risposta venne dal gruppo dei radical chic: «Il rischio di contagio “populista” è inquietante», e Marine Le Pen ha visto giusto. Il proletariato statunitense ha lanciato un avvertimento clamoroso che domani rischia di essere imitato nelle capitali di tutto il mondo: «Basta coi tagli di spesa oppure vorteremo per il candidato di alternativa, per quanto folle sia!», cosa che conviene perfettamente al grande capitale che sa bene come un «incompetente di sinistra o un incompetente di destra, se non è zuppa è panbagnato», e che i giorni successivi si sono incaricati di dimostrare. Così la minaccia di abrogazione dell’«Obama care» è stata già sostituita da proposte di modifica del regalo finanziario da accordare all’industria delle assicurazioni private USA. Ancora una volta la classe proletaria si è fatta fregare, pensa il piccolo borghese sovraeccitato. Che no, il proletariato subodorava qualche furbata. Solo, ha sopravvalutato la capacità di nuocere di Donald l’incapace. Noi l’abbiamo già scritto, sono le classi sociali che fabbricano i loro capi, e non il contrario. Donald Trump è solo una variante particolarmente esuberante della fascia miliardaria della clase capitalista statunitense.
TATTICA – Hillary l’avvizzita – sacrificata per la patria
Tutti gli analisti borghesi hanno concordato sul fatto che il candiato Donald Trump, pur non dotato di particolari esperienza politiche, aveva saputo colgiere d’istinto l’umore dell’elettorato degli Statunitesni in difficoltà e fornire loro le frasi demagogiche di cui avevano bisogno. Avrete anche rilevato quanto disprezzo un tale giudizio sottintende nei confronti della classe proletaria. Femministe, LGBT, intellettuali, sindacalisti, ecologisti, no-global, gauschisti e propagandisti dei media a libro paga maledicono il proletariato per avere preferito il predatore della Trump Tower alla criminale di guerra Clinton. Si tratta di una analisi ingenua dei movimenti politici e sociali in una società capitalista fortemente industriualizzata e finanziarizzata. La candidata Hillary Clinton è stata scelta come portavoce di una fazione del capitale che già controllava la presidenza da otto anni. L’ex-senatrice avrebbe solo potuto rompere con questa eredità e simulare una diversa formula demagogica riformista, sedicente progressista, ma così avrebbe perso l’investitura democratica, come è avvenuto a Bernie Sanders il socialista. La piccola borghesia incaricata di fare campagna elettorale per conto del grande capitale è programmata da anni per prendere in giro la classe proletaria con leggi e politiche riformiste del tipo: l’«Obama care», che presto costerà troppo cara a quelli che dovrebbe beneficiare; politiche fiscali vendicative presentate come rivolte contro i ricchi, ma usate contro i poveri; intrallazzi di genere e difesa dei diritti delle minoranze lanciati in guerra contro le maggioranze (dividere per regnare); pacifismo verbale e militarismo glibale; ecologismo come apologia della povertà, dell’austerità e dell’avvilimento; sempre più disoccupazione e deficit pubblico alle stelle, fino all’inevitabile fallimento. La multimilionaria Clinton e la sua cricca non potevano fare altro che continuare su questa strada. E ogni volta ella pronunciava qualche frase concordata, la sua cerchia di piccoli borghesi parvenu le riservava una ovazione, convincendola di aver trovato la formula demagogica giusta per far passare queste corbellerie.
Uno dei temi favoriti della capa degli illusionisti riformisti, pseudo-progressiti, era di denigrare i riformisti di destra chiamandoli «populisti», la nuova espressione che ha rimpiazzato il termine «fascista» in voga nel secolo scorso. A questo punto importante della mascherata elettorale, le approvazioni diventavano liriche. E ciò dimostra che questa fazione di sotto pifferai aveva ben capito da dove veniva la minaccia al loro potere di cricca. Prendente nota del fatto che tutte le volte che la candidata democratica o l’establishment repubblicano insultavano il candidato Trump, contribuivano in tal modo ad accreditare la stupidaggine del multimilardario «rivoluzionario» anti-establishment (sic).
