La CIA continua a proteggere Luis Posada Carriles
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Le Grand Soir, 16 maggio 2010
La CIA riesce a mantenere il suo agente fuori tiro
Jean-Guy Allard
Il teleromanzo di quart’ordine che si è inventato la CIA per mantenere in libertà il suo agente Luis Posada Carriles, nonostante i crimini di carattere terroristico che ha commesso, e mettere in imbarazzo il pubblico nord-americano prosegue allegramente: il giudice Kathleen Cardone, di El Paso (Texas), incaricata del caso, ha concesso al governo degli Stati Uniti un nuovo termine, questa volta fino al 2 giugno 2010.
L’ordinanza è stata firmata dal giudice texano il 12 aprile ma se ne è avuta conoscenza solo domenica 25 quando il Presidente dell’Assemblea nazionale di Cuba, intervistato dalla stampa mentre usciva dal seggio delle elezioni municipali, ha sottolineato che i cinque Cubani prigionieri negli Stati Uniti per avere infiltrato dei gruppi terroristici di Miami sono privati del diritto di votare.
Secondo Prensa Latina, Ricardo Alarcon de Quesada ha rivelato anche che, nel frattempo, “si continua a rinviare, grazie a delle intese tra il pubblico ministero e il tribunale, il processo del terrorista Luis Posada Carriles”.
La procedura di incolpazione di Posada era programmata per il 20, ma è stata ancora una volta rinviata, col ridicolo pretesto di un altro impegno.
“L’assemblea del 12 aprile è stata rinviata ma non se è detto niente, non ho visto alcun dispaccio di agenzia, nessun media ne ha parlato”, ha commentato Alarcon segnalando il blocco totale di informazione sia da parte delle agenzie di stampa che dalla stampa mafiosa di Miami.
Questa assemblea non è altro che un incontro tra il pubblico ministero e la difesa per mettersi d’accordo sulle procedure e fissare la data del processo.
Questa forma di “giustizia” è qualcosa di normale negli Stati Uniti, dove le cause possono durare un’eternità attraverso procedure dilatorie, quando gli interessi della difesa e del pubblico ministero coincidono. In questa occasione il governo deve salvare Posada da una procedura di estradizione, e la cosa conviene anche alla difesa, che continua frattanto a fatturare i “benefattori” del suo cliente.
Per colmo di ironia, il dossier Posada è assegnato al procuratore federale della Sezione antiterrorismo del Dipartimento della Giustizia.
L’attuale amministrazione nordamericana, così come quella di George W. Bush, sostiene di ignorare che Posada è uno dei mandanti morali dell’esplosione, in pieno volo, di un aereo della Cubana de Aviacion, sulle isole Barbados nel 1976.
Non riconosce inoltre che il suo complice principale, Orlando Bosch Avila, è un terrorista.
Posada e Bosh sono i co-fondatori della CORU, Coordinamento delle organizzazioni rivoluzionarie unite, le cui operazioni sono state tra le più sanguinose di tutta la storia del terrorismo sul continente americano.
Posada è stato per molti anni un collaboratore assiduo e un agente confesso dell’Agenzia Centrale di informazioni (CIA) degli Stati Uniti, agli ordini della quale ha commesso numerosi atti di terrorismo, torturato e assassinato delle persone durante operazioni contro-insurrezionali, tanto in Venezuela, che in America Latina, trafficato armi e narcotici e partecipato a diversi tentativi di assassinare il leader cubano Fidel Castro.
Mentre Posada e i suoi avvocati tentano di giustificare i suoi crimini col fatto che egli obbediva agli ordini della CIA, il pubblico ministero afferma che il riferimento ai legami di Posada Carriles con la CIA non è pertinente nella trattazione degli undici capi di imputazione che lo riguardano. Il giudice Cardone ha vietato ai difensori dell’assassino di coinvolgere la CIA nella sua difesa.
Dopo il suo ingresso illegale negli Stati Uniti, cinque anni fa, Posada è stato formalmente imputato di accuse minori, a partire dal gennaio 2001. La prima udienza del suo processo è stata fissata per l’11 maggio di quell’anno. Tre anni fa!
