Gli Stati Uniti non sono una democrazia e importa poco chi ne sarà il presidente
- Dettagli
- Visite: 3306
Club Orlov, 21 settembre 2020 (trad.ossin)
Gli Stati Uniti non sono una democrazia e importa poco chi ne sarà il presidente
Dmitry Orlov
E’ tempo di elezioni presidenziali negli Stati Uniti e si deve pur scriverne qualcosa. Tento di solito di tenermi alla larga da simili argomenti perché gli Stati Uniti non sono una democrazia ed è indifferente che vinca l’uno o l’altro candidato. Gilens e Page lo hanno dimostrato nel loro studio storico del 2014, e dunque sono esentato dal dovermene occupare qui
“E’ così che deve essere”, obietterà qualcuno, “perché gli Stati Uniti sono una repubblica, non una democrazia”. E allora perché occuparsi delle elezioni? Per gli amanti della democrazia, suggerisco il caso della Corea del Nord, che si definisce una «repubblica popolare democratica». E tuttavia, perché la si possa considerare una democrazia, bisognerebbe passasse l’esame con una buona media, per farne una repubblica popolare – al posto di una repubblica oligarchica come è attualmente – occorrerebbe uno sforzo supplementare.
Ho assistito a una lunga sfilata di burattini presidenziali, a cominciare da (Gerard) Ford «l’imbranato», fino a Trump, che ha tanti soprannomi, da «uomo arancione» a «merda di macaco». Per quanto sia senza dubbio una perdita di tempo, voglio darti una mano. Ci sono tante persone che attualmente seguono con interesse questa gara priva di senso e io voglio fare quanto mi è possibile per abbassare la loro pressione arteriosa e i loro livelli di cortisolo, per farle vivere più a lungo, più felici e in buona salute.
La frase «Gli Stati Uniti non sono una democrazia e importa poco chi ne sarà il presidente» è, in qualche misura, un utile mantra. Ripetuta un numero sufficiente di volte con convinzione, calma lo spirito e tranquillizza l’animo. Ed è il mio primo contributo al tuo benessere mentale di fronte a questa competizione presidenziale; il secondo è il suggerimento di votare a caso, facendo testa o croce. Dal momento che il tuo voto non ha alcun senso (vedere sopra perché), è il modo più responsabile e più patriottico di adempiere al dovere civico di partecipare. E dà anche il piacere di vedere le teste di questi politici senza scrupoli esplodere:
Hai intenzione di votare ?
Certo !
Come pensi di votare ?
Lanciando una moneta.
Perché ?
Perché gli Stati Uniti non sono una democrazia ed è indifferente chi sarà il presidente. (Citare lo studio qui sopra)
Allora perché votare ?
Perché è il mio dovere di cittadino.
Per colorire un po’ il quadro, immagina che gli Stati Uniti siano un vicolo cieco trascurato, posto tra due isolati, disseminato di spazzatura, pieno di graffiti e infestato dai topi. Immagina adesso che i presidenti e i candidati siano dei gatti che spruzzano su ogni oggetto verticale e miagolano in coro. Solo ogni quattro anni arruffano il pelo e cacciano gli artigli, poi si torna ai miagolii e al fetore. Speri che un giorno verrà qualcuno a raccogliere la spazzatura, cancellare i graffiti e sterminare i topi ma, a questo punto, non se più tanto sicuro che continuare a nutrire i gatti risolverà il problema.
Tenendo bene a mente questo, poniamoci una domanda ovvia: Quando è stata l’ultima volta che abbiamo visto il nostro vicolo cieco abitato da gente dello stesso stampo [di Trump, NdT] ? La risposta è facile: nel 1984, con Ronald Reagan. Il suo motto era «It’s morning in America» (E’ mattina, dopo una lunga notte nera di declino industriale, shock petroliferi e rovesci geopolitici). Lo slogan era «Più fieri, Più forti, insomma Migliori!» L’ex vicepresidente Walter Mondale, goffo e insignificante, fece una cosa che non aveva precedenti, scegliendo una donna – Geraldine Ferraro – come vice-presidente. Hanno fatto fiasco, vincendo solo in Minnesota, lo Stato natale di Mondale, e nel distretto di Columbia.