TATTICA – Trump il candidato «strumentalizzato», ma da chi?
Donald Trump si trovava in una situazione differente perché otto anni prima l’elettorato repubblicano, restringendosi sempre di più, non era stato sufficiente a riportare il potere esecutivo nelle mani della loro cricca, dopo che Georges W. Bush aveva bruciato le ultime cartucce di questi tizi in ordine sparso. Lui, la cui carriera nel mondo degli affari dipende dalla generosità dell’establishment, ha avuto l’idea di giocare la carta «anti-establishment». La scommessa era rischiosa, perché i milioni di proletari disincantati snobbavano oramai le cabine elettorali. Non rappresentavano dunque un bacino elettorale.
La campagna delle primarie gli è servita da banco di prova e ogni volta che il candidato Trump ripudiava il senso comune del potere biorghese, l’elettorato – ben diverso da quello della Pasionaria Democratica – applaudiva fragorosamente, mostrando al loro candidato presidente «strumentalizzato» quale fosse l’onda demagogica sulla quale doveva «planare». Ovviamente assai pochi tra coloro che ascoltavano credevano alle promesse pronunciate, fortunatamente, perché pochissime saranno mantenute. Ma per i rappresentanti della classe proletaria presenti, il solo fatto che un candidato importante denunciasse qualcuna delle politiche di orrore delle amminsitrazioni Repubblicane e Democratiche precedenti, era sufficiente. Immaginate che il candidato rattuso giungeva a denunciare pubblicamente i crimini di guerra di Bush figlio e padre e anche quelli di Hillary l’ex-Segretaria di Stato (!) Così è stato che la classe proletaria ha «strumentalizzato» il candidato Trump per inviare un messaggio senza ambifìguità alla sconsolata classe politica, industriale e finanziaria statunitense: «Non ci siamo fatti abbindolare dalle vostre malversazioni e dalle vostre mascherate elettorali e sappiamo bene che questi due pulcinella non rappresentano nulla per noi proletari, ma vi spediamo questo preavviso, ne abbiamo abbastanza delle vostre soluzioni-bidone, di sinistra come di destra, e ci prepariamo a scontri più aspri di quelli di Ferguson, quando sarà chiaro che tutti voi buffoni fate solo chiacchiere».
Credete che il proletariato statunitense, tanto avvertito, abbandonato e sacrificato, sotto la dittatura economica dei ricchi, tanto ricco di esperienza tattica si sia illuso per un solo istante che un miliardario disonesto fosse diventato il loro portavoce rivoluzionario, il Marx del nuovo millennio? Incidentalmente, la maschera del nuovo presidente ha già cominciato a perdere pezzi. Avrete notato come il mozzo Trump abbia messo giudizio dopo essere stato «scelto» dalle urne e aspettate di vedere cosa accadrà quando sarà proclamato presidente a gennaio. Rientrerà nei ranghi e farà solo le politiche che vanno bene ai ricchi, proprio come avrebbe fatto la Signora Clinton. Il proletariato statunitense questo lo sapeva già. Saranno solo gli esperti universitari e certi miserabili giornalisti a divagare per anni su quel che sta per crollare. La piccola borghesia – imbrattacarte populista di sinistra – è stata messa alla porta e nuove cricche di lacchè «populisti» di destra sono assunti per parlare. Dovranno anche esser pronti a sparare contro la plebe proletaria quando, esasperata, farà il gesto di ribellarsi. Ma attenzione, la classe proletaria statunitense deve sapere che sarebbe stata la stessa cosa con l’altra cricca al potere. E’ la realtà economica catastrofica che forgia le politiche dei ricchi e mai il contrario. Anche questo fa parte del patrimonio tattico e strategico della classe operaia rivoluzionaria e ciò significa che nessuna tattica riformista di sinistra o di destra potrà allontanare questo calice che bisognerà bere fino alla feccia.