E esattamente quattro anni sono passati da quando Robert E. Jolicoeur, direttore dei servizi di immigrazione e di controllo delle Dogane degli USA a El Paso (Texas) ha indirizzato a Posada Carriles, allora detenuto, una lettera nella quale gli diceva ch’egli costituiva “un rischio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.
Riproponiamo un articolo apparso su Ossin nell'ottobre 2008
POSADA, ALIAS COMMISSARIO BASILIO, TORTURATORE
È questo l’uomo che Bush protegge
JEAN-GUY ALLARD – di Granma Internacional –
Mireya Armis Hernández Álvarez ricorda inorridita quel 2 giugno 1972 quando, arrivando all’obitorio di Caracas con due suoi fratelli, venne brutalmente arrestata da uomini di Luis Posada Carriles, detto il Commissario Basilio.
"Quel giorno c’erano fotografie di Basilio sulla prima pagina di un giornale. Era lì con armi pesanti... Alla DIGEPOL indossava una giacca nera e pantaloni blue jeans ed era lui a dirigere con una tremenda arroganza".
La donna era andata a riprendersi il cadavere di suo fratello maggiore, Ramón Antonio Álvarez, assassinato da Posada Carriles.
Ore prima il giovane comandante di Punto Zero, organizzazione rivoluzionaria venezuelana, era stato ritrovato morto, crivellato da 32 colpi d’arma da fuoco, seduto in una macchina insieme a un compagno nel Parco Washington di Caracas e ciò il giorno dopo essere stato arrestato da Posada, allora il sinistro Commissario Basilio della Polizia Politica venezuelana.
L’uomo che la giustizia di Bush si rifiuta di accusare di terrorismo fu consulente della DIGEPOL e poi capo delle Operazioni di quell’organo repressivo, diventato DISIP dal 1967.
Legato alla CIA dal 1960, addestrato in tecniche di tortura e repressione, "l’eroe" della mafia cubanoamericana venne inviato in Venezuela dalla CIA statunitense. Bush si rifiuta di estradarlo in Venezuela per timore che "venga torturato". Il ladro crede sempre che tutti siano uguali a lui.
"Quel giorno alle 13:00, ascoltando Radio Rumbo venni a conoscenza della morte di due compagni", racconta Mireya. "Stavano dando la notizia che avevano ucciso due guerriglieri. Anche se la radio diceva Ramón Antonio Olivares invece di Álvarez, io sapevo che era mio fratello".
"Arrivai a casa mia dove mia madre non sapeva nulla... Decisi di andare direttamente all’obitorio con i miei fratelli Omar e Osvaldo a reclamare il cadavere".
Nell’obitorio il commissario Basilio aveva preparato una sorpresa per i parenti delle vittime.
"Quando arrivammo alle 15:00 non c’era nessuno. Il luogo era deserto. Suonammo alla porta e apparvero poliziotti da tutte le parti. Improvvisamente arrivarono circa sei macchine".
"Quindi ci arrestarono. Arrestarono addirittura l’autista del taxi in cui eravamo arrivati. Dissero a mio fratello Omar: ‘Per tua disgrazia, sei identico a tuo fratello’. Ci portarono direttamente alla Polizia Tecnica Giudiziaria".
Nelle cantine della sinistra PTG erano già detenuti due fratelli e un cognato del guerrigliero Rafael Botini Marín, il compagno di lotta di Ramón Antonio, anche lui assassinato su ordine di Posada.
Il Commissario Basilio aveva già dato disposizioni. "Mi fecero entrare in un ‘tigrito’ e i miei fratelli nella sala generale..."
I ‘tigritos’ sono celle oscure, molto strette, concepite per spaventare e dove appena c’è spazio per due persone in piedi.
"Mi portarono un uomo nudo nel ‘tigrito’. Io immaginavo che fosse un poliziotto. Allora arrivo uno che disse di non..."
Alle 1:00 di notte le portarono del pane. "Con vermi..."
Nel mezzo della notte Mireya viveva una situazione la cui immagine continua a perseguitarla.
"Chiesi di poter andare in bagno e mi portarono in uno dove c’era mio fratello Osvaldo con la testa nella tazza..."
"Lo stavano torturando, gli mettevano la testa nella tazza sporca e la riempivano di feci", ricorda con uno sguardo angosciato.