In seguito c’è stato una sorta di «risveglio statunitense», non per merito di Reagan, ma solo perché l’URSS è crollata – in gran parte a causa del tradimento di Mikhail Gorbaciov, Boris Eltsin e delle loro coorti di falsi comunisti – aprendo la strada ad un trentennio di saccheggio sfrenato del blocco dell’Est da parte dell’Occidente. Ma alla fine del secolo il bottino si è esaurito e l’Impero USA ha ricominciato ad avere fame. E, adesso, è veramente affamato: la metà del bilancio federale viene oramai finanziato stampando banconote e, ogni anno, il governo statunitense spende il doppio di quanto incassa. Quando l’eccesso di moneta inevitabilmente produrrà inflazione, gli Stati Uniti non potranno fronteggiarla, come fece Reagan, alzando i tassi di interesse, perché questo porterebbe ad una bancarotta nazionale generalizzata.
Gli Stati Uniti sono oramai un puro sistema piramidale pronto a crollare in qualsiasi momento. In teoria potrebbero guadagnare qualche anno supplementare se la Cina declinasse politicamente, consentendo agli Stati uniti di saccheggiarla come fece col blocco dell’Est dopo il crollo dell’URSS, ma è una eventualità piuttosto improbabile. Quando gli Stati uniti crolleranno, poco importerà che siano stati una democrazia o chi ne sia il presidente. Torniamo quindi allo spettacolo secondario della fine dell’Universo…
Quest’anno il presidente è Donald Trump. Il suo motto è «Make America Great Again» – dopo una lunga notte nera di declino industriale, shock petroliferi e rovesci geopolitici. Non ha slogan, e io suggerirei quindi «Più duro, Più rapido, Più a fondo!» Dovrebbe anche piacere ai suoi fedeli partigiani che sono maschi omofobi, razzisti e sessisti. Di fronte, c’è l’ex vicepresidente Joe Biden, vecchio e incerto, che ha fatto una cosa che non aveva precedenti, scegliendo una donna – Kamala Harris – come vice-presidente. Peggio ancora, la confusione mentale sembra impedire a Joe Biden di capire chi dei due sia il candidato alla vice-presidenza. Si sentirebbe probabilmente più a suo agio nel suo abituale ruolo di vice-presidente – senza dover rinunciare alle lunghe sieste pomeridiane e ai funerali, compreso il suo alla fine.
Probabilmente il ticket Biden/Harris non avrà successo, proprio come quello Mondale/Ferraro, che è stata la seconda peggiore performance di tutti i tempi – peggio fu solo la sconfitta di Alf Landon nel 1936 da parte di Franklin D. Roosevelt. Ma il nuovo fiasco è più difficile da prevedere: nel 1984 non c’era ancora il politicamente corretto ed era ancora possibile che un eroe della classe operaia, al bancone di un bar, esclamasse ad alta voce: «Non voterò mai per una donna arrogante alla presidenza», mentre oggi «deplorevoli» di tal fatta si trattengono, temendo la disapprovazione, mantenendo segreta la propria scelta elettorale perfino in famiglia. E’ probabilmente per lo stesso motivo che non si è riusciti a prevedere la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016.
Da allora, l’atmosfera elettorale negli Stati Uniti è diventata ancora più tossica, con la totale soppressione della libertà di espressione prodotta dalla censura dei social media e dei codici di condotta rigorosamente applicati nei luoghi di lavoro. Nel frattempo, la retorica di BLM, Antifa, LGBTQ+ e delle militanti femministe si è fatta sempre più stridente ed ha individuato un solo nemico: l’uomo bianco eterosessuale statunitense. Una simile vittimizzazione inversa prima o poi produrrà dei frutti, anch’essi tossici. Se una persona, per il solo fatto di essere un uomo bianco eterosessuale, viene automaticamente etichettato come omofobo, sessista e razzista e viene costretto a confessare la propria colpa ed a pentirsi, succederà che la vittima di una simile vittimizzazione inversa finirà con l’esclamare qualche cosa del genere «Benissimo, se è questo che pensate che io sia, allora mi comporterò proprio così. Tornate nel ghetto/nella riserva! Tornate in cucina/nel retrobottega!» E, per essere più convincente, potrebbe armare il suo fucile. Non sarebbe deplorevole!
Potrei immaginare enormi folle di questi «deplorevoli» dirigersi ai seggi, salutandosi con questo slogan lanciato a mo’ di sfida «Più duro, Più rapido!» – «Più a fondo!» e … ri-eleggendo Donald Trump. Ne seguirebbe un casino, in mezzo al quale nessuno si accorgerebbe che è crollato «tutto il castello di carte», come disse George W. Bush. Ma qualsiasi cosa succeda, non abbiate timore, perché gli Stati Uniti non sono una democrazia e non importa chi ne è il presidente, ma se proprio volete votare, allora fate a testa o croce.
Ossin pubblica articoli che considera onesti, intelligenti e ben documentati. Ciò non significa che ne condivida necessariamente il contenuto. Solo, ne ritiene utile la lettura |