Che cosa è crollato lo scorso 8 novembre? Il potere mediatico botghese! Un’ampia fetta dell’elettorato statunitense si è rifiutata di votare come le era stato intimato. Inoltre il potere dispotico della piccola borghesia, gli imbarratacarte del potere egemonico dei ricchi, ha continuato a sgretolarsi, questo anninetamento politico va di pari passo col suo annientamento economico. L’illusione di sinistra ha perso credibilità, quella di destra la perderà presto, e resterà quindi solo una strada e la sua alternativa. Il grande capitale mondiale che monopolizza il potere sociale nelle tre forme, economico, politico e ideologico, sarà costretto dalla crisi economica sistemica fino alla guerra nucleare. Lungo questo inelluttabile percorso, la tattica di Hillary era pericolosa tanto quella di Donald. La prima voleva scontrarsi con la Russia dotata di armi nucleari, mentre l’altro suggerisce di attaccare la Cina dotata di armi nucleari, individuandola come il vero nemico da abbattere per il campo occidentale!
La classe proletaria nell’elezione statunitense
La classe proletaria statunitense si è scissa secondo tre linee di frattura, corrispondenti allo stato di avanzamento della coscienza collettiva di classe in ciascuno dei segmenti. Bisogna dire che il territorio degli Stati Uniti è immenso e la consistenza della classe proletaria staunitense molto elevata. Il numero di disoccupati cresce (non vi fidate per niente delle statistiche truccate pubblicate da agenzie stipendiate). Pezzi di piccola borghesia impoverita vanno ad accrescere ogni giorni i ranghi del proletariato. Infine sopravvivono molti proletari operai in taluni settori chiave dell’economia (energia, aeronautica, alta tecnologia, armi e difesa, farmacologia, automobile, trasporti, costruzioni, ecc.) Un primo segmento della classe proletaria, particolarmente in ritardo sul piano della coscienza strategica di classe, continua a prendere regolarmente parte al processo elettorale borghese. Sostengono questo o quel partito o candidato maggiore, o espressione di qualche gruppuscolo. Quindi il candidato dei Verdi e quello dei libertari sono riusciti a guadagnare una parte del proletariato con le loro proposte riformiste di destra o di sinistra. Azzardo che Bernie Sanders non ha voluto correre per paura di essere messo ai margini dal potere borghese in caso di vittoria di Clinton. Bernie Sanders ha preferito una allenza da «fronte popolare» col diavolo per fare barriera contro il demonio… Non vi ricorda una epopea nei piani sovietici del secolo scorso?
Un secondo segmento di proletariato si è iscritto per la prima volta nelle liste elettorali, una procedura complicata che consente di truccare i risultati in caso di necessità – come dicono i capitalisti e i loro lacchè: «Bisogna guardarsi dal popolino sempre incapace di capire quale sia il suo intersse» (sic). Questi proletari hanno votato per il buffone Trump, non perché abbiano creduto per un solo istante alle menzogne di questo rappresentante del grande capitale – non fate torto all’intelligenza della classe proletaria statunitense, la più evoluta del mondo industrializzato. Essi si sono illusi di evitare la crisi sociale e la guerra nucleare, lanciando un ammonimento al grande capitale. Al contrario di quanto pensano il clan dei piccoli borhesi progressisti, gli analisti e gli esperti in utopie, questo segmento della classe operaia non è stato ingannato dal clown Donald. Questi operai esperti sanno cosa accadrà a Donald il multimilairdario, ma pensano erroneamente che il capitale sia ancora in grado di scegliere le sue politiche. Però il Brexit e la firma del trattato di libero scambio tra il Canada e l’Unione Europea hanno dimostrato che la classe capitalista ha militarizzato i suoi portavoce politici. Tuttavia questo segmento di classe operaia non tornerà a votare. Sono quelli che i sondaggisti politici non avrebbero saputo o voluto intervistare, per la buona ragione che non avevano votato prima e che buona parte di essi ha rifiutato di rispondere ai sondaggi lambiccati.
Una terza linea di frattura segmenta la classe proletaria statunitense. Questo terzo segmento raggruppa tutti quelli che hanno fatto il bilancio di un secolo di mascherate elettorali – quelli che non si iscrivono più nelle liste elettorali, che non votano da molto tempo, che non si interessano affatto a questo strambo casino in cui i media a libro paga, eccitando gli ingenui e le megere femministe isteriche, tentano di far credere che il futuro di questa nazione di 320 milioni di abitanti in rovina dipenda dal sesso di un candidato e dal comportamento sessuale di un cafone. E’ il segmento di proletariato dalla coscienza di classe più avanzata, più completa. Attendono che la congiuntura peggiori e colpiranno.
La vicenda dei sondaggi distorti e la loro influenza tattica
Lasciateci presentare la storia del sondaggista «smarrito». In questa elezione borghese come in molte altre prima, i sondaggi lambiccati si sono smarriti, perché? E’ che la funzione principale di un sondaggio non è quella di informare sulle intenzioni di voto dell’elettorato, ma solo di verificare se la consegna di voto impartita dal grande capitale – quello che controlla la maggioranza dei media – sia stata bene assimilata dal popolino. Il secondo obiettivo di un sondaggio e quello di rafforzare questa formattazione delle coscienze, ribadendo le scelte del grande capitale proprietario di queste case demoscopiche, e anche dei diffusori che vi informano dei risultati. Non ci dilungheremo sui modi in cui i sondaggi vengono manipolati, dalla elaborazione delle domade alla preparazione dei campioni, fino alla manipolazione dei risultati. Sappiate solo che, stavolta, si ritiene unanimemente si sia trattato veramente di un errore nella preparazione dei campioni e di aggiustamento statistico. Il gran numero di proletari appartenti al secondo segmento del proletariato militante – e che sono andati per la prima volta a votare – spiega questo errore generalizzato. Il proletariato statunitense è stato probabilmente uno dei primi ad ingannare coscientemente gli ufficiali del capitale incaricati di sorvegliarlo e formattarne le coscienze, dopo il referendum sul Brexit quando furono i proletari britannici a fare marameo.
E’ possibile che un simile comportamento tattico della classe proletaria si riproduca in altri paesi? Sì e no. Nei paesi occidentali, soprattutto in Europa, la contaminazione piccolo borghese sinistrorsa e destrorsa è talmente pregnante che ci vorrà ancora del tempo perima che la classe rompi i suoi legami con la piccola borghesia di sinistra e butti a mare la sua fraseologia di pensiero unico settario e dogmatico. La rottura definitiva con la sinistra borghese tradizionale o che si «rinnova» (sic) è indispensabile per andare avanti. D’altronde, da qualche anno, la destra reazionaria, definita «populista» dai gauschisti reazionari, è in marcia verso il potere, e questo vuol dire che questi partiti estremisti di destra si sono esposti all’usura del potere borghese che corrompe tutto cosicché, là dove questo accade, essi perdono una larga parte della loro credibilità. Il mito Trump beneficia dell’effetto sorpresa, è stato intenso, massiccio, spontaneo e sarà di corta durata. Alle prossime presidenziali, esso rischia non funzionare più. Sarà particolarmente difficile per un partito «populista» come il Front national in Francia di assumere il ruolo del Donald Trump incorruttibile della borghesia francese, corrotta fino al midollo. Tanto più che il grosso ha già cominciato a sgonfiarsi…
Per contro, in molti paesi «emergenti» ai «benefici del capitalismo» (sic) la conscienza politica tattica (la memoria e la coscienza di classe a breve termine), non è sufficentemente sviluppata per permettere una coscienza strategica di tale portata. In questi paesi capitalisti emergenti, talvolta ancora in crescita economica, il proletario in possesso di un alto livello di coscienza di classe strategica rischia di essere emarginato nel tempo che occorre alla classe nella sua totalità per mettere insieme un patrimonio di esperienza tattica su tutti i fronti della lotta di classe. In America Latina il livello tattico e strategico di coscienza di classe è assai sviluppato ma i contadini sono ancora tanti e ciò rallenta l’evoluzione sociale ribìvoluzionaria. Tuttavia i tanti fallimenti pseudorivoluzionari della sinistra riformista (FARC, Venezuela, Cile, Argentina, Honduras, Ecuador, Bolivia, Cuba, ecc.) seguiti da dittature sanguinarie, hanno lasciato la classe proletaria disincantata e in attesa. Noi non sappiamo dire quel che farà questo importante segmento della classe proletaria mondiale.
TATTICA E STATEGIA proletaria
Strategicamente, o la classe sociale proletaria si opporrà alla guerra e si impadronirà del potere economico e politico – costringendo i manger del grande capitale in un vicolo cieco; oppure la guerra mondiale ci sarà e sarà solo a prezzo di immense sofferenze che la classe proletaria e la sua avanguardia operaia si decideranno a porre fine a questo modo di produzione moribondo. Due precedenti guerre mondiali ci insegnano che sarà questa la strada che si imporrà.
La classe proletaria statunitense è una delle più avanzate dell’umanità, una delle più aggredite e sfruttate dal potere imperialsita mondializzato. E’ anche una delle meno contaminate dalle idee riformiste della sinistra a gogò borghese stipendiata e da quelle della borghesia populista di destra. E’ evidente che essa non è ancora pronta per rovesciare il modo di produzione capitalista, non essendo nemmeno certa che il resto della classe nei grandi paesi imperialisti avanzati seguirà il movimento insurrezionale. Ha deciso quindi di iscriversi in massa nelle liste elettorali che aveva disertato per anni, non con l’idea di manifestare la sua adesione alle illusioni elettoraliste dei ricchi, ma con la determinazione di lanciare un ammonimento prima di sollevarsi (…) Negli Stati Uniti, siamo nel cuore della vera «Rivoluzione» futura – un cambiamento del modo di produzione - tanto lontana dalle sciocchezze e dalle stupidaggini senza valore storico di certi trivisali servitori del capitale.
La maggior parte dei media, degli analisti, degli specialisti e dei giornali a libri paga, la piccola borghesia di sinistra riformista e anche il candidato Trump e la sua scorta non hanno saputo prevedere questo ammonimento che sarebbe stato lanciato nella notte delle elezioni farsa. Non pensiamo che questo fenomeno si riprodurrà negli Stati Uniti. Pensiamo piuttosto che l’allucinazione elettorale borghese viva i suoi ultimi anni di grazia – non appena il Presidente Trump, dopo il mito «Obama il primo presidente nero», avrà dato dimostrazione della sua incapacità di regolare il funzionamento di questo modo di produzione moribondo (ecco la lista anticipata dei suoi fallimenti: riduzione del deficit, creazione di posti di lavoro, re-industrializzazione, consolidamento del dollaro, presa di distanza dalla Cina, ristabilimento della pax americana, rinegoziazione dei trattati internazionali, ecc.) il voto di protesta della classe proletaria statunitense avrà perso ogni interesse tattico ed è allora che l’insurrezione, seguita da una vera «Rivoluzione», rischia di cominciare colocando la missione strategica della classe al posto di comando.
(1) http://www.les7duquebec.com/7-au-front/la-seconde-revolution-americaine/
e anche http://www.les7duquebec.com/actualites-des-7/rififi-a-la-maison-blanche-trump-la-chimere-deuxieme-partie/
(2) Grèves en Afrique du Sud http://www.les7duquebec.com/7-au-front/afrique-le-dernier-eldorado/
E anche http://www.les7duquebec.com/7-au-front/nelson-mandela-dernier-repos-pour-le-heros-des-bobos/