"IMMAGINAI CHE ERO MORTA"
"Nel ‘tigrito’ si sentiva una radio. Tutta la sera informarono che mio fratello Ramón era stato crivellato in una sparatoria..."
La notizia, diffusa dai servizi di Basilio, era falsa. Il giovane Ramón venne torturato e vilmente giustiziato da Posada e dai suoi uomini con varie raffiche di mitra prima di venire messo in una macchina, davanti alla casa del magnate Domínguez, del cui sequestro parlarono i titoli dei giornali.
Una sceneggiatura cinicamente concepita da Posada e dai suoi uomini per eliminare impunemente giovani ribelli.
"Così seppi quando arrestarono mia madre..."
La presenza nella PTG di Carmen Guadalupe, donna forte nota come la Signora, salvò Mireya dalla sorte che le riservava Luis Posada Carriles.
"Alle 11:00 ci portarono via dalla parte posteriore per portarci alla DIGEPOL. Quando ci dissero che ci avrebbero portati lì immaginai di essere già morta".
"Uscii dai ‘tigritos’, salii le scale e al salire ascoltai la voce di mia madre e cominciai a correre. Mia madre stava dichiarando nella sala. Entrai correndo e l’abbracciai. Quando mi chiese di mio fratello Omar, lui stava arrivando".
"Ci salvammo per questo: stavano per ucciderci, stavano per farci sparire, ma a quel punto non c’era altro rimedio che lasciarci vivere. C’erano troppi testimoni".
"Quando finalmente ci mostrarono il cadavere di mio fratello Ramón, fu Basilio a scoprirlo. Quando lo vide, mio fratello Omar svenne. Il corpo era stato martoriato da 32 spari, aveva il viso rotto e gli mancava un dito."
Le tracce dei colpi osservate nel viso e nei testicoli oltre al dito mancante confermarono ai parenti che Ramón era stato vittima di una crudele sessione di tortura.
"Con gli anni è venuto a galla che mio fratello venne arrestato circa 24 ore prima del ritrovamento del suo cadavere. Un signore fu testimone dell’arresto... Come successe con Botini Marín, che venne portato via da casa sua".
Ma quel giorno Posada non era soddisfatto della doppia esecuzione. "Il giorno seguente uccisero altri quattro ragazzi a La Victoria".
"ASSASSINAVA CON IL SORRISO SULLE LABBRA"
Sarebbero passati anni prima che Mireya scoprisse la vera identità del Commissario Basilio.
Sin dalla riapparizione di Posada a Miami nel 2005, tutta la famiglia osservava gli interminabili processi giudiziari finiti in nulla. "È molto frustrante per noi. Nemmeno lo dichiarano terrorista, nonostante i fatti".
Quest’anno ricorre il 35° anniversario dell’eroica morte di Ramón Antonio Álvarez. La prima denuncia del crimine è stata fatta nel 2005 dalla figlia del guerrigliero venezuelano, Rosalia Álvarez, durante l’Incontro Internazionale contro il Terrorismo all’Avana.
Luis Posada Carriles confessò la sua partecipazione ai soprusi e maltrattamenti subiti dai prigionieri della DIGEPOL e della DISIP in un libro pubblicato a Miami nel 1994: "La polizia, la cui forza principale era nei delatori, arrestava, entrava nelle case e interrogava utilizzando i metodi più duri di persuasione", scrisse cinicamente aggiungendo: "Io li perseguivo con molta forza. Molta, molta gente venne assassinata".
Alcuni mesi fa un ex funzionario della DISIP, Régulo Calzadilla, ha assicurato che durante la sua permanenza nel corpo repressivo, Posada "assassinava a sangue freddo con il sorriso sulle labbra".
Finora l’autore dell’attentato che provocò l’esplosione in pieno volo di un aereo civile cubano, non ha mai dovuto rispondere per i suoi crimini commessi in Venezuela su orientamento della CIA.
In quell’epoca, sette "commissari" cubanoamericani inviati a Caracas dalla CIA non solo sviluppavano intensivamente operazioni di eliminazione dei ribelli con i metodi più brutali, ma organizzavano anche attività terroristiche incoraggiate dagli Stati Uniti dalla stessa Agenzia. (Traduzione Granma Int